Storia

Published on Settembre 9th, 2020 | by redazione

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Vince l’outsider

Quando a Monza i superfavoriti steccano – di Carlo Baffi

Il 71° Gran Premio d’Italia sarà ricordato per il suo esito tanto inedito quanto imprevedibile. Ha vinto Pierre Gasly sull’Alpha Tauri, in barba ai pronostici che vedevano la Mercedes e Lewis Hamilton già sul gradino più alto del podio. La storia del Gran Premio d’Italia però, non è nuova a fatti del genere. In passato s’è assistito a trionfi di “outsider” in seguito a vere e proprie debacle dei superfavoriti. E ci riferiamo ad episodi accaduti in epoche recenti.

Nel 2008, Ferrari e McLaren-Mercedes, le due contendenti al titolo con Hamilton e Massa, dovettero inchinarsi all’allora 21enne Sebastian Vettel sulla Toro Rosso (l’attuale Alpha Tauri); entrambi al loro primo successo in F.1. Il Gran Premio andato in scena 14 settembre fu condizionato dal maltempo che flagellò Monza sin dal venerdì. Nelle qualifiche infatti, fu proprio Vettel a siglare la pole (la sua prima nel Circus) precedendo la McLaren-Mercedes di Kovalainen, la Red Bull di Webber e la seconda Toro Rosso di Bourdais. Un risultato che di sicuro fece scendere le probabilità di successo dei favoriti, Hamilton in primis che partiva addirittura 15°; mentre Massa era sesto. La corsa partì dietro la safety car per via del diluvio e quando apparve la luce verde, il poleman riuscì subito ad allungare. Nelle retrovie intanto, Hamilton dava il via alla sua “mission impossible” con sorpassi da brivido incurante della scarsa visibilità per i nuvoloni d’acqua. Nel frattempo Vettel proseguiva la sua marcia da leader senza commettere alcuna sbavatura. Col cessare della pioggia, le monoposto passarono alle gomme d’asciutto col secondo pit-stop, ma la situazione al vertice non mutò. Il giovane tedesco del team di Franz Tost salì sul gradino più alto del podio, il primo di una lunga serie di trionfi. Al secondo posto si piazzarono Kovalainen ed al terzo Robert Kubica, partito undicesimo sulla BMW-Sauber. Hamilton alla fine agguantò la settima piazza dietro al rivale Massa. L’inglese avrebbe poi beffato il ferrarista all’ultimo round in Brasile, diventando campione del mondo. Sul podio monzese fu grande l’emozione nell’ascoltare l’inno italiano in omaggio al team di Sebastian. La Toro Rosso infatti non era altro che la ex-Minardi, prova ne è che la sede non si spostò mai da Faenza. Andando indietro nel tempo, la mente si ferma al 1999, una stagione che riproponeva il duello al vertice tra la Ferrari e la McLaren-Mercedes.

