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Published on Marzo 9th, 2023 | by Massimo Campi

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Autodelta: una storia di corse al Museo Cozzi

 

Parlare dell’Autodelta è sempre una grande sfida, la struttura di Settimo Milanese non era solo un reparto corse, ma una vera industria dove venivano preparate ma anche realizzate, fantastiche vetture che hanno portato in alto il nome Alfa Romeo con i loro successi. L’Autodelta è stata fondata il 5 marzo 1963 e la ricorrenza è stata festeggiata al Museo Cozzi di Legnano con tanti appassionati che sono accorsi per celebrare una storia di corse che ha segnato un’epoca irripetibile.

L’Autodelta era una azienda che occupava circa persone, oltre alle vetture si è occupata anche di motonautica ed alcuni scafi hanno conquistato gare e record con i motori Alfa preparati a Settimo. Anche la sicurezza nella corse è stata affrontata da Chiti, con il serbatoio antincendio.

Tanti sono stati i piloti che hanno guidato le vetture realizzate a Settimo Milanese, tra loro c’è Bruno Giacomelli, il pilota che ha riportato le monoposto del biscione nella massima formula.

“È stata una esperienza unica correre con l’Alfa Romeo. il primo contatto con l’Autodelta è stato a Balocco: vedo la Alfa 177, che poi portammo in pista nel GP del Belgio, dentro alla Cascina Luisina con sopra la gigantografia di Nino Farina al volante della Alfetta. Un grande contrasto tra il rosso della Alfa 177 e la foto in bianco e nero, che creava una grande emozione visto la storia della Alfa. L’Alfa 177 è stata la prima vettura, poi arrivò la 179 ed abbiamo fatto tre stagioni assieme: 1980, 1981 e 1982. Lavorare con i meccanici è sempre stato molto bello, era gente sempre disposta a mettere in campo tutta la loro esperienza e la voglia di fare. “

Nel 1980 l’Alfa Romeo era diventata una delle monoposto top della categoria.

“Il 1980 è stato il primo anno completo del ritorno Alfa Romeo nella Formula 1 dopo quasi tre decenni. il tutto è iniziato l’anno precedente con una monoposto ormai vecchia come concezione, l’avevo soprannominata “il carrarmato” da tanto era sovradimensionata e pesava 65 kg oltre il limite previsto. Era stato l’ingegnere Chiti a volere la Formula 1: da quando era stato licenziato dalla Ferrari ha sempre perseguito il sogno di rientrare nella massima formula per battere le vetture di Maranello. Tutto il suo percorso in Autodelta è stato improntato su questa sua idea, partendo dalle preparazioni turismo per poi passere alla costruzione prototipi ed infine rientrare con le monoposto.”

Tre stagioni senza però nessuna vittoria in Formula 1.

“Sono stati tre anni veramente difficili, e non voglio sentire parlare di sfortuna. L’Autodelta è partita praticamente da zero nella realizzazione di una monoposto ed in tre anni è arrivata ai massimi livelli, c’è mancato poco al successo, ma pochissimi team sono riusciti ad avere un simile progresso prestazionale in così poco tempo ed in un periodo molto difficile per i regolamenti tecnici in continuo cambiamento. Alla fine l’Alfa Romeo, quando poteva disporre di un mezzo veramente competitivo, ha deciso di uscire dalla gestione diretta della Formula 1 lasciando ad altri la gestione, vanificando in parte il grande lavoro svolto dai tecnici, dai meccanici ed anche dai suoi piloti che avevano contribuito a sviluppare la monoposto.

A Settimo Milanese si era partiti da un foglio bianco per realizzare la prima monoposto.

“Ho un ricordo molto preciso di quei momenti, mi fecero sedere su un piano di riscontro in mezzo a due paratie di legno, presero tutte le varie misure per l’abitacolo, e decisi io dove posizionare il leveraggio del cambio, la pedaliera, la posizione e l’inclinazione del volante ed i vari comandi nell’abitacolo. Allora il pilota era il computer del giorno d’oggi ed erano le sue sensazioni e l’esperienza che diventavano determinanti per lo sviluppo della monoposto. Era il pilota che immagazzinava tutte le varie sensazioni per poi trasferirle all’ingegnere di pista per sviluppare la monoposto. Il 1980 era iniziato con tante difficoltà, poi siamo riusciti a sviluppare la vettura e le due monoposto migliori a fine stagione eravamo noi con la Williams. Entrambi eravamo riusciti a fere una ottima monoposto che sapeva sfruttare al meglio l’effetto suolo con le minigonne scorrevoli.

