Published on Novembre 13th, 2015 | by Massimo Campi
0Gianni Arosio, una vita dentro le corse
Gianni Arosio, da meccanico a ingegnere di macchina, altre 30 anni in Autodelta, ci racconta uno spaccato della squadra corse Alfa Romeo.
Una vita tra le corse, è questa la storia di Giovanni “Gianni” Arosio, entrato in Autodelta nel 1967, e rimasto con la squadra scorse del biscione fino a quando non è andato in pensione, nel 2000. Vetture, corse, tante trasferte, piloti, progettisti, un mare di ricordi e di aneddoti, di chi ha vissuto e contribuito a realizzare una parte importante della storia del motorsport. Abbiamo incontrato Arosio che continua la sua vita indaffarata tra volontariato, l’insegnamento della professione di meccanico da corsa ai giovani e la figura del nonno con gli amati nipoti. La prima domanda riguarda soprattutto la sua lunga carriera, che spazia dalle GTA al DTM, passando per le più disparate avventure in casa Alfa Romeo, compreso gli anni della Formula Uno. Non aveva ancora 17 anni quando ha varcato le soglie del reparto corse, ed è stato amore a prima vista. Entrato come semplice apprendista, con una scuola professionale di meccanico, è diventato responsabile di tutto il reparto trasmissioni e sospensioni della squadra corse, facendo anche tanti anni come ingegnere di pista.
“Sono entrato in Autodelta per una prova di lavoro di tre giorni, nel luglio del 1967, avevo solo 16 anni, dopo pochi giorni ho compiuto il diciassettesimo anno di età, il minimo per essere assunto e da quel momento ho iniziato la mia carriera con la squadra corse che si è conclusa il primo novembre del 2000. L’Autodelta allora preparava la GTA, c’erano vetture in ogni angolo dell’officina, servivano braccia per lavorare e consegnare le vetture ai clienti. Il ricordo del primo giorno in Autodelta è indelebile: apro la porta del reparto corse, nel mezzo c’era la 33 stradale, con Franco Scaglione che stava controllando delle misure della carrozzeria. La vettura era bellissima, capii subito di trovarmi in un posto speciale. Ho avuto una grande fortuna nella vita: ho fatto il lavoro che ho sempre sognato di fare ed in questo lavoro ho toccato con le mie mani il progresso nel campo automobilistico e della meccanica. Lavorare in una squadra ufficiale, seria, mi ha permesso di affrontare professionalmente tante innovazioni. Dagli anni ’60 alla fine del secondo millennio il progresso ha fatto passi da gigante: dai freni a tamburo, ai dischi, ai sistemi antibloccaggio; dai motori aspirati ai turbo. Le accensioni sono passate dallo spinterogeno a quelle elettroniche, alla doppia accensione ed ai sistemi integrati con l’alimentazione che è passata dai carburatori ai vari sistemi di iniezione. Le trasmissioni sono passate dai cambi ad H a quelli sequenziali ed attualmente elletroattuati, con sistemi a trazione integrale”.
Il meccanico da corsa deve avere delle doti particolari.
“Il meccanico da corsa è una persona particolare: ha un baco nel cervello, che ti spinge sempre al sacrificio, della tua vita, della tua famiglia, delle amicizie pur di essere la, in pista. A 17 anni gli amici andavano al cinema, in balera, io invece ero in officina o in pista con le chiavi inglesi in mano pur di far andare forte la macchina, di far vincere un pilota. La prima gara l’ho fatta dopo tre mesi dall’assunzione in Alfa, l’ultima nel 1996 da ufficiale Alfa, poi ho continuato aiutando amici preparatori e piloti ed ancora oggi insegno ai giovani di una scuola professionale che vogliono entrare nel mondo della tecnica da competizione. Quel baco ti rode sempre dentro, anche quando torni da una trasferta dura e storta, dopo pochi giorni non vedi l’ora di essere nuovamente la, in pista, per una nuova avventura, dove cose, metodi e tempi di lavoro folli ti sembrano assolutamente normali. Dove l’adrenalina, il senso del dovere e lo spirito della competizione ti fanno superare la stanchezza, il freddo, il caldo, la fame, il sonno. Non sono molte le doti che fanno la differenza con un normale meccanico di vetture di serie, ma sono fondamentali. A parte lo spirito di sacrificio e la voglia di lavorare, deve possedere una enorme velocità di intervento e la capacità di focalizzazione, analisi e risoluzione del problema in funzione al tempo di intervento disponibile. Per fare questo deve sapere a memoria le operazioni che deve compire e conoscere a perfezione la vettura ed il pezzo su cui deve intervenire. Quando tu hai pochissimi istanti per intervenire e risolvere il problema devi essere capace di avere una concentrazione assoluta immediata, nessun dubbio e nessuna incertezza. Intervenire, quando hai pochi minuti al termine di un turno di prove ufficiali, durante un pit stop, o tra una speciale e l’altra di un rally, non concede nessuna scusa, o lo sai fare o non sei all’altezza del tuo compito. Tutto questo si traduce in grande professionalità ed allenamento costante sul lavoro da svolgere. Ho sempre detto ai miei colleghi ed ai giovani a cui insegno: la meccanica è una scienza, è una roba seria, non è la moglie del meccanico!”