L’anno prima, il titolo era andato a Mika Hakkinen sulla Freccia d’Argento, che aveva beffato Michael Schumacher nell’ultimo round in Giappone. Nel ’99 però, il tedesco era deciso a riscattarsi e riportare a Maranello quel mondiale che mancava dal 1979. Ed il campionato era iniziato bene per le rosse, con Schumi in grado di dare parecchio filo da torcere ad Hakkinen. Ma il destino era in agguato. Il ferrarista avrebbe dovuto nuovamente abbandonare le speranze di gloria, complice un rovinoso incidente nel G.P. di Gran Bretagna. Le fratture riportate costrinsero il “Kaiser” a dare forfait per qualche mese. I gradi di capitano passarono ad Eddie Irvine, l’irlandese partito come seconda guida e divenuto così il rivale di Hakkinen. In teoria il finnico avrebbe dovuto avere vita facile, ma grazie a degli autogol del team di Ron Dennis, Irvine scalò la classifica diventando una grossa insidia. Hakkinen però poteva contare su un mezzo molto efficace e nelle qualifiche del G.P. d’Italia, non solo firmò la sua sesta pole consecutiva, ma pure il record del tracciato in 1’22”432 alla media di 252,989 km/h. Una prodezza realizzata al volante della MP4/14, una monoposto che rispetto al passato era più stretta con gomme scolpite anziché slick e con tutte le misure tecniche imposte dalla FIA per ridurre le velocità e migliorare la sicurezza. Al suo fianco sarebbe partito il tedesco Frentzen sulla vettura-rivelazione, la Jordan-Mugen Honda. Irvine era invece relegato in 4^ fila con l’ottavo tempo. Della serie, un Gran Premio dall’esito scontato. Il 12 settembre Hakkinen s’involò subito in una fuga solitaria, che però s’interruppe bruscamente al 30° giro dei 53 previsti. Giunto alla staccata della 1^ variante e con circa 8” di vantaggio su Frentzen, il finlandese sbagliò ad inserire la marcia e la sua McLaren andò in testa coda finendo fuori pista senza poter più ripartire. Una doccia gelata che sconvolse il campione del mondo al punto di fargli gettare prima il volante fuori dall’abitacolo e poi i guanti per terra. Ormai in preda ad una crisi isterica acuita dai fischi e dagli sbeffeggi del tifo ferrarista presente in tribuna, Hakkinen si abbandonò ad un pianto liberatorio lungo la strada verso il paddock. Seppur nascosto dagli alberi, venne scovato dalle telecamere e ripreso in mondo visione. Ad immortalare questo momento destinato ad entrare nella storia della F.1 fu anche l’obiettivo di Ercole Colombo, decano dei fotografi del Circus. Frentzen, si ritrovò così al comando, che mantenne sino alla bandiera a scacchi, davanti a Ralf Schumacher su Williams-Supertec e Mika Salo (sostituto di Schumacher) sulla seconda Ferrari. Alla vigilia nessuno avrebbe minimamente pensato ad una disfatta simile del team anglo-tedesco. Con questo secondo successo in F.1, Frentzen poteva così inserirsi nella lotta al titolo a 10 punti dai 60 di Hakkinen, raggiunto in testa da Irvine soltanto 6°. Smaltita la grossa delusione, il “finlandese volante” sarebbe poi riuscito a riconfermarsi iridato all’ultima gara, nonostante il rientro tempestivo di Kaiser Schumi, disposto a tirare la volata ad Irvine.

