Published on Dicembre 17th, 2017 | by Massimo Campi
0Il fornitore Alfa Romeo
Quando i motori Alfa Romeo correvano in Formula Uno.
Il marchio Alfa Romeo torna in Formula Uno come fornitore della Sauber, una semplice manovra di marketing targata Sergio Marchionne che ha così commentato l’operazione durante la presentazione al museo di Arese: “È un momento importante per il nostro brand, e anche per la Formula 1; è anche il segno tangibile di quanto il gruppo FCA creda in questo sport. Da quando ci siamo impegnati nella ricostruzione del marchio Alfa Romeo, siamo sempre stati convinti che dovesse esprimere il proprio potenziale anche nelle corse, là dove il marchio è nato e si è fatto conoscere. Sono passati più di trent’anni dall’ultima partecipazione di Alfa in F1; oggi credo sia un momento speciale, non solo per noi, ma anche per il nostro paese. Oggi ridiamo ad Alfa Romeo il palcoscenico che le spetta, riportando alla luce il mito di Alfa nelle corse e un marchio premium che è il simbolo del migliore know-how italiano.”
Bianca e rossa la livrea della Alfa Romeo targata Sauber, con due giovani piloti pronti a scendere in pista per la stagione 2018: Charles Leclerc, 20 anni, campione del mondo di Formula 2 e parte della Ferrari Driver Academy, e Marcus Ericsson, confermato per la terza stagione in Sauber. Il tutto a suggellare una nuova operazione del marketing FCA, con i propulsori made in Maranello con la livrea del marchio del biscione.
Alfa Romeo a Formula Uno, una storia altalenante
Tra la storica fabbrica del Portello e la massima formula c’è stato un rapporto spesso travagliato, dopo i primi due mondiali, conquistati con le Alfette 158 e 159, da Nino Farina e Manuel Fangio. Due vittorie secche, con una vettura che, in realtà, era made in Maranello, voluta da Enzo Ferrari con la sua Scuderia per correre nella categoria “Vetturette” anteguerra, poi riesumata dai regolamenti post bellici quando sono ripartite le corse automobilistiche. La categoria Grand Prix non esisteva più, appannaggio della tecnologia tedesca dispersa tra le bombe della guerra e la Germania divisa in due blocchi, ovest ed est. Per ritornare a correre non rimaneva che ritirare fuori dai nascondigli le monoposto Vetturette, Alfa, Maserati, Talbot, Gordini e creare un nuovo campionato mondiale.
La vettura era nata a Modena, disegnata e costruita nelle officine della Scuderia Ferrari, quando ancora era il reparto sperimentale e si occupava di gestire i programmi sportivi della fabbrica milanese. L’Alfa Romeo 158 era stata progettata da Gioacchino Colombo con la collaborazione nella zona delle sospensioni e del cambio di Alberto Massimino. La monoposto, nata nella primavera del 1937 era equipaggiata con un motore 8 cilindri sovralimentato di 1.500 cc. La sigla 158 derivava dalla cilindrata e dal numero di cilindri. Venne subito rinominata “Alfetta”, un nome che resterà nella storia della marca del biscione, ma sarà identificata anche come una delle auto più longeve con una carriera sportiva durata ben 13 anni. Gareggiò in varie versioni, ma mantenendo sempre l’impianto costruttivo originale, attraversando gli anni del periodo bellico. La 158 venne progettata per la categoria delle “vetturette” per non andare a scontrarsi con le potenti vetture da Grand Prix dove imperversavano Auto Union e Mercedes.
