Published on Maggio 3rd, 2024 | by Massimo Campi
0Ken Tyrrell, il talent scouth
Ken Tyrrell “il boscaiolo”, è stato uno dei team manager di maggiore successo e un grande scopritore di giovani talenti.
Robert Kenneth Tyrrell detto Ken è nato a Guilford il 3 maggio del 1924, dopo la Seconda Guerra Mondiale, dove è stato ingegnere di volo nella Royal Air Force, diventa commerciante di legname, da cui il soprannome di “boscaiolo”; e nel 1951 inizia a correre in Formula 3 con una Cooper, ma ben preso capisce di avere molti più doti di organizzatore e team manager rispetto a quelle di pilota. Il manager inglese ha scritto alcune importanti pagine della nostra storia ed il 25 agosto 2001 a 77 anni è scomparso.
La storia del Team Tyrrell comincia con le piccole Cooper di F.3, dove inizia a vincere, tanto da diventare il team di riferimento del costruttore inglese. La grande stagione di Ken Tyrrell è quella legata a Jackie Stewart, con il risultato di ben tre titoli mondiali conquistati. Poi è iniziata una lunga fase calante del team, fino alla fine del secondo millennio, quando la Tyrrell è stata ceduta alla Bar di Craigh Pollock. Per Ken Tyrrell era definitivamente finita un’epoca, poco si sentiva integrato nello show business attuale, dove conta di più fare scena che mostrare risultati concreti, dove conta più essere un politico che un talent scout, forse la migliore caratteristica del boscaiolo. Finita la grande stagione, dopo avere scoperto Stewart, dalle sgrinfie dello Zio Ken sono passati tanti altri giovani di belle speranze, da Patrick Depailler a Ronnie Peterson, Jody Scheckter, Didier Pironi, Stefan Bellof, Michele Alboreto, Martin Brundle, Jean Alesì, insomma tutta gente dal piede pesante e cuore grande. Con la scomparsa di Ken Tyrrell finisce un pezzo di storia, che vale la pena di ricordare.
La gloria con i mondiali di Stewart
Dall’accoppiata Tyrrell-Stewart, esce una storia fatta da ben tre titoli mondiali piloti, uno come costruttore, 25 Gran Premi, 18 pole position, e 15 giri veloci in gara, una serie numeri veramente importanti, ma quel periodo finisce con il ritiro dello scozzese ed il dramma di Francoise Cevert a Watkins Glen.
Ken Tyrrell con la morte di Cevert deve correre ai ripari, ed ingaggia altri due giovani piloti: il francese Patrick Depailler ed il sudafricano Jody Scheckter. Entrambi però hanno qualche difficoltà a guidare la 007, la vettura realizzata da Derek Gardner e studiata apposta per le caratteristiche di Stewart e Cevert, che prediligevano telai corti e nervosi. Depailler nel 1974 corre anche con la March-BMW ufficiale in F.2 con cui conquisterà il titolo continentale. Scheckter riesce però a mettersi subito in mostra, dimostrando di avere quelle doti di campione che lo porteranno successivamente ad ereditare il posto di Lauda in Ferrari, vincendo ad Anderstop in Svezia, seguito in classifica da Depailler, ed a Brands Hatch.
Sei ruote
Nel 1975 viene confermata la coppia di piloti, ed il sudafricano Sheckter, pur con una vettura vecchia di tre anni, anche se aggiornata, riesce a conquistare una vittoria in casa a Kyalami. La grande rivoluzione avviene la stagione successiva con una grande sfida tecnica della monoposto a sei ruote.