Un altro episodio significativo è datato 10 settembre 1995. Un anno tragico per la F.1, funestato dal tragico fine settimana del Gran Premio di San Marino, con gli incidenti mortali di Roland Ratzenberger e del grande Ayrton Senna. Protagoniste della lotta al vertice erano la Benetton e la Williams: Schumacher contro Damon Hill (figlio del grande Graham). Alla vigilia di Monza la classifica piloti vedeva il tedesco primo con 66 ed britannico alle sue spalle con 51. Un discreto margine, ma i giochi erano tutt’altro che conclusi. La situazione era leggermente più equilibrata tra i costruttori, con il team di Briatore davanti a quello di Sir Frank Williams per dieci lunghezze. In effetti la FW17 progettata dal duo Head-Newey era competitiva e teneva testa alla B195, realizzata da Byrne e Brawn. Entrambe erano spinte dal V10 Renault e a fare la differenza era il pilota: Schumacher per l’appunto. Però, a tenere banco nel paddock monzese era il mercato piloti. Poche settimane prima infatti, l’avvocato Gianni Agnelli aveva anticipato ai media che dal 1996, Schumacher sarebbe stato un pilota del Cavallino. Costo dell’ingaggio, 80 miliardi di lire per due anni. Una manovra che aveva innescato un effetto domino, con Alesi e Berger pronti a fare le valigie per passare dalla Ferrari alla Benetton. Ma torniamo alla gara. Le qualifiche videro primeggiare la Williams dello scozzese David Coulthard alla sua seconda stagione in F.1, quarto nella classifica piloti e di cui correva voce circa un suo futuro in rosso. In molti lo accreditavano come prossimo compagno di “Schumi”, che a Monza gli sarebbe partito di fianco col secondo tempo. La prima delle Ferrari era quella di Berger, terzo, poi Hill e Alesi. Una gara che vedeva il campione del mondo in carica favorito, ma che al tempo stesso poteva riservare qualche incognita. E guarda caso le sorprese iniziarono ancora prima del via. Durante il giro di ricognizione, il poleman uscì di pista alla Variante Ascari: per lui i giochi s’erano chiusi ancora prima di iniziare. Schumacher si schierò da solo in prima fila e prese subito il comando resistendo all’assalto di Berger e Alesi. Quarto era Herbert autore di un ottimo scatto dall’ottava posizione. Nemmeno il tempo di completare la prima tornata che sempre all’Ascari si innescò una carambola con cinque piloti coinvolti e che costrinse la direzione gara ad interrompere la corsa. Dunque tutto da rifare, per la felicità di Coulthard, pronto a salire sul muletto e schierarsi per il secondo via. Lo scozzese questa volta non commise alcun errore e andò in testa con Berger in scia che precedeva Schumacher, Hill ed Alesi. La sorte pareva strizzare l’occhio a Coulthard a caccia del suo primo successo, ma al 12° giro crollavano i suoi sogni di vittoria. Il grippaggio del cuscinetto di una ruota anteriore lo costringeva al ritiro. Per la gioia degli ottantamila presenti la 412T2 numero 28 di Berger sfrecciava al comando con un discreto margine sugli inseguitori. I colpi di scena erano però destinati a proseguire. Alla 23^ tornata, Schumacher ed Hill si accingevano a doppiare la Footwork di Taki Inoue alla Roggia. Se il tedesco passava il giapponese, l’inglese  s’infilava forse troppo velocemente per non perdere terreno, arrivando lungo e tamponando la Benetton del rivale. Morale: i due rivali per l’iride finivano il Gran Premio nella via di fuga. Una manovra che inasprì gli animi già tesi tra i due. Provvidenziale fu l’intervento dei commissari molto lesti che evitarono un contatto diretto tra i due litiganti. La corsa intanto andava avanti con i rifornimenti. Berger, sempre leader, rientrava per primo, ma un problema alla frizione prima ed il rallentamento per la presenza di due doppiati poi permetteva ad Alesi di superarlo. Il transalpino aveva beneficiato di una sosta rapida e senza intoppi. La vista di due Ferrari al comando veniva accolta da un boato. Per i fans del Cavallino si materializzava la speranza di assistere ad una clamorosa doppietta, impensabile alla vigilia. Passavano dieci giri dall’eliminazione di Schumacher ed Hill, che la sorte iniziava a prendere di mira le rosse. Berger seguiva Alesi senza tirare, quando giunto alla Roggia veniva colpito da un oggetto staccatosi dalla vettura del francese, che piombato sulla sospensione anteriore sinistra distruggeva il tirante della convergenza, ponendo fine alla corsa dell’austriaco. Si scoprirà in seguito che si trattò della telecamera montata sulla paratia laterale dell’alettone posteriore, che durante la sosta era stata urtata dalla gomma maneggiata da un meccanico. Un oggetto di circa un chilo, che se invece della sospensione avesse colpito Berger, quel singolare incidente si sarebbe trasformato in dramma. Sfumata la doppietta, le speranze rosse si concentravano tutte su Alesi (ignaro di quanto accaduto al compagno), il cui vantaggio su Herbert era di oltre 8 secondi. Informato dai box l’inglese iniziò a spingere, ma a nove tornate dal termine doveva recuperare 7” e 4; un po’ troppi. Il Gran Premio si avviava così al termine offrendo un finale particolare, con un duello tra due piloti licenziati dai loro team. Alesi stringeva i denti, ci teneva tantissimo a congedarsi dalla Ferrari regalandole una vittoria ed in particolar modo sulla pista di casa. Ma anche Jean non aveva fatto ancora i conti con il destino. Dopo “tredici” giri dal ritiro di Berger, del fumo bianco iniziò ad uscire dal retrotreno della rossa numero 27 che prese la via dei box nel tentativo di riparare all’accaduto. Purtroppo era il preludio al ritiro definitivo. Causa del ko, la fuoriuscita di lubrificante dal cuscinetto della ruota posteriore destra nel punto in cui il semiasse si collega al portamozzo, con conseguente grippaggio e principio d’incendio. Uscito dalla vettura, Alesi sfogava la tensione con qualche lacrima. Una Monza stregata per lui: come l’anno prima, quando dopo 14 giri in testa, si fermò per il pit-stop ed il cambio lo tradì. Insomma, fantasmi che ritornano. Era questo l’ultimo colpo di scena della giornata molto amara per il Cavallino. Tutto diverso invece per il 31enne Johnny Herbert che tagliava vittoriosamente il traguardo siglando il suo secondo successo stagionale, dopo quello nel Gran Premio di Gran Bretagna. Un trionfo beneficiato sicuramente da una buona dose di fortuna, ma il motorsport è fatto anche di questo. In effetti il Gran Premio s’era trasformato in una roulette sin dalle prime battute ed alla fine era uscito il numero 2, proprio quello di Herbert. A completare un podio decisamente insolito, salivano il finnico Mika Hakkinen (McLaren-Mercedes) ed il tedesco Heinz-Harald Frentzen (Sauber-Ford). Certo, va sottolineato che la scuderia del vincitore non era certo una Cenerentola del Circus. Quella modello della Benetton era molto performante, tant’è che vinse il mondiale costruttori. Ma onore al merito e alla capacità di Herbert di cogliere al volo una di quelle occasioni che non ti capitano tutti i giorni. E magari di aver fatto felice chi aveva azzardato qualche scommessa sul suo trionfo.