L’Alfa Corse, diretta da Enzo Ferrari, la fece debuttare il 7 agosto 1938 sul circuito del Montenero nei pressi di Livorno, un percorso cittadino di 5800 metri da ripetere 25 volte per un totale di 145 km. La vettura conquistò il primo e il secondo posto con Emilio Villoresi e Clemente Biondetti. Nel 1939 arriva la prima evoluzione dell’Alfetta con una potenza cresciuta a 225 cavalli a 7500 giri/minuto. La 158 era rientrata direttamente in fabbrica e gestita dalla struttura tecnica diretta dallo spagnolo Wilfredo Ricart dopo i contrasti avuti con Enzo Ferrari che giudicava il tecnico dell’Alfa come una figura politica e non all’altezza del ruolo coperto. Il 30 luglio si aggiudicò la Coppa Ciano di Livorno e la XV edizione della Coppa Acerbo, il 13 luglio 1939, con Clemente Biondetti. L’ultima vittoria prima della guerra fu al G.P. di Tripoli del 1940, poi venne messa a sicuro per non cadere nelle mani delle forze di occupazione naziste durante il conflitto. Con 350 cavalli di potenza a 8.600 giri/minuti, ed un peso di soli 700 kg, che porta il rapporto peso/potenza allo stratosferico (per quei tempi) valore di 2Kg/cavallo, l’Alfa Romeo 158 non ha praticamente rivali nel 1950 aggiudicandosi 6 dei 7 Gran Premi di questa prima stagione mondiale. L’unica gara non vinta è la 500 Miglia di Indianapolis, allora inserita nel calendario, ma nessuna macchina europea va in America, come gli americani non verranno mai a correre in F.1. Il 3 settembre Farina si laurea primo Campione del Mondo a Monza. In Alfa Romeo si festeggia, il dominio è assoluto, Farina e Fangio si dividono le vittorie e solo il ritiro dell’argentino a Monza lascia via libera all’italiano. Con il 1950 finisce la carriera della 158, nel 1951 corre la nuova evoluzione Alfetta 159, che aveva già corso e vinto a Monza l’ultima gara di campionato e degna erede, che trionferà cogliendo il secondo successo mondiale per l’Alfa con Fangio.
Ma l’Alfa Romeo, nelle mani statali dell’IRI, non versa in buone acque. Tanto eclatante l’immagine sportiva quanto critica la produzione di serie. Le corse costano, e se il prodotto non riesce a confermare l’immagine conquistata sulle piste le perdite sono un vero problema. Il presidente Giuseppe Luraghi, chiamato alla testa della fabbrica milanese, è costretto a confermare i tagli sportivi per riorganizzare la produzione. Nascono la Giulietta, la Giulia, la fabbrica di Arese, iniziano i trionfi commerciali dell’Alfa e Luraghi da il via a nuove avventure sportive, che servono a confermare il marchio tra gli appassionati. Le Giuliette e la Giulie vincono nelle categorie turismo, il quattro cilindri Alfa è un motore potente ed arriva un primo ritorno in Formula Uno come fornitore occasionale su monoposto di scuderie private che correvano con telai Cooper e De Tommaso. Il quattro cilindri di 1,5 litri non viene però sviluppato e ben presto il marchio Alfa sparisce dalla massima formula. Gestire una squadra corse diventa difficile con le procedure di una azienda statale, Luraghi, grande appassionato, all’inizio degli anni ‘60 fa nascere l’Autodelta e sarà questa piccola struttura che riporterà sulle piste il marchio dell’Alfa Romeo conquistando gli ultimi allori mondiali. Autodelta significa anche Carlo Chiti, il geniale tecnico che darà vita a moltissimi progetti sino al ritorno in Formula Uno. Nasce l’Alfa 33 due litri, con il V8 che Chiti aveva realizzato per la ATS, dopo la sua uscita dalla Ferrari. Il V8 cresce di cubatura fino ad arrivare a tre litri, la cilindrata per correre nei prototipi, ma anche quella per la Formula Uno. Nasce così un primo accordo tra l’Autodelta e la McLaren che fa correre Andrea De Adamich, uno dei piloti più in vista del panorama italiano. Nel 1971 però i risultati sono scarsi, si replica la stagione successiva con la March, che vanta piloti del calibro di Ronnie Peterson oltre a De Adamich. L’esperienza è ancora fallimentare, la March ha problemi di telaio, il motore non riesce ad essere adeguatamente sviluppato con la piccola struttura diretta da Chiti che si deve dividere tra le vetture che corrono nel mondiale prototipi, quelle che conquistano le vittorie nell’Europeo Turismo, i motori per la motonautica ed i tanti clienti sportivi che vogliono correre con le vetture Alfa.
