5 marzo 1977: la tregedia di Tom Pryce - Motoremotion.it


Storia

Published on Marzo 6th, 2014 | by Massimo Campi

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5 marzo 1977: la tregedia di Tom Pryce

Tom-Pryce_07memPrimo fine settimana del mese di marzo del 1977, è una bella domenica di sole in Sud Africa, circuito di Kyalami, dove il circus della Formula Uno corre il suo terzo appuntamento stagionale. James Hunt è l’autore della pole position con la sua McLaren Marlboro, seguito dalla Brabham di Carlos Pace e dalla ferrari di Niki Lauda. Ventitré sono i piloti al via, con Hunt che va subito in testa, ma la rossa di Lauda lo infila al settimo giro, prende il comando delle operazioni, distacca gli avversari e continuerà così fin sotto la bandiera a scacchi andando a cogliere la sua tredicesima vittoria in F.1.

Tutto sembra procedere regolarmente, quando al ventunesimo giro succede l’imprevedibile, con una serie concatenata di fatti che porterà ad una tragedia, sicuramente evitabile, ma in gradi di sconvolgere l’opinione pubblica e tutti gli appassionati delle corse motoristiche.

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Per la Shadow, la squadra di Don Nichols, corrono Renzo Zorzi e Tom Pryce. Thomas Maldwyn Pryce era nato l’11 giugno 1949 a Ruthin, un paesino del Galles, da una famiglia di origini modeste. Il padre Jack era il poliziotto del paese,  la madre Gwyneth, un’infermiera. Mal, come veniva chiamato dagli amici, crebbe con il mito automobilistico di Jim Clark nella testa. Ma solo dopo aver assaporato a poco più di dieci anni l’ebbrezza di guidare un furgone, capì che quella era la sua strada. Dopo vari sacrifici cominciò a correre nel 1970 in Formula Ford. Poi passa nel 1971 alla F.Super Vee e l’anno successivo è in Formula 3. Si capisce che ha classe e velocità ma a Montecarlo si frattura una gamba contro le barriere. Però viene notato da Ron Dennis che gli offre un posto nella sua squadra di F.2, la Rondel Racing ed i risultati ottenuti gli aprono la porta per la Token di F.1 nel 1974.

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Debutta il 12 maggio a Nivelles, in Belgio con un 20° posto in qualifica ottenuto con una monoposto che aveva ben poco di competitivo. La gara purtroppo non risultò altrettanto positiva a causa di una collisione con la Tyrrell di Jody Scheckter con conseguente ritiro. A Montecarlo venne rifiutata, da parte degli organizzatori, l’iscrizione al Gran Premio, che addussero come motivazione la scarsa esperienza del pilota.

Pryce non la prese granché bene, ma l’esclusione dalla gara monegasca paradossalmente gli creerà l’occasione per prendersi la sua personale rivincita con il circuito di Montecarlo, e soprattutto per garantirgli un posto stabile in Formula 1.

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Accettò l’invito del team Ippocampos Racing, che gli mise a disposizione una March 743 per la gara di F.3 del sabato. La sua prestazione in quell’occasione fu stupefacente. Forse la rabbia per l’esclusione, forse semplicemente grazie al proprio talento, dominò le prove con un tempo di 1.6 secondi migliore del secondo classificato in griglia. E anche in gara demolì ogni avversario, vincendo sia la propria manche con quindici secondi di vantaggio, che la finale, lasciando a ventuno secondi il secondo classificato Tony Brise. Quel risultato lo farà entrare di diritto tra i piloti di F.1.

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Dopo quella clamorosa dimostrazione di forza, Alan Ress non perse troppo tempo. Era alla ricerca di un sostituto dopo la morte di Peter Revson all’inizio di quell’anno in un incidente durante un test a Kyalami in Sud Africa, e riuscì facilmente a convincere Don Nicholson, ex agente CIA, tenebroso ed eccentrico patron del team Shadow, a considerare l’ingaggio di quel giovane gallese per la squadra e Pryce firmò per la squadra. Il debutto avviene in Olanda nel ‘74, ed il connubio tra Pryce e la Shadow continua tra alti e bassi fino al quel tragico Gran Premio del Sud Africa del 1977.

