Published on Agosto 27th, 2024 | by Massimo Campi
0GP Italia nella storia: 08 settembre 1974, Ronnie Peterson con la nera Lotus sul gradino più alto
Di Carlo Baffi
Il 1974 segnò la rinascita della Ferrari per quanto concerne la Formula Uno. Dalla seconda metà degli anni ’60 ai primi anni ’70, il Cavallino aveva attraversato una crisi preoccupante con la conquista di un solo mondiale piloti nel 1964 con John Surtees sulla 158. Un bilancio molto parco mitigato dalle affermazioni nelle gare endurance, ma era indubbio che così non si poteva andare avanti e che indusse Enzo Ferrari ed i vertici Fiat (dal 1969 nelle stanze di bottoni di Maranello), a porre rimedio. Al termine del 1973, anno in cui la Rossa era giunta sesta tra i costruttori con solo 12 punti all’attivo (nessuna vittoria e neanche un podio) ebbe inizio una vera e propria rivoluzione copernicana che interessò piloti e quadri dirigenziali. Nel nuovo programma, l’attività si concentrò quasi esclusivamente sulla F.1, al vertice del settore tecnico fu posto Mario Forghieri, mentre nel ruolo di direttore sportivo spuntò un giovane avvocato, Luca Cordero di Montezemolo. I piloti Jacky Ickx ed Arturio Merzario non vennero confermati ed al loro posto arrivarono Clay Regazzoni, che vantava un trascorso a Maranello nel triennio ’70-’72 ed il 24enne Niki Lauda. Parliamo di un promettente austriaco messosi in evidenza con la March prima e la B.R.M. poi, che mostrò subito le sue doti di grande collaudatore in grado di trasferire le sensazioni di guida a tecnici e meccanici. Dalla mente del vulcanico Forghieri scaturì la 312B3 che nei primi due appuntamenti stagionali salì sul podio, un avvio promettente, preludio al primo trionfo del nuovo corso nel Gran Premio di Spagna del 28 aprile (4° round del mondiale) suggellato dalla doppietta, Lauda-Regazzoni. Da li in avanti la Ferrari andò in crescendo e Regazzoni divenne un pretendente alla conquista della corona iridata, anche se il suo compagno Lauda non si mostrò incline al gioco di squadra, anzi. Alla vigilia di Monza, la classifica vedeva al comando il ticinese con 46 punti, seguito da Scheckter (Tyrrell -Ford) 41, Lauda 38 e Fittipaldi (McLaren-Ford) 37. Tra i costruttori, il Cavallino guidava a quota 59, poi la McLaren a 55 e la Tyrrell a 45. Il 45° Gran Premio d’Italia era il terz’ultimo appuntamento dei 15 in calendario, di conseguenza risultava molto importante nella lotta al titolo. Se nelle prove del venerdì il più veloce era Carlos Reutemann sulla Brabham girando in 1’33”27, il giorno dopo sarebbe stato Lauda ad assicurarsi la partenza al palo col crono di 1’33”16 alla media di 223,357 km/h. Per lui era nona pole in 13 appuntamenti e confermava nuovamente il suo talento, mandando un chiaro messaggio a Regazzoni:” Questo Gran Premio per me è decisivo. Se voglio restare in lotta per il titolo, occorre che a Monza arrivi primo, o secondo. E per ottenere questo risultato era necessario ottenere un tempo per partire dalla prima fila.” Accanto al ferrarista sarebbe scattato Reutemann che nonostante vari tentativi non riuscì a migliorare la sua performance di venerdì. Dietro questi due si piazzarono le altre due Brabham di Pace e Watson, mentre Regazzoni si dovette accontentare del 5° posto davanti a Fittipaldi ed al coriaceo Peterson. Il pomeriggio dello svizzero non fu certo fortunato, complice un fuori pista con vari testacoda al Curvone:” Improvvisamente – racconta Clay – ho sentito la parte posteriore della macchina sbandare verso l’interno della pista. In una frazione di secondo mi sono trovato col muso nell’erba all’esterno della curva e per fortuna me lo sono cavata senza danni.” Un incidente a 250 all’ora provocato dal dechappamento del battistrada della gomma posteriore sinistra che una volta staccatisi urtò violentemente la carrozzeria piegando il puntone della sospensione: un problema risolto dai meccanici in poco meno di mezz’ora. Archiviato il brivido, il ticinese si disse pronto a fare una gara d’attacco:” ….se la vettura me lo consentirà. Altrimenti penserò ad arrivare fra i primi quattro. Circa il risultato più auspicabile, rispose senza pensare: “Primo io, secondo Lauda – aggiungendo – speriamo solo di non scannarci.” Davanti a 200mila persone ed alle telecamere di 13 televisioni, scattò la corsa e Lauda pigliò il comando seguito dalla tre Brabham. Regazzoni finito dietro, ebbe subito un bel da fare, ma dopo tre tornate sopravanzò i tre piloti della scuderia di Bernie Ecclestone. Lauda forzò il passo fiducioso nel suo mezzo che stava volando, nonostante i cenni di star calmo rivoltigli con le mani da Montezemolo che stazionava al muretto box con Forghieri, Ghedini e Campiche, il cronometrista della Heur che ad ogni G.P. controllava i tempi delle Ferrari. La gara proseguì con le due Rosse saldamente al comando, mentre nelle retrovie abbandonarono le Brm, la Hesketh di James Hunt ed al giro 16 pure l’idolo di casa, Vittorio Brambilla. Il monzese partito 13° era risalito già nono dopo il primo passaggio e poco dopo era addirittura transitato quinto. Peccato che alla 16^ tornata, nell’imboccare la chicane sul rettilineo, ebbe un problema ai freni finendo con la