Erano anni in cui cambiavano spesso le regole tecniche per assecondare il costruttore di turno.

“A fine stagione avevo già provato la macchina nuova a Balocco per il 1981, ed in poche tornate avevo già superato il precedente record sul giro. Però a fine del 1980 la Good Year si è ritirata dalla corse ed hanno eliminato le minigonne scorrevoli che erano i punti di forza dell’Alfa Romeo. Ci siamo trovati con la macchina praticamente da rifare visto che era stato drasticamente ridotto l’effetto suolo e le macchine dovevano avere una altezza minima da terra.”

Gli inglesi però inventarono i martinetti idraulici

“Carlo Chiti era il responsabile di una macchina che portava il nome di una azienda di stato e voleva stare ligio alle regole mentre gli inglesi avevano inventato i martinetti idraulici che potevano abbassare le vetture mentre erano in pista riattivando l’effetto suolo. Durante le verifiche le monoposto rispettavano l’altezza da terra di 6 centimetri previsti dal regolamento delle FIA, poi appena uscivano abbassavano la vettura, nonostante alcuni reclami tutti i team britannici hanno adottato il sistema e più nessuno si è lamentato. In seguito è arrivato l’Ingegnere Ducarouge che copiò il sistema degli inglesi e la monoposto ritornò ad essere competitiva nella seconda parte della stagione 1981. La monoposto andava veramente bene, ma cambiano nuovamente le regole per il 1982. La nuova  macchina va comunque bene, Andrea De Cesaris conquista la pole a Long Beach ed io sono terzo in griglia a Montecarlo, ma dopo pochi giri di gara, mentre ero tra i primi, si rompe un semiasse lasciandomi per strada. Con le Michelin la monoposto ha dei problemi e perdiamo competitività con il passare della stagione.”

Carlo Chiti era un valido tecnico

“L’ingegnere toscano era un tecnico di primissimo piano.  Nel 1980 la nostra monoposto aveva già delle parti in carbonio nella costruzione del telaio, una vera innovazione per quel tempo. Il grosso problema di Chiti era la politica all’interno dell’azienda: la maggioranza del tempo la doveva passare a fare riunioni e varie discussioni per ottenere finanziamenti e fare valere i risultati ottenuti, poi c’erano i vari politici di turno che volevano solo sfruttare il nome e pretendevano cose a volte assurde. La pole position a Watkins Glen fu il nostro maggior risultato, la sera facemmo una cena nell’hotel ed è stata la volta che ho visto l’ing. Chiti che sembrava in paradiso, era l’uomo più felice del mondo. Era una macchina eccezionale, la stavamo sviluppando quando sono cambiati i regolamenti e siamo dovuti ripartire da capo. ”

L’Autodelta è stata soprattutto pista ma anche i rally hanno visto al via le Alfa Romeo ed è stato Leo Pittoni, che ha guidato le auto per la scuderia italiana. Pittoni correva nei rally e nella vita di tutti i giorni faceva il giornalista, l’Autodelta lo ingaggia per portare in gara l’Alfetta GTV ed il miglior risultato è stato la conquista del titolo Europeo 1977.

“In realtà l’ingegnere Chiti aveva in testa solo la pista, tra Formula 1 e prototipi e non aveva intenzione di preparare delle macchine da rally, una specialità che non conosceva, ma arrivò l’imposizione dalla direzione di Arese e l’Autodelta si dedicò al nuovo progetto. L’Alfa Romeo vedeva nella macchine da rally una ottima pubblicità per le macchine di serie. Il mio primo contatto con la struttura di Settimo Milanese risale al 1974, presentato da Roberto Angiolini del Jolly Club. Entro nello studio di Chiti e lo trovo seduto alla scrivania con le due poltrone davanti occupate dai suoi due cani che non si spostano. Io devo rimanere in piedi e dopo una chiacchierata firmo il primo contratto come pilota. Mentre stavo uscendo Chiti mi richiama con il suo ragioniere e fa subito inserire una postilla nel contratto con l’obbligo di non diffondere nessuna informazione come giornalista di quello che avrei visto in Autodelta, pena l’annullamento dello stesso contratto!”

