Published on Marzo 12th, 2018 | by Massimo Campi
0Autodelta, 55 anni fa
Nel 1963 nasceva la squadra corse dell’Alfa Romeo
La rinascita sportiva dell’Alfa Romeo ha un nome: Autodelta, la squadra corse che ha saputo vincere tante corse, campionati, titoli, ma soprattutto che ha saputo far rivivere al marchio del biscione quella vocazione sportiva insita nel suo dna. L’Autodelta è quella realtà che a Settimo Milanese, in un anonimo capannone di periferia, ha sfornato alcune tra le più belle e note vetture che hanno fatto sognare gli automobilisti degli anni ’60 e ’70, con le vetture turismo che vincevano le corse, fino a conquistare gli allori con i rossi prototipi ed a far sognare la formula uno.
L’Autodelta nasce però lontano da Milano, a Tavagnacco, in un paese a ben 400 Km di distanza, in provincia di Udine, dentro ad una concessionaria di auto di serie. In poche parole, assemblava le Tz1 che poi venivano messe a punto dall’Alfa Corse di Milano, in via Gattamelata. Il proprietario era l’ing. Chizzola, ma era anche amico dell’Ing. Chiti, che in quel momento è libero da impegni.
Ma per capire come nasce la storia bisogna fare un passo indietro quando Manuel Fangio vince il suo primo titolo mondiale nel 1951 con l’Alfetta 159, il secondo consecutivo per l’Alfa Romeo dopo quello del 1950 di Nino Farina e la fabbrica del Portello chiude improvvisamente il reparto corse per dedicarsi alla produzione di serie. Il manager, Giuseppe Luraghi, chiamato da Finmeccanica al timone della fabbrica, è costretto a prendere una decisione importante, che lascerà l’amaro in bocca a tanti appassionati del marchio del biscione. Luraghi ha una missione: deve salvare l’Alfa Romeo, una ditta dal passato glorioso, ma con i conti in rosso, in pratica al fallimento. L’Alfa produce poche macchine l’anno e qualche motore aeronautico; durante il periodo bellico si occupa anche di serramenti e di tante altre cose, ma senza un vero piano industriale, ed i bombardamenti hanno segnato pesantemente le sorti della fabbrica. Luraghi intuisce che l’automobile diventerà il traino dell’economia italiana, ma bisogna essere competitivi, fare grossi numeri, proporre modelli appetibili, con sistemi industriali moderi come le catene di montaggio. Il Portello diventa una vera fabbrica di automobili, l’Alfa Romeo è ben presto una realtà industriale italiana, ma l’anima sportiva cova sempre sotto la cenere. Gestire una squadra corse diventa difficile con le procedure di una azienda statale, Luraghi, grande appassionato, all’inizio degli anni ‘60 capisce che le corse sono un grande veicolo pubblicitario e l’Alfa Romeo deve riconquistare la sua immagine sportiva per far breccia nel cuore degli appassionati, per far di nuovo sognare. C’è la Giulia, va veloce, i preparatori la fanno volare, il quattro cilindri bialbero ha tanti cavalli, nella categoria turismo inizia a vincere, ma la Ford affida la sua Cortina a Colin Chapman che la fa volare con Jim Clark.
Ci vuole un salto di categoria, si pensa alla nuova Giulia Tz1, un bellissimo coupè sportivo, ma produrlo al Portello o peggio ancora ad Arese è quasi impossibile visto i vincoli statali dell’IRI. Meglio affidare il tutto ad una struttura esterna, agile e veloce nella costruzione. È qui che entra in scena la struttura friulana, con Carlo Chiti che non si tira indietro ed è pronto ad una nuova sfida. Nel marzo del 1963 viene costituita l’Autodelta, Luraghi vince la sua scommessa, le Tz1 vengono prodotte velocemente, la struttura funziona, ma il grande capo dell’Alfa la vuole più vicino, ma non dentro Arese o Portello. Il trasloco avviene già l’anno successivo e l’Autodelta approda a Settimo Milanese, da quel momento diventerà la nuova struttura corse dell’Alfa Romeo e sarà questa piccola struttura che riporterà sulle piste il marchio italiano conquistando gli ultimi allori mondiali.