Le monoposto di F.1 hanno una efficienza aerodinamica piuttosto scarsa. La sezione frontale delle vetture è sempre stata uno dei crucci dei progettisti, e per ridurre ulteriormente gli ingombri si sono intraprese varie strade. Una delle soluzioni più rivoluzionarie è stata quella intrapresa da Derek Gardner per la stagione 1976 che equipaggia la nuova monoposto con quattro piccole ruote anteriori. La vettura è presentata alla stampa nel settembre del 1975, e con grande sorpresa, quando viene scoperta dal telo che la avvolge, appare la prima F.1 a sei ruote. Nasce così la Tyrrell P34, con quattro pneumatici da 10 pollici sull’anteriore. Negli anni settanta si inizia a studiare sulla penetrazione aerodinamica delle monoposto ed uno dei problemi da risolvere è rappresentato dalle turbolenze generate dai grossi pneumatici. Con la sei ruote Gardner risolve il problema, contenendo l’ingombro entro il muso della vettura e migliorando il Cx.
La P34 ha una carreggiata anteriore di soli 126 cm, contro la larghezza del muso di 150 cm, ma le difficoltà di messa a punto e la mancanza di grip anteriore condizionano le prestazioni della vettura. I vantaggi teorici riguardano una migliore distribuzione dei carichi, una minore sezione frontale con una migliore penetrazione aerodinamica e maggiori velocità di punta, una migliore prontezza dello sterzo data dalle gomme di piccolo diametro. Per contro si ha una maggiore complessità del sistema con conseguenti problemi di messa a punto delle quattro ruote che devono sterzare assieme mediante una serie di rinvii. Patrick Depailler è il primo pilota che conduce in gara la P34, nel G.P. di Spagna del 1976. In Svezia arriva la grande affermazione con una doppietta di Jody Scheckter e Depailler, ma seguono numerosi ritiri e notevoli difficoltà di messa a punto. In seguito Gardner è costretto ad allargare la carreggiata anteriore, per diminuire in parte gli effetti negativi sulla tenuta di strada, ma così viene a perdere i vantaggi aerodinamici delle gomme di piccolo diametro. Nel 1977 il sudafricano emigra alla Wolf e viene sostituito da Ronnie Peterson. Anche un funanbolo della guida come lo svedese ha problemi con la tenuta di strada della P34 e per la stagione successiva il boscaiolo ritorna ad una vettura più convenzionale, la 008 progettata da Maurice Philippe che proviene dalla Lotus dove ha disegnato la 72 a cuneo.
La scoperta di Alboreto, ultimo vittorioso
Con la 008 del 1978, Patrick Depailler vince il G.P. di Monaco, mentre sulla seconda vettura corre un giovane Didier Pironi, altra scoperta dello Zio Ken, sempre alla ricerca di talenti. Nel 1979 si corre con la 009, progettata da Maurice Philippe. E’ una vettura ad effetto suolo, ennesima copia della Lotus 79 ed è pilotata da Pironi e da Jean Pierre Jarier. Nella stagione successiva è Derek Daly ad affiancare Jarier, ma senza cogliere nessun risultato di rilievo. Ken Tyrrell è sempre fedele al Ford-Cosworth, ma il V8, nonostante i continui aggiornamenti, mostra il passo di fronte ai moderni motori turbo, come il V6 Renault ed il Ferrari.
Il boscaiolo è sempre alla ricerca di piloti dal piede pesante ed incontra un giovane milanese, Michele Alboreto, che gli darà le ultime grandi soddisfazioni. Alboreto è fresco vincitore del titolo Europeo di F.3, e debutta nel 1981 ad Imola sulla 010 al fianco dell’americano di Roma Eddy Cheever. Il pilota della Scuderia Salvati, nato sulle piccole F.Monza, entra ben presto in sintonia con il team inglese, pilotando per tre stagioni le sue vetture. Il grande giorno arriva nell’ultimo gran premio del 1982, a Las Vegas, con la prima vittoria di Alboreto in una gara mondiale al volante della 011. La stagione successiva ripete l’impresa, il 5 giugno 1983, sul tracciato cittadino di Detroit sempre al volante della 011. In piena era turbo il milanese riesce a portare per l’ultima volta sul gradino più alto del podio il glorioso V8 Ford-Cosworth, nella ultima versione DFY, è anche l’ultima vittoria per una vettura di Ken Tyrrell. Enzo Ferrari, visti i risultati, si interessa al pilota italiano che diventerà pilota della scuderia di Maranello a partire dalla stagione successiva.