Una lunga carriera con la squadra corse di Settimo Milanese.
“Quando sono arrivato in Autodelta era il periodo della GTA, nelle varie versioni di 1.6 litri, GTA Junior, e GTAm. Poi sono arrivati i prototipi con le 33/3 nelle varie versioni, dal 2 litri fino alla versione sovralimentata. C’è stata la parentesi Rally con le Alfette GTV, nel mezzo l’Alfasud con il suo trofeo, infine la F.1, prima come fornitore di motore alla Brabham, poi con le vetture volute da Chiti, sia aspirate che turbo, monoposto con l’effetto suolo dove l’aerodinamica era fondamentale. C’è stata l’avventura con F.Indy, infine i vari campionati turismo e superturismo, per finire con l’avventura vincente del DTM degli anni ’90. Il pregio di essere in Autodelta/Alfa Corse era quello di costruire le vetture da corsa, quindi di creare direttamente la vettura, poi in seguito di gestirla in pista. In Autodelta si faceva tutto, soprattutto nel periodo delle 33/3 prototipo, dalla costruzione del telaio, al motore e tutta la meccanica, ed anche della carrozzeria in fibra. In Autodelta eravamo nell’università della meccanica, ma non lo sapevamo, l’abbiamo capito dopo, quando abbiamo collaborato con altri team, con altre realtà che la nostra era all’avanguardia. Dal 1971 ho lavorato nel reparto trasmissioni, mi mandò l’ing. Chiti e sono diventato pian piano il responsabile di tutto il reparto, compreso anche sospensioni e freni dell’Alfa Corse. Con gli anni ho gestito diverse vetture in pista come ingegnere di macchina. Le ultime esperienze sono state con Tamara Vidali nel superturismo e nel 1995 sono stato responsabile della vettura di Michele Alboreto nel DTM. durante Ho fatto una quantità infinita di corse, dalla pista ai rally, gare di durata ed anche un europeo off-shore con “Tibidabo”, piloti Pesenti, padre e figlio, che montava due motori della Montreal. Quando avevo tempo seguivo anche gli amici nelle loro gare private, come Peo Consonni o Giorgio Francia.”
La grande fama dell’Autodelta è stata creata da Carlo Chiti, un tecnico di indubbio valore.
“Carlo Chiti era un grande personaggio, un grande ingegnere, progettista, ideatore, ma ovviamente aveva i suoi difetti. Si circondava alcune volte di persone non all’altezza del suo compito, soprattutto in ambito sportivo e commerciale. L’Ing. Chiti era apparentemente un burbero, gridava sempre con tutti, ma era un gran bravo uomo, molto umano per chi lo conosceva bene, dietro le quinte, nel lavoro di tutti i giorni. Lui mi ha dato fiducia, era un grande pregio per chi lavorava in Autodelta, ed io avevo pienamente fiducia in lui, ci rispettavamo molto. Non aveva un carattere semplice, ma dal punto di vista umano si faceva in quattro per i suoi uomini, era un vero capo. Aveva cento idee in un minuto, aveva bisogno di avere sempre tecnici accanto che sapessero interpretare le sue intuizioni e le rendessero attuabili. Andava ingabbiato, aveva bisogno di una spalla che avesse il senso pratico del lavoro e rendesse attuabili quel vulcano costante di idee che partoriva. Quando c’era un problema veniva direttamente in officina a discutere con gli operai per capire risolvere direttamente, spesso saltando le gerarchie. Nonostante il suo approccio burbero ti chiedeva sempre con gentilezza il lavoro, non te lo imponeva mai e quando vedeva la risoluzione di un problema fatta da un operaio ne riconosceva il merito. A volte Chiti dava troppa importanza alle varie soffiate che arrivavano da Maranello, prendendole tutte per buone. Durante il periodo della Formula Uno, qualcuno disse che in Ferrari volevano fissare il volano motore con un giunto elastico e Chiti subito volle effettuare la modifica, con il risultato che perdemmo tre Gran Premi per colpa del giunto in gomma che non reggeva alle sollecitazioni in gara. Chiti si era messo in mente di fissare il volano all’albero motore con un giunto elastico in gomma per assorbire le vibrazioni, avere due supporti di banco in meno per avere meno atrito e guadagnare cinque cavalli. Una idea che non poteva funzionare e così, sollecitato in gara, il giunto cedeva con le opportune conseguenze. Chiti è stato silurato a fine del 1982, la direzione Alfa non aveva mai veramente gradito la scelta di entrare in Formula Uno, i risultati non sono arrivati ed hanno chiesto la testa di Chiti. Da sottolineare anche che gli alti vertici dell’IRI stavano concludendo l’accordo per la cessione alla Fiat ed a Torino non gradivano di avere l’Alfa in competizione con la Ferrari. Il siluramento di Chiti va inquadrato in questo contesto generale, come quello di Ducarouge che aveva progettato la macchina.”
