Formula 1

Published on Luglio 27th, 2022 | by Massimo Campi

0

Hamilton 300

Di Carlo Baffi

Il sette volte iridato ha disputato il suo 300esimo G.P. a Le Castellet. Una carriera fantastica iniziata fin da giovanissimo che l’ha portato ai vertici del motorismo sportivo.

“E’ stata una gara difficile, avrò perso circa tre chili.” Sono le parole pronunciate al termine del recente Gran Premio di Francia da uno stremato Lewis Hamilton. 53 giri percorsi sotto un caldo infernale con oltre 55 gradi in pista e per di più senza la possibilità di dissetarsi complice un guasto all’impianto di idratazione. Una fatica bestiale, al punto di costringere l’eptacampione a sdraiarsi sul pavimento della saletta attigua al podio prima della premiazione. Eh si, perché il britannico è riuscito a conquistare un prezioso secondo posto, malgrado i tanti problemi che la sua Mercedes W13 gli riserva dall’inizio dell’anno. Uno sforzo sopportato grazie all’accurata e costante preparazione fisica e mentale, che gli ha permesso di portare a termine il 300esimo Gran Premio della sua carriera. Sono passati ben quindici anni dal quel lontano 18 marzo del 2007 in cui il 22enne Lewis fece il suo esordio in F.1 al volante della McLaren Mercedes sul cittadino di Melbourne, sede del Gran Premio d’Australia. Forte dei titoli ottenuti nelle categorie addestrative che fecero di lui una sorta di predestinato, Hamilton non ebbe alcun timore reverenziale a superare con determinazione il suo compagno di squadra. Si trattava di un certo Fernando Alonso, due volte iridato che alla fine lo precedette sotto la bandiera a scacchi piazzandosi secondo. Ma il rookie giunse comunque terzo, salendo sul podio al suo primo G.P e dimostrando di che pasta fosse fatto. Seguirono sei secondi posti, dopodichè in Canada, siglò la sua prima vittoria facendo il bis nel round successivo sul mitico catino di Indianapolis lottando ruota a ruota proprio contro Alonso il quale capì definitivamente che non era più sicuro il suo status di prima guida. Una rivalità emersa a Monte Carlo dove l’inglese chiuse secondo dietro all’asturiano. A fine gara, dopo essersi detto soddisfatto di aver tenuto il passo del vincitore, Lewis aggiunse:” ...c’è qualcosa con la quale devo coesistere: sulla mia auto c’è il numero due ed io sono il secondo pilota.” Si vociferò infatti che Dennis avesse congelato le posizioni quando il debuttante poteva diventare il nuovo leader della gara. Un commento eloquente da cui emerse un lato peculiare della personalità di Lewis, quella di usare ad arte le parole e quindi i media per irretire i suoi avversari. Ed in quel 2007, nonostante fosse appena sbarcato nella massima formula, Hamilton mise in atto una guerra psicologica che rese la vita difficile ad Alonso (costretto a tornare in Renault già l’anno dopo), ma che finì per spaccare il team anglo-tedesco logorato pure dalla spy-story, che comportò l’esclusione dal mondiale costruttori. La condotta spregiudicata del britannico che approfittava della protezione di Dennis (suo mentore), sfociò in una vera e propria faida durante le qualifiche del Gran Premio d’Ungheria. Quel campionato fu teatro di entusiasmanti duelli tra i piloti delle monoposto argentate, ma si concluse con il trionfo della Ferrari di Raikkonen all’ultimo G.P. in Brasile. Hamilton non vinse il titolo per un soffio, però divenne una star a livello mediatico. A favorire quest’ascesa contribuì anche il fatto di essere il primo pilota di colore ad essersi imposto in Formula Uno. Esplose dunque l’Hamilton-mania e non solo nel Regno Unito. Grazie ai contratti pubblicitari venne stimato che gli introiti del giovane superassero il miliardo di dollari. Il padre che allora gli faceva da manager pensò addirittura di quotarlo in borsa attraverso una società in cui il figlio era l’azionista di maggioranza, seguendo l’esempio di altre star dello sport internazionale. Dopo quell’anno, Lewis s’era praticamente assicurato un solido futuro economico ed il cerchio si chiuse la stagione successiva, quando conquistò la corona iridata. Teatro del trionfo ancora la pista di Interlagos, dove Hamilton arpionò un quinto posto insperato all’ultimo giro sotto una pioggia battente, che gli permise di soffiare il mondiale all’idolo di casa Felipe Massa. Una doccia fredda per il ferrarista che transitò vittorioso sotto la bandiera a scacchi credendo di essere il nuovo Campione del Mondo. Un’impresa al limite dell’incredibile in cui si materializzo il sogno di quel giovane, nato a Stevenage una località dell’Hertfordshire a circa 30 miglia da Londra, la cui infanzia non fu delle più semplici. Suo padre Anthony, di origine caraibica era impiegato alle ferrovie ed era coniugato con Carmen di nazionalità britannica. Il loro primo figlio nacque il 7 gennaio (segno zodiacale capricorno come Michael) 1985 ed il padre lo chiamò per l’appunto Lewis, in onore del suo idolo, quel Carl Lewis vincitore di quattro ori alle Olimpiadi di Los Angeles dell’84. Quando Mister Anthony si separò dalla moglie, il piccolo restò con la mamma fino a dieci anni, poi si trasferì nella casa del papà che nel frattempo si era risposato ed aveva avuto un altro figlio, Nicholas, purtroppo disabile; verso cui Lewis ha sempre provato un grande affetto. I primi anni a scuola non furono facili, il futuro re della F.1 era spesso vittima di episodi di razzismo e per difendersi da quelli che lo prendevano a botte imparò il karate, divenendo col tempo cintura nera.

La passione verso i motori iniziò ad accendersi verso i sei anni. Suo padre gli regalò una macchina elettrica radiocomandata ed il pargolo divenne imbattibile nelle gare di automodelli. Successivamente durante una vacanza in Spagna Lewis scoprì i kart ed una volta tornato in patria (il papà gliene regalò uno a Natale), si cimentò nel kartodromo di Buckmore Park, tra Londra e Dover e a dieci anni divenne il più giovane campione inglese della classe cadetti. Il giovane era sempre più attratto dal motorsport ed il padre, per assecondarlo, iniziò a fare grossi sacrifici. La sua paga di ferroviere non bastava e così svolse altri lavori come cameriere e venditore in un negozio di moda. La carriera di Lewis svoltò nel corso di un gala organizzato dalla popolare rivista Autosport. Era il dicembre del 1996 e quel bimbo fu premiato come miglior giovane kartista del Regno Unito. A quella cerimonia era presente anche Ron Dennis, grande capo della McLaren ed ecco che Lewis senza tanti timori reverenziali gli disse:” Un giorno guiderò una sua F.1”. Dennis gli rispose divertito di tornare fra nove anni. Una frase profetica a metà, perché tre stagioni dopo il manager inglese chiamò quella giovane promessa a far parte del programma di addestramento della McLaren rivolto ai rookie. Da li in avanti, Hamilton potè contare sui mezzi migliori per raggiungere il successo e non deluse mai i suoi mentori, rispettando tutte le tappe del programma. Un ottimo investimento da parte della scuderia di Woking, che si ritrovò in casa un gioiello di inestimabile valore. Purtroppo però negli anni seguenti non fu in grado di realizzare una monoposto competitiva in grado di contrastare l’emergente Red Bull con cui un altro rookie Sebastian Vettel fece suoi ben quattro titoli. Probabilmente una situazione un po’ frustrante per Lewis che di fronte al corteggiamento di Niki Lauda braccio destro di Toto Wolff nuovo team principal della Mercedes (tornata in F.1 nel 2010), non ebbe esitazioni a firmare il contratto con la “Stella a Tre Punte”. Qualcuno parlò di ingratitudine nei confronti del team britannico che l’aveva cresciuto, ma Hamilton sapeva benissimo che sarebbe salito su una rampa di lancio che l’avrebbe nuovamente proiettato ai vertici mondiali. Questo grazie all’introduzione in F.1 dei propulsori turbo-ibridi, una tecnologia in cui i tecnici di Stoccarda vantavano una notevole esperienza. Il caso volle che il fuoriclasse inglese prendesse il posto del sette volte campione Michael Schumacher, il cui ritorno nei G.P. era stato deludente. Sono le cosiddette “sliding doors”, delle porte scorrevoli in cui la vita prende una determinata direzione. E a fronte dei risultati conseguiti pare proprio che quell’avvicendamento segnò la svolta nella carriera di Lewis. Al volante delle monoposto anglo-tedesche, conquistò il suo secondo mondiale nel 2014 a cui ne aggiunsero altri cinque eguagliando proprio Kaiser Schumi. Un filotto che non saziò affatto la fame di vittorie di Hamilton che fresco vincitore della corsa confessò:“ Mi sento come se avessi iniziato la carriera in F.1. Sono ancora concentrato e vorrei restare nel Circus. Ho ancora tanto da dare.” Frasi di un autentico cannibale, come Schumacher del resto. Un traguardo raggiunto nel G.P. di Turchia 2020 proprio su un circuito che l’aveva visto compiere una prodezza da autentico fenomeno nel 2006. Nella short-race della Gp2, dopo esser finito in testa coda, il britannico fu autore di una rimonta (da 19esimo) con la quale raggiunse il secondo posto guadagnando punti fondamentali per aggiudicarsi il Campionato ai danni di Nelson Piquet jr. Memorabile il corpo a corpo dell’allora pilota della Art Grand Prix, con Timo Glock infilandosi a tutto gas tra la macchina del rivale ed il muretto della corsia box. Una determinazione che non è mai diminuita, anzi. Proprio in Mercedes sarebbe stato protagonista di una faida interna con il compagno Nico Rosberg. Autentici colpi bassi come nel primo giro del G.P. di Spagna del 2016 in cui finirono fuori entrambi. Quel campionato