Un lento declino
Perso Alboreto, Ken Tyrrell fa correre nuovi giovani del calibro di Stefan Bellof, Martin Brundle, Stefan Johansson ed anche Mike Thackwell ma il 1984 sarà una delle più brutte annate per il boscaiolo. La Tyrrell è l’unica squadra rimasta fedele al DFV, mentre tutte le altre vetture di F.1 corrono con i motori turbo. Spesso le vetture fanno fatica a qualificarsi ed allora il boscaiolo inventa un sotterfugio, facendo correre le sue vetture sottopeso, e rabboccando in ultimo liquido misto a palline di piombo per rientrare in verifica. Viene pescato, gli vengono tolti i punti in classifica, protesta vivamente e come conseguenza viene negata la partecipazione alle gare del Team Tyrrell da Monza fino a fine campionato, una squalifica tra le più gravi inflitte nella storia della F.1. Nel 1985 rientra nel Campionato Mondiale, ed ottiene il V6 Renault Turbo con cui corre per due stagioni, per poi tornare nuovamente in casa Ford con il V8 DFZ e DFR. Per lo Zio Ken continuano a correre Martin Brundle e Stefan Bellof, fino a quando, in settembre, il campione tedesco rimane vittima di un incidente nella 1000 Km di Spa, al Radillon con una Porsche. Seguono nelle stagioni successive Philippe Streiff, Jonathan Palmer e Julian Bailey, ma i grandi risultati sono ormai un ricordo.
Nel 1989, Michele Alboreto finita l’esperienza il cavallino rampante ritorna a correre con le vetture del boscaiolo. In Ferrari domina la figura di John Barnard, tanto in gamba come progettista, ma una frana nei rapporti umani, tanto che Harvey Postlethwaite è emigrato da Maranello ad Ocknam facendo coppia con Jean Claude Migeot, anche lui ex Ferrari, esperto in aerodinamica. Il trio Alboreto-Postlethwaite-Migeot realizza uno degli ultimi capolavori della Tyrrell, con la nuova 018 che subito si dimostra competitiva, ma non è l’italiano a coglierne i frutti, bensì il giovane arrembante Jean Alesì. Il francesino, campione di F.3000, porta in dote la Camel, disposta a sponsorizzare il passaggio nella massima formula. Alboreto è sotto contratto Philip Morris, che non è disposta a finanziare interamente il team, e Ken Tyrrell appieda immediatamente il milanese che finisce la stagione con la Lola Larrousse.
Nel 1990 la Tyrrell inizia alla grande la stagione con un arrembante Jean Alesì che riesce a tenere testa ad Ayrton Senna per 33 giri nel toboga di Phoenix, poi il brasiliano passa, ma il francese riesce ad arrivare secondo con la vecchia 018. Ad Imola debutta la nuova 019, una monoposto destinata a fare scuola. Migeot, grande esperto di aerodinamica, studia l’importanza dei flussi d’aria che passano nel sottoscocca. Per far funzionare bene i profili estrattori posteriori è necessario incanalare nel miglior modo possibile lo strato d’aria che passa tra la monoposto ed il suolo. L’ala anteriore in genere crea dei vortici di disturbo e blocca anche il passaggio dell’aria. Migeot allora alza notevolmente il muso per fare affluire maggior aria possibile sotto la vettura e creare deportanza, ma così facendo annulla l’effetto dell’ala anteriore. Per avere entrambi i benefici il tecnico francese realizza l’alettone anteriore con il particolare profilo ad ala di gabbiano, ovvero con il muso alto ed i baffi che scendono fino al suolo con un profilo spiovente. In questo modo riesce a fare passare molta aria sotto la vettura pur mantenendo un effetto deportante anche sull’ala anteriore, una soluzione aerodinamica ancora ampiamente utilizzata su tutte le monoposto. Jean Alesi riesce spesso a tenere testa a vetture molto più potenti e conquista il secondo gradino del podio a Montecarlo. Sono gli ultimi fuochi per la scuderia di Ocknam, in seguito otterrà i V10 Honda campioni del mondo ed il V10 Yamaha. I piloti sono ancora validi, tanti ci tengono a debuttare o a correre con le vetture del boscaiolo, e tra questi vi sono Stefano Modena, Mark Blundell, Andrea De Cesaris, Gabriele Tarquini, Ukio Katayama, Mika Salo, Jos Verstappen.