L’Autodelta non aveva esperienza nei rally.

“Chiti mise subito all’opera Zeccoli e Severi, i due collaudatori, che non avevano esperienza con macchine di quel tipo e gli inizi furono alquanto difficili nel riuscire a trasmettere a loro il tipo di assetti necessari per macchina che doveva correre sulle strade e non sull’asfalto levigato di una pista. In seguito sono arrivati i primi successi, ma l’Autodelta non si è mai entusiasmata alle gare su strada. Arrivavo dalla vittoria del Campionato Italiano con la Porsche nel 1974 e  nel 1975, quando mi sono ritrovato alla guida dell’Alfetta, ho subito capito che c’era un grosso lavoro da fare per lo sviluppo. La preparazione è durata due mesi, ed i primi risultati sono arrivati all’Elba dove abbiamo vinto con Ballestrieri, io sono secondo ed Andruet ha conquistato il quarto posto in classifica. La macchina c’era, era un po’  pesante rispetto alla concorrenza, ma il motore aveva 200 cv che non erano certamente pochi per quel periodo. A fine 1975 l’Alfa ha deciso di non investire più nei rally anche se continuava a partecipare, e nel 1977 con i nuovi motori sono riuscito a vincere il titolo europeo. In seguito l’Alfa ha proseguito con Ballestrieri e Verini ma senza mai impegnarsi a fondo.”

Nel 1977 avete perso il Titolo Italiano contro la Opel.

“Eravamo in testa all’italiano, si ruppe il motore al Rally di Sanremo e la vittoria andò ai nostri avversari. La stagione non era finita, c’era ancora in ballo il titolo europeo e siamo andati a fare il rally di Turchia. I meccanici sono partiti all’ultimo momento e con una bisarca ed hanno attraversato tutta la Iugoslavia, la Grecia etc, in pratica 2.500 km senza mai fermarsi pur di arrivare con la macchina in tempo a Istanbul per la partenza della gara. Era fine novembre e fare le strade iugoslave in quel periodo non era certamente semplice, ma quelli erano i meccanici della squadra corse, sempre pronti al sacrificio pur di ottenere il risultato.”

Infine Gippo Salvetti, fondatore di Alfa Blue Team ricorda così le prime volte che ha sentito parlare di Autodelta “Erano gli anni ’60, andavo a vedere le gare a Monza ed una delle prime vetture che mi impressionò fu la GT Junior preparata dall’Autodelta, che era la GT ancora tutta in lamiera di acciaio, prima della GTA, che fece qualche gara ed andava già fortissimo. Sullo schieramento di partenza c’erano quattro Fulvia HF davanti, ma quando il gruppone al primo giro è arrivato alla seconda di Lesmo dove noi appassionati eravamo in tribuna, le Alfa GT Junior rosse erano già davanti. Il secondo ricordo che ho della Autodelta  risale all’aprile del 1969, quando in famiglia arriva una 1750 Gt Veloce. Cambiamo subito cerchi e gomme, ma sui dossi le gomme più grandi toccano nei parafanghi. Passiamo davanti all’Autodelta a Settimo Milanese, suoniamo il campanello e ci fanno entrare. Spieghiamo il problema ad un tecnico che ci ha guardato inizialmente con un po’ di stupore, ma ci ha fatto accomodare in un salottino e dopo un’ora ci riconsegnano la macchina sistemata nei passaruota, con un conto di sole 16.000 lire da pagare, praticamente circa 200 Euro odierne. Mi vengono ancora i brividi se ripenso a quella avventura e come sia impossibile al giorno d’oggi varcare la soglia di un reparto corse così famoso per due giovani che amavano le macchine dell’Alfa Romeo.”

Immagini ©Massimo Campi – Alfa Romeo

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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