Il dodici boxer
Il vulcanico Chiti però non si arrende, per contrastare i motori a 12 cilindri di Ferrari e Matra che vincono le gare a ruote coperte, progetta un nuovo 12 cilindri boxer, come quello dei rivali di Maranello. La messa a punto richiede del tempo, ma la nuova 33TT12 inizia a vincere ed il 12 cilindri Alfa inizia a destare interesse tra gli assemblatori inglesi, stretti nella morsa del V8 Cosworth senza una valida alternativa per contrastare la potenza del motore Ferrari che vince i mondiali con Niki Lauda.
Entra in scena Bernie Ecclestone, nuovo proprietario della Brabham, rilevata dal patron Jack e dal socio Ron Tauranac. Il 12 cilindri made in Autodelta vanta una potenza di 510 cv, quasi cinquanta in più del DFV, parte l’accordo tra il futuro patron della Formula Uno ed il marchio di Arese, con il beneplacito della Martini e Rossi pronta ad entrare come sponsor principale della squadra inglese nel 1976. Gordon Murray è il nuovo progettista della squadra, nasce la BT45, ma subito iniziano i problemi tra la struttura inglese e quella italiana. I problemi sono molti, di telaio, di affidabilità, di sviluppo del propulsore e spesso la prestazioni in prova dei piloti non corrispondono a quelle in gara con le vetture ferme per vari problemi o incidenti. La BT45 debutta al Gran Premio del Brasile affidata a Carlos Pace e Carlos Reutemann ma per vari problemi in questa prima stagione le BT45 otterranno solo 3 quarti posti in gara. Il 1977 comincia meglio: Pace finisce secondo al primo Gran Premio e conduce per 13 giri in Sud Africa alla prima uscita della BT45B, però il pilota viene a mancare poco dopo per un incidente aereo. L’altro pilota John Watson, ottiene la pole-position al Gran Premio di Monaco ma, trovandosi con le ruote posteriori su delle strisce pedonali del circuito cittadino, pattinerà alla partenza facendosi superare dalla Wolf di Jody Scheckter e dopo aver percorso più di metà gara in seconda posizione si dovrà ritirare per problemi al cambio. Watson arriverà secondo in Francia, poi il sostituto di Pace, Hans-Joachim Stuck, otterrà 2 podi in Germania e in Austria.
Bernie Ecclestone per il 1978 ingaggia il campione del mondo Niki Lauda, strappandolo alla Ferrari che con la BT45C disputerà due Gran Premi nel 1978,cogliendo due podi. Segue la nuova BT46 nelle varie versioni, tra cui la “B”, quella con il famoso ventilatore che vince in Svezia con il campione austrico, ma viene poi squalificata.
Chiti realizza il V12 ed il Turbo
Il 12 cilindri boxer non è più adatto alle vetture ad effetto suolo, Chiti inizia a progettare un nuovo V12, più stretto ed adatto alle canalizzazioni venturi, ma con la Brabham il rapporto è incrinato, all’Autodelta di Settimo Milanese nasce anche un telaio, l’Alfa Romeo è di nuovo pronta a correre in Formula Uno con una sua vettura, interamente realizzata in casa. Ma questa sarà un’altra storia, una storia italiana fatta di sogni e di vittorie mancate.
Dopo la delusione dell’Alfa-Alfa, il marchio del biscione ritorna come fornitore di motori per l’Osella. I budget della factory torinese sono però limitati ed i risultati no arrivano. i propulsori forniti erano sia aspirati (1983) che sovralimentati (1984-1987). All’inizio della collaborazione l’Alfa Romeo offrì alla scuderia anche supporto tecnico; infatti la monoposto FA 1/F del 1984 era basata sulla Alfa 183T dell’anno precedente, ed il primo telaio che fu utilizzato altro non era che un chassis della 183T rielaborato.
Tutte le vetture Osella seguenti fino al modello FA 1/I del 1988 traevano origine dalle monoposto Alfa Romeo. Nel 1988, l’ultima stagione con motori turbo, la dirigenza della Casa del “biscione” era contrariata per la pubblicità negativa generata dagli scarsi risultati della Osella, così proibì a quest’ultima l’uso del nome Alfa Romeo. In questo modo, i motori montati nel 1988 furono conosciuti semplicemente come “Osella V8”. Alla fine della stagione l’accordo terminò, ponendo fine alla partecipazione dell’Alfa Romeo nella Formula Uno.