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Tutto sembra procedere a Kyalami,  quando al ventunesimo giro Renzo Zorzi parcheggia la sua Shadow nell’erba, a lato della pista, proprio davanti ai box. L’italiano scende dalla macchina, ma dal posteriore escono delle fiamme, un piccolo principio di incendio, e due commissari corrono verso la monoposto, attraversando la pista proprio dietro al dosso, con gli estintori in mano. Arrivano tre vetture, la March di Hans Stuck, la Shadow di Pryce e la Ligier di Jaques Laffitte. Stuck, scavalcato il dosso che impedisce la vista di tutto il rettilineo si accorge all’ultimo del pericolo in pista e riesce ad evitare il primo inserviente, ma Pryce coperto dalla March del tedesco, centra in pieno il secondo. E’ uno studente olandese di appena 19 anni, Frederik Jansen van Vuuren, che viene travolto e letteralmente fatto a pezzi dalla macchina di Pryce. Il corpo risulterà talmente martoriato ed irriconoscibile al punto di dover radunare tutti i suoi colleghi e identificarlo per esclusione, perché gli addetti dell’obitorio, dopo averlo coperto con un telo bianco, si rifiutarono categoricamente di effettuare ulteriori accertamenti sul corpo.

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Sulla Shadow di Pryce si stacca il musetto e si rompe il roll bar, ma la macchina continua proseguendo e rallentando la sua corsa. Alla fine sbanda sulla destra, striscia con il guard rail mentre Laffite la sta superando. Infine in prossimità della curva “Crowthorne”, la Shadow rientra in pista dopo aver urtato contro l’uscita per veicoli d’emergenza e centra in pieno la vettura di Laffite che stava curvando, trascinandola con sé contro le reti, dove terminò la sua corsa. Laffite, senza nessuna conseguenza fisica, scende dalla sua Ligier e capisce che Pryce è ancora al volante della sua Shadow, ma il corpo è senza vita. L’estintore che Frederik Jansen van Vuuren aveva in mano, nell’impatto ad oltre 270 km/h ha colpito la testa di Tom Pryce. L’estintore pesa oltre 20 kg e l’affetto dell’urto a quella velocità è devastante. Il caso viene disintegrato e strappato di netto e Pryce viene parzialmente decapitato. Per avere un’idea della violenza dell’impatto, si pensi soltanto che l’estintore, dopo aver colpito Pryce ed aver divelto il roll-bar della vettura, fu proiettato successivamente al di sopra delle tribune che costeggiavano la pista e finì contro una vettura nel parcheggio del circuito, danneggiandola seriamente.

Il pilota gallese fu estratto dalla vettura e, pur essendo ormai morto, fu trasportato verso l’ospedale in autoambulanza mentre la corsa continuava. Passarono diverse decine di minuti prima che i due fatti fossero ricollegati e si capisse quindi l’effettiva causa della morte di Pryce.

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Anche lo stesso vincitore del Gran Premio, Niki Lauda su Ferrari, urtò un frammento rimasto sulla pista, la parte superiore del roll-bar della Shadow, che si infilò nel radiatore sinistro del raffreddamento provocando una lenta perdita di liquido e mettendo a rischio la gara dell’austriaco che terminò la gara col motore ormai surriscaldato.

Tom Pryce verrà ricordato da molti come un pilota semplice, di umili origini, ma con una gran forza di volontà ed indubbie doti che non è riuscito ad esprimere fino in fondo. E’ stato seppellito nella chiesa di San Bartolomeo di Otford, vicino a Sevenoaks, nel Kent.

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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