sarebbe stato appannaggio di Nico che però dovette sudarselo non poco. Come dimenticare l’ultimo atto, quello decisivo, ad Abu Dhabi in notturna? In quella circostanza Lewis mise in atto una strategia macchiavellica. Sebbene fosse primo con ampio margine, Rosberg era secondo, posizione che gli avrebbe consentito di diventare matematicamente Campione del Mondo. Così’ nelle ultime tornate l’inglese rallentò volontariamente facendosi avvicinare dall’avversario nella speranza che venisse raggiunto e superato dalle vetture che lo seguivano. Se Rosberg fosse uscito dalla zona podio, Hamilton si sarebbe laureato campione. Il piano non riuscì, ma la disse lunga sulla mentalità di questo pilota. Grazie al suo settimo mondiale entrò nella “Honours List”, la lista diplomatica d’Oltremare, grazie alla quale gli venne conferito il titolo di Baronetto potendo così presentarsi come “Sir” Lewis Hamilton, al pari dei Beatles e di altri campioni del motorsport come Jack Brabham, Stirling Moss e Jackie Stewart. Ora non gli restava che puntare all’ottavo mondiale, quello che l’aveva reso il pilota più vincente di sempre. Avrebbe superato Schumacher, verso il quale mostrò sempre rispetto ed ammirazione. Toccante fu la cerimonia al Nurburgring in cui Mick Schumacher consegnò il casco di papà Michael a Lewis fresco vincitore del G.P. dell’Eifel 2020. Hamilton aveva raggiunto le 91 vittorie il campionissimo teutonico.”…ricordo quando giocavo con Michael con i videogiochi di F.1 – confessò il britannico – non pensavo che potessi avvicinarlo, figurarsi eguagliarlo ”. Data la superiorità espressa dalla Mercedes erano in molti a dare quasi per scontata la riconferma del “Re Nero” sul trono iridato. Sulla sua strada però avrebbe trovato un altro fuoriclasse, disposto a tutto pur di diventare il nuovo sovrano del Circus: Max Verstappen, olandese, classe 1997. Cresciuto sul kart fin da bimbo per volontà del padre Jos, ex driver di F.1, Max è velocissimo e la sua classe gli permette di compiere azioni spericolate ed al tempo stesso aggressive. Non mancano i botti, d’altronde il giovane mette in pratica i severi erudimenti di papà che non sono all’insegna del fair-play. Nel 2021, la Red Bull gli mette a disposizione una monoposto vincente, la RB16B concepita dal genio di Adrian Newey, con la quale assedia Hamilton sin dai primi G.P. I due daranno vita ad una lotta senza quartiere che non si vedeva da tempo e che coinvolge pure i rispettivi team che si fronteggiano per avere la supremazia politica nel paddock. Non mancano i colpi proibiti e gli attimi di paura, come in Inghilterra e a Monza. A Silverstone durante il primo passaggio, Hamilton sferra il suo attacco alla Copse, Verstappen non molla per mantenere la leadership e le vetture entrano in contatto. L’orange esce di pista e sbatte ad oltre 290 km/h subendo nell’urto una decelerazione di 51G, fortunatamente senza conseguenze. Un nuovo incontro ravvicinato si ripropone a Monza al 26esimo giro. Hamilton è richiamato per il cambio gomme e quando riprende la via della pista sta sopraggiungendo Verstappen. I due affrontano appaiati la prima variante. Lewis allarga di poco portando l’avversario all’esterno e imposta la curva. Max tiene duro, vuole riportarsi davanti al nemico, va sul cordolo e la sua RB16B decolla finendo sopra la Mercedes. Una collisione, che rivedendo i replay mette davvero i brividi se si pensa alle drammatiche conseguenze che avrebbe potuto avere su Lewis, il cui capo è stato protetto fortunatamente dall’Halo. Il campionato procede all’insegna dell’incertezza e dell’equilibrio divenendo sempre più entusiasmante. Rispetto a prima Hamilton non dispone più di un mezzo stratosferico e deve sfoderare il meglio di sé come in Brasile, su una pista che predilige. A quattro round dalla fine l’eptacampione deve recuperare 19 lunghezze a Verstappen e gli capita di tutto. Dalla perdita di cinque posizioni in griglia per la sostituzione del motore termico, alla retrocessione all’ultimo posto della griglia di partenza della sprint qualyfing in quanto