Autodelta significa anche Carlo Chiti, il geniale tecnico che darà vita a moltissimi progetti sino al ritorno in Formula Uno. Chiti, ingegnere aeronautico toscano, appassionato di chimica, lavora in Montecatini, quando, per avvicinarsi alla fidanzata di Milano, che diventerà presto sua moglie, entra al Portello, settore motori aeronautici. Ben presto la sezione aeronautica viene trasferita a Napoli, Chiti allora accetta di occuparsi di automobili e viene inviato come tecnico al seguito di Fangio alle corse. Appassionato, sanguigno, si innamora dell’ambiente dove bisogna trovare soluzioni immediate, l’ideale per il suo carattere e l’approccio che ha con il lavoro. Le corse saranno la sua vita, dall’Alfa emigra a Maranello, diventa il direttore tecnico del cavallino rampante, vince il titolo mondiale 1961 con Phil Hill, poi la piccola parentesi in ATS, e l’arrivo all’Autodelta, un cerchio che si chiude nuovamente con la fabbrica del Portello. Chiti si mette subito al lavoro, bisogna vincere con la turismo, e scopre che, nelle pieghe dei regolamenti, si può far correre la versione coupè della berlina di Arese. La Gt è molto più agile della Giulia berlina, ed anche più leggera, ma le misure interne dell’abitacolo non sono sufficienti per i regolamenti della categoria turismo, a meno che si rinunci ai sedili posteriori. Presto fatto i sedili possono essere venduti come optional, e per pochissimi centimetri di spazio nell’abitacolo la Gt può essere schierata in pista. Per combattere contro la leggera Ford il tecnico toscano si inventa di far ricostruire la carrozzeria con la lamiera di alluminio, nasce così la GTA (Alleggerita), vola sulle piste di tutta Europa, e per la Ford Cortina Lotus c’è ben presto il viale del tramonto. Non contento Chiti si inventa anche la GtAm, ovvero parte dalla base della Gt 1750 venduta in America, aumenta la cilindrata a due litri e domina le corse sfruttando la nuova iniezione prodotta dalla Spica, e per conquistare anche il titolo nella categoria minore nasce la GTA junior, la versione corsaiola della Gt di 1,3 litri, una vera bomba che spesso da la paga a vetture ben più alte di cilindrata.
Nonostante i vincoli di una industria statale, con Chiti e Luraghi che spesso dovevano giustificare le scelte ed i costi ai politici di turno, da Settimo Milanese continuano ad uscire nuovi progetti. La nuova frontiera sono i prototipi, la categoria più seguita negli anni ’60, quando la Formula Uno era una categoria di secondo piano con i garagisti inglesi che assemblavano le macchine nei capannoni, mettendo assieme motori Ford con trasmissioni Hewland e pezzi prodotti quasi in serie da piccoli artigiani specializzati.
Le auto da corsa sono sempre le grandi protagoniste di questa storia che, dopo le varie GTA che conquistano i titoli europei, continua con i prototipi 33 che vincono i mondiali. Ma ci sono anche i rally, la motonautica, infine la Formula Uno. L’Autodelta è stata anche un bacino per la crescita di tanti piloti italiani che devono la loro carriera al biscione: Ignazio Giunti, Andrea De Adamich, Teodoro Zeccoli, Carlo Facetti, Gianluigi Picchi, Nanni Galli, Arturo Merzario, Vittorio Branbilla, Bruno Giacomelli, Andrea De Cesaris, Giorgio Francia giusto per citarne alcuni. Oltre ai campioni nostrani, grandi driver internazionali si sono seduti nell’abitacolo delle vetture dell’Autodelta: Jochen Rindt, Lucien Bianchi, Jacky Ickx, Ronnie Peterson, Jaques Laffitte, Jochen Mass, Toine Hezemans, Henri Pescarolo, Jean Pierre Jarier, Rolf Stommelen, Mario Andretti, Patrick Depailler.
I traguardi raggiunti sono stati tanti, ma spesso con grande fatica nel dovere raggiungere gli obbiettivi con il peso di una struttura che doveva rendere conto alla politica ed alla macchina statale. Scelte che, alcune volte, hanno sacrificato risultati importanti, come la mancata disputa della stagione 1976, quando i prototipi 33-3litri potevano dominare la scena mondiale, ma non c’erano i budget necessari per le corse. Stessa situazione nel 1974, quando la macchine italiane erano alla stessa altezza della Matra che vinsero a mani basse il titolo. Anche in Formula Uno, l’Alfa Romeo ha saputo arrivare ai vertici velocistici nell’arco di un paio di stagioni e quando si poteva raccogliere i frutti è arrivato l’ennesimo veto politico con la cessione a strutture esterne di macchine e materiali. Lo spirito dell’’Autodelta finisce di esistere con l’abbandono dell’Ingegnere Chiti nel 1984, quando la politica ha definitivamente la meglio sulla passione. È stata sicuramente una grande avventura, una storia di uomini, di passione tutta italiana, con i successi e quelle fantastiche auto che hanno saputo rilanciare il marchio Alfa Romeo ai vertici sportivi mondiali ed ha fatto sognare tanti appassionati ai bordi delle piste di mezzo mondo.