L’ultima trovata tecnica del Team Tyrrell è quella del 1998 ad opera del direttore tecnico Mike Gascoyne, succeduto a Postlethwaite che è andato a dirigere il programma per il ritorno dell’Honda in F.1. La Fia impone drastiche riduzioni aerodinamiche, ma analizzando bene il regolamento Mike Gascoyne, nota che c’è un buco nelle norme ed introduce dei piccoli alettoni supplementari montati su prolunghe ai lati dell’abitacolo, soprannominati “candelabri”. La soluzione fa subito scuola, soprattutto nei tracciati lenti dove serve maggior carico aerodinamico e ben presto quasi tutte le altre squadre adottano i candelabri, ma la federazione li mette al bando dopo Imola.
Nelle ultime stagioni le fiancate delle sue vetture sono sempre più spoglie, Ken Tyrrell è fuori dai grandi sponsor, ma il nome ha ancora un buon peso politico. Bernie Ecclestone lo teme, il boscaiolo, nonostante l’aspetto sornione è un duro, sia con i giovani piloti che con gli altri team manager. Non ama la notorietà, le pubbliche relazioni, le aree di ospitalità, il sistema dello show business, e tutto quanto è al di fuori della pista, ma lo sopporta solo per avere i finanziamenti necessari dagli sponsor e continuare a fare correre le sue vetture. E’ sempre l’ultimo a firmare i vari patti della Concordia, a dare l’assenso per i cambi regolamentari, e dimostra di essere anche un buon affarista in un mondo dominato da nuovi falchi.
L’ultima sua grande impresa è quella di strappare alla British American Racing, nel 1998, un mare di miliardi, per rilevare il Team Tyrrell, e vendere a Paul Stoddart la sede storica di Ocknam con annesse le vecchie monoposto. Nel 1998 il Team Tyrrell è ancora iscritto al campionato, ma la proprietà è già passata di mano ai nuovi proprietari ed il boscaiolo è ormai fuori dalla sua creatura. Nell’ultima stagione corrono per la scuderia inglese il giapponese Toranosuke Takagi ed il brasiliano Ricardo Rosset con la 026 motorizzata con il V10 Ford-Cosworth. L’ultima gara è il G.P. del Giappone a Suzuka, è il primo novembre 1998, corre solo il pilota giapponese che parte in 21° posizione e si ritira al 28° giro, per incidente, mentre era al 15° posto. Infine ci pensa il cancro a sconfiggere la dura scorza dello Zio Ken ed a mettere fine a questa lunga storia durata 28 anni.
Il Team Tyrrell non ha conquistato gli allori di Lotus o Mc Laren nei 418 gran premi che ha disputato, ma ha lasciato una grande traccia in F.1 Il boscaiolo non era un tecnico come Colin Chapman, sempre animato da spirito di ricerca e da colpi di genio innovativo, ma un pragmatico, un organizzatore con un grande senso pratico, anche se a volte ha lasciato mano libera ai suoi responsabili tecnici, come Derek Gardner. Con la scomparsa di Ken Tyrrell finisce un pezzo di storia della F.1, quella degli anni eroici, quando non c’erano ancora i grandi costruttori, gli sponsor multimiliardari, le multinazionali, ma erano gli assemblatori, i “garagisti”, come li chiamava Enzo Ferrari, a dettare legge.
Immagini © Ford Press – Raul Zacchè/Actualfoto – Massimo Campi