l’ala posteriore della W12E è fuori misura nella posizione aperta. Una sanzione che vanifica la pole di Lewis, che però anziché demoralizzarsi si carica ulteriormente. Ecco la sua forza mentale, ossia trasformare i problemi in energia positiva. E nei 100 chilometri della “garetta” da spettacolo con sorpassi a raffica prendendosi non tutti i rischi del caso. Risultato: al termine dei 24 giri, da ventesimo è quinto. Della serie “Hammertime” fa fede al suo nickname e si ripete anche la domenica. Scatta decimo e s’impone. “Mad Max” cerca di opporsi in tutti modi e se respinge il primo assalto portando fuori la Mercedes numero 44 ricorrendo ad una sorta di fallo tattico, in quello successivo capitola e dalla torcida sale un boato che Hamilton ricambia sventolando la bandiera brasiliana sul podio. “E’ stata la gara più dura della mia vita – dirà ai media – e la dedico a mio padre, che mi ricordò quando nel 2003, in una corsa di Formula 3, partivo decimo e vinsi. Non bisogna mai smettere di lottare. E questo vale per tutti.” L’atto conclusivo va in scena un mese dopo ad Abu Dhabi dove i due fighters si presentano a pari punti: 369,5. Lewis però deve assolutamente arrivare primo. Max vanta infatti una vittoria un più, 9 contro 8 ed in caso di parità sarebbe iridato. Una condizione che potrebbe indurlo a cercare lo scontro con l’eliminazione di tutti e due. Gioco forza l’eptacampione  deve evitare la trappola. Malgrado la pole sia siglata da Verstappen, Hamilton lo beffa al via e resiste al suo ritorno. Procede da leader con un discreto margine sulla Red Bull numero 33, accarezzando sempre più il sogno di realizzare il colpaccio. Ma a sei passaggi dal termine, entra in pista la safety car per l’uscita della Williams di Latifi e tutto cambia di colpo. “Mad Max” monta le gomme soft mentre il “Re Nero” resta in pista. E’ la svolta mondiale. Incomprensibilmente la direzione gara decide di far sdoppiare solo le vetture che ci sono tra i due contendenti facendo si che il G.P. riparta per disputare solo l’ultimo giro che vale il titolo. Sicuramente un epilogo thrilling degno del miglior Hitchcock, ma che farà esplodere un mare di veleni e polemiche e che in seguito farà cadere la testa del race director Michael Masi. Via radio, Hamilton sfoga la sua rabbia parlando di corsa manipolata; come dargli torto? Al restart il confronto è impari complice lo stato delle gomme, “Mad Max” non fatica ad avere la meglio su “Hammertime” che deve inchinarsi, dopo aver dominato l’intera gara. Una beffa atroce dura da superare per il pilota e la scuderia, al punto che sia Hamilton che Toto Wolff non si presenteranno alla premiazione Fia di fine anno. Un comportamento criticato dal neo Presidente Fia Mohammed Ben Sulayem e che potrebbe portare ad una sanzione contro Lewis attorno al quale circolano i rumors su un suo ritiro dalle competizioni. Dopo un periodo di silenzio però, in cui viene formalmente nominato cavaliere dal principe Carlo a Windsor, l’ex iridato torna in scena rinnovando il contratto con Stoccarda e ripresentandosi ai nastri di partenza della stagione in corso. Purtroppo per lui, si ritroverà a guidare una vettura figlia delle nuove regole, tanto estrema quanto problematica, al punto da costringerlo a lottare a centro gruppo. Alle prese con il porpoising, il saltellamento continuo soprattutto in rettilineo, che crea enormi difficoltà nella guida della W13, Lewis realizza di essere alle prese con una delle stagioni più dure della sua carriera. A Baku chiude stoicamente quarto lamentando forti fitte alla schiena:” Stringevo i denti per il dolore e sono stato aiutato dall’adrenalina” dirà una volta fuori dall’abitacolo. E qui emerge nuovamente la componente psicologica. Non a caso, dal 2016, l’eptacampione ha al suo fianco Angela Cullen, la sua fisioterapista neozelandese che lo segue su tutti i circuiti come un’ombra. Un apporto fondamentale che contribuisce ad aumentare anche le motivazioni. Ecco quindi spiegato il perché questo fuoriclasse sia ancora spinto a lottare per tornare ai vertici