sua March-Ford oltre la deviazione terminando la sua traiettoria contro il guard-rail. Fortunatamente nessun danno per lui malgrado la botta, ma la delusione di concludere in questo modo il suo Gran Premio dopo un inizio così brillante fu davvero cocente. E purtroppo non sarebbe stata l’unica per i tifosi presenti. Dal 28° passaggio il capofila Lauda iniziò a rallentare e cedette il passo a Regazzoni. Forghieri allertò quindi i suoi uomini a star pronti per ricevere Niki, il quale rientrò tre giri dopo. I meccanici piombarono sulla monoposto dopo averla sollevata, il motore fu spento, poi riacceso ed infine ammutolì. A quel punto Lauda uscì dall’abitacolo e porse il suo casco alla fidanzata Mariella presente al box. Parlò prima con l’ingegner Rocchi, poi ai microfoni della TV austriaca a cui disse lapidario:” Ho rotto il motore, pensavo di poter vincere.” Una doccia fredda per il Cavallino confermata dal gesto di Sante Ghedini che sulla tavoletta per i messaggi a Regazzoni scrisse “Lauda out”. I giornalisti si precipitano da Forghieri che ammise la rottura:” Forse s’è rotto un condotto dell’olio. Era un motore nuovo montato nella nottata.” Informato del guaio sull’auto gemella, Clay continuò a condurre, ma la sua cavalcata s’interruppe di li a poco. Alla tornata 38, la Rossa numero 11 prese la via dei box cogliendo di sorpresa la squadra che però non fece nulla e lo lasciò ripartire. Peccato che dopo un centinaio di metri si fermò definitivamente. Altro motore ko! Così uno sconsolato Forghieri si rivolse ai suoi ragazzi dicendo:” Facciamo i bagagli, torniamo a casa.” Il commento di Regazzoni, dopo essere rientrato a piedi, fu altrettanto amaro:” Che tristezza questo ritiro, non ci voleva proprio. Se la gara fosse finita soltanto dodici giri prima, adesso mi festeggiavano non solo per la vittoria, bensì per la conquista del mondiale. Con un successo, che meritavo pienamente, o anche con il secondo posto dietro a Lauda avrei raggiunto un punteggio inattaccabile da Fittipaldi e Scheckter. Oramai ero in testa tranquillo senza problemi aggiunse il ticinese, la mia macchina era più veloce delle Brabham e delle Lotus. Poi a Lesmo ho sentito che si è rotto uno scarico, mi sono fermato, ma mi hanno detto di continuare finché potevo. E’ stata una giornata balorda. A metà corsa, mentre ero primo, mi sono ricordato le immagini della mia prima vittoria in F.1 proprio qui a Monza. Tutto è invece sfumato in pochi istanti.” Anche Lauda avrebbe fatto più chiarezza sul suo abbandono:” Ho visto andar giù la pressione dell’acqua e non ho avuto dubbi.” Senza più le Ferrari in pista, lo scettro del comando fu preso da Ronnie Peterson che a poco a poco aveva guadagnato posizioni al volante della sua Lotus-Ford nera ed oro, griffata con i marchi della “John Player Special”, la nota marca di sigarette. Il biondo 30enne svedese fu abilissimo a non farsi sorprendere da Fittipaldi, riuscendo ad averne la meglio nella volata finale. Terzo chiuse Scheckter e quarto un sorprendente Merzario, partito ultimo sulla Iso-Ford per una noia alla frizione che lo tormentò per tutto il G.P.” Non potevo accelerare a fondo – spiega il comasco – perché altrimenti rischiavo di spaccare tutto. Altrimenti non avrei faticato a salire sul podio.” E poi ecco la stoccata nei confronti della sua ex scuderia:” E’ il più bel risultato della mia carriera, con le Ferrari che si ritirano ed io che arrivo quarto.” Una sorta di rivincita verso chi l’aveva scaricato a fine ’73. Ma ritornando sull’ordine d’arrivo, va sottolineato che si trattò del curioso replay dell’anno prima quando Peterson precedette Fittipaldi con lo stesso margine, ovvero 8/10 di secondo. Un amarcord doloroso per il brasiliano che allora era compagno di Ronnie alla Lotus ed a Monza si stava giocando il titolo contro Stewart. Per uno strano malinteso (a detta di qualcuno ci fu del dolo) con il suo box diretto dal patron Colin Chapman, Peterson non gli cedette la leadership ed alla fine la corona finì sul capo di Stewart. Tra Fittipaldi e Chapman volarono gli stracci, col paulista che lasciò in malo modo la Lotus per accasarsi alla McLaren. Questa volta però la seconda piazza non sarebbe stata particolarmente indigesta ad Emerson, che grazie ai 6 punti guadagnati, salì al terzo posto tra i piloti ad una sola lunghezza da Scheckter ed a tre da Regazzoni. Pur avendo marcato uno zero, il ferrarista restava il leader della classifica, ma il suo margine si era ormai ridotto al lumicino con due appuntamenti da disputare. Dopo il successivo G.P. del Canada a Mosport, Fittipaldi raggiunse Regazzoni a quota 52 e due settimane dopo ci sarebbe stata la resa dei conti finale a Watkins Glen nel G.P. degli Stati Uniti. Un’altra corsa balorda per Clay. Dopo i 59 passaggi previsti, Fittipaldi conquistò la sua seconda corona, mentre il ferrarista concluse con un anonimo 11° posto e vide svanire il suo sogno iridato per tre punticini. La McLaren si aggiudicò anche il campionato costruttori precedendo la Ferrari di 8 lunghezze. Un finale spiacevole per il Cavallino, che però poteva guardare al futuro con fiducia ed ottimismo, perché la strada verso il riscatto era stata tracciata.