Quasi al limite dell’inverosimile fu invece il finale del G.P. d’Italia dell’11 settembre 1988. Il prologo di questa vicenda però parte circa un mese prima, il 14 agosto, quando a Modena si spegneva all’età di novant’anni Enzo Ferrari, malato da tempo. Un brutto colpo per il morale del Cavallino che faticava a fronteggiare il dominio delle McLaren Honda di Prost e Senna. I piloti di Ron Dennis giunsero a Monza dopo aver vinto tutti le gare in calendario. Erano praticamente imbattibili e lo confermarono monopolizzando la prima fila. Al via fecero subito il vuoto ed i ferraristi Berger e Alboreto li seguirono in terza e quarta posizione, relegati al ruolo di comprimari. La doppietta McLaren era ormai assicurata, quand’ecco che il vento cambiò improvvisamente direzione. Al 37°  giro, dopo alcune avvisaglie, Prost ripiegò ai box e si ritirò tradito dal propulsore Honda, sempre affidabile sino a quel momento. Berger divenuto secondo, cominciò a forzare l’andatura spinto da uno scatenato Alboreto che gli si avvicinava sempre più.

Seppur al comando in solitario, Senna avvertì la potenziale minaccia “rossa” e rispose dando gas. Si arrivò così al penultimo dei 51 passaggi, quando il paulista affrontò la prima variante cercando di doppiare la Williams-Judd di Jean Louis Schlesser; un 40enne francese, chiamato all’ultimo momento a sostituire Nigel Mansell. Le due monoposto si urtarono e la MP4/4 di Senna si girò arrestandosi sul cordolo esterno, all’uscita della chicane. Il paulista cercò di ripartire, ma le sue ruote giravano a vuoto: segno inequivocabile che la sua gara era finita. Dalle tribune si scatenò l’entusiasmo del popolo del Cavallino, che salutò le due Ferrari balzate di colpo in testa. Berger e Alboreto procedettero in parata sino al traguardo e firmarono una clamoroso trionfo che a Monza mancava da ben undici anni. Nel dopo gara un Senna deluso disse che probabilmente il Drake, “da lassù”, aveva dato una mano alle sue rosse e che tutto era scritto nel destino. Le McLaren conquistarono comunque entrambi i titoli: il costruttori e quello piloti con Senna. Alla fine, il tram di Woking s’era imposto in quindici G.P. su sedici. All’appello mancava solo Monza.

Immagini © Massimo Campi 

 

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