e gli ultimi risultati gli danno ragione. Con i tanti traguardi raggiunti potrebbe comodamente appendere il casco al chiodo e godersi un patrimonio stimato intorno ai 280 milioni di Euro. Durante la sua luminosa carriera è stato abile a sposare strategie di martketing che hanno fatto di lui un personaggio molto gettonato. Ama frequentare il jet set ed essere molto attivo sui social, postando foto che lo ritraggono nella sua sfera privata, un tempo anche quella affettiva. Nelle sue prime stagioni in F.1, Hamilton fu molto gettonato sulle cronache rosa. Una delle relazioni più lunghe fu quella con Nicole Scherzinger, presente spesso ai box. Una cantante di colore delle “Pussycat Doll’s”, un popolare gruppo pop statunitense. Tra gli altri flirt attribuiti dai tabloid figurò pure Naomi Campbell. Nei selfie di Lewis è presente anche il suo bulldog Roscoe, col quale circola spesso negli autodromi. “Hammertime” inoltre non si sottrae ai bagni di folla e così eccolo fare il “crown surfing” sui tantissimi tifosi che avevano invaso la pista per salutare il suo trionfo a Silverstone nel 2017. Varia frequentemente il suo look, arrivando ad essere persino provocatorio. In occasione del G.P. del Barhain 2016 varcò i cancelli del paddock vestito da arabo e con al collo una collana con un ciondolo raffigurante il volto di Cristo. Fece discutere anche quando dopo il successo nel G.P. di Abu Dhabi (altro paese musulmano), sul podio mostrò una croce tatuata sulla sua schiena. In merito alla fede, Hamilton ha rivelato di essere cristiano e di dedicarsi alla preghiera in diversi momenti della giornata. Un tema delicato, che in passato venne affrontato pubblicamente da Senna. Nel 2020 ha promosso una campagna contro il razzismo sia in pista che fuori, in seguito all’uccisione per soffocamento dell’afroamericano George Floyd negli Stati Uniti. Oltre ad inginocchiarsi prima del via (insieme ad altri piloti), ha mostrato il pugno chiuso sul podio del Red Bull Ring. Un gesto che ha ricordato la protesta degli atleti Usa alle olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Certo, allora era un altro momento storico, in cui gli atti di contestazione venivano severamente censurati: chiedere a Tommy Smith e Cassius Clay verso il quale Hamilton non ha mai nascosto una notevole ammirazione. Oggi si rischia decisamente meno. Va però considerato che il britannico ha sempre mostrato una particolare sensibilità verso la discriminazione razziale patita, come detto, sin da giovanissimo. Sempre nel 2020, sul gradino più alto del podio al Mugello, ha sfoggiato una t-shirt con la scritta :” Arrestate i poliziotti che hanno ucciso Breonna Taylor”, la statunitense di colore ferita mortalmente dagli agenti durante una perquisizione. La Fia valutò se prendere provvedimenti verso “Hammertime”, reo di aver infranto le regole della cerimonia di premiazione. Non ultima la polemica di Lewis per la regola introdotta dalla Federazione che vieta ai piloti di salire in vettura con orologi, piercing, gioielli (e biancheria intima non omologata) per motivi di sicurezza. Una decisione che pareva prendesse di mira proprio britannico, che non esita ad esibire monili, oltre ai tatuaggi e stravaganti acconciature. Insomma l’ennesima presa di posizione che ha fatto discutere, ma che ha contribuito ad aumentare la popolarità di quest’icona del motorsport che probabilmente pensa già a cosa fare da grande, dopo essersi ritirato. Quando non è dato sapere. Di sicuro Sir Hamilton ha svariati interessi frutto della sua mente eclettica. Si parla di un ruolo come ambasciatore della Mercedes, oppure di una carriera nell’ambito dello spettacolo (sarà co-produttore di un film sulla F,1 con Brad Pitt), o del fashion, considerato che l’appeal non gli manca. A nostro avviso ci sono buone probabilità che Lewis non soffrirà una spasmodica nostalgia per la pista. A patto di aver messo le mani sulla tanto ambita ottava corona.

 

 

Print Friendly, PDF & Email

Tags: ,


About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



Back to Top ↑