Quando arrivò Ducarouge l’Alfa in F.1 fece un salto di qualità.
“Gerard Ducarouge era un grande progettista, un grande tecnico. Progettò il telaio in carbonio, il primo in Autodelta, era molto bello e valido, aveva dei valori di rigidezza assoluti, uno dei migliori di tutta la F.1. Ducarouge non era un accentratore, arrivava al mattino, passava in rassegna tutti i reparti, dal telaisti al cambio ai motoristi, verificando di persona il lavoro svolto e discutendo continuamente di tutti i problemi incontrati con i capi reparto e con gli operai che avevano svolto il lavoro. Come persona era molto educato e rispettoso del lavoro. Venne dalla Ligier e con il suo arrivo l’Alfa fece un vero salto di qualità tecnica. Era di estrazione aeronautica, come Chiti, era un grande esperto di aerodinamica e della tecnologia dei flussi d’aria. Arrivò in Alfa a metà della stagione 1981, prima della gara a Zandwoort. Modificò subito le sospensioni posteriori della monoposto. Erano realizzate in titanio, ed erano cedute su entrambe le vetture per le grosse sollecitazioni subite alla curva Tarzan. A Monza con la macchina modificata eravamo terzi assoluti, poi si ruppe l’attacco della leva del cambio, una rottura veramente inspiegabile, mai successa prima. In Alfa non avevamo ancora la tecnologia delle minigonne, Ducarouge portò la sua esperienza e soprattutto il materiale di attrito al suolo. Le minigonne erano l’elemento fondamentale delle wing car, la sigillatura al suolo era importantissima, le nostre si deterioravano subito e non riuscivano più a scorrere con le relative conseguenze. Ducarouge portò in dote il materiale ceramico del pattino e la tecnologia per far scorrere bene le bandelle. Migliorò anche la fluidodinamica interna, semplificando e ripulendo le pance, la monoposto migliorò subito le prestazioni. Prima della sua cura la monoposto aveva bisogno di un grosso carico aerodinamico per stare in strada, gli alettoni erano sempre molto carichi per scaricare al suolo tutta la potenza, con la conseguenza di sviluppare poche velocità di punta. Dopo la sua cura si sfruttava finalmente l’effetto suolo, si viaggiava con le ali scariche aumentando notevolmente le velocità di punta e migliorando i tempi sul giro.”
Una figura importante erano i collaudatori.
“Teodoro Zeccoli era il collaudatore principe, era stato il primo, quando sono arrivato nella seconda metà degli anni ‘60 era alla fine carriera, poi ebbe un grande incidente sulla pista di Balocco con la 33 prototipo, rimase senza freni ed uscì di pista ad oltre 200 all’ora con vari capottamenti. Tra i collaudatori ho collaborato molto con Carlo Facetti e Giorgio Francia. Entrambi grandi piloti. Facetti era più grezzo, di Francia, ma entrambi erano figli della tecnologia del loro tempo. Facetti, quando è arrivato in Alfa, era avanti con l’età, aveva corso molto e con macchine diverse. Aveva una grande sensibilità, un gran senso della meccanica e dell’analisi dei problemi, elementi indispensabili per un collaudatore. Non serve essere un pilota velocissimo, uno da pole position per fare il collaudatore, ma serve grande esperienza e capacità di analisi. Francia è arrivato in Alfa da giovane, la sua esperienza si è formata con vetture più moderne e tecnologia più sofisticata, è sempre stato un fine collaudatore, anche nei minimi particolari. Due grandi professionisti, sia Facetti che Francia, grande dedizione al lavoro per entrambi. Francia ha collaudato una varietà infinita di vetture, dalle turismo, ai prototipi alla F.1 passando anche per la F.Indy. Con Francia siamo amici dal 1975, l’ho gestito anche in pista nel 1992 con la GTA, Giorgio è sempre rispettoso della meccanica, quando, in una gara di durata, lascia la macchina all’altro pilota, la vettura non è mai sfruttata, i freni, tutta la meccanica, le gomme, non sono mai usurate, ed è sempre andato forte.”
In Alfa, in 30 anni sono passati molti piloti, dalle GTA alla formula Uno.
“Ignazio Giunti è stato il pilota più veloce con la GTA di 1,6 litri, Gianluigi Picchi era l’uomo da battere con la GTA Junior di 1.300 cc, Toine Hezemans è stato il pilota di punta con la GTAm di 2 litri. Ignazio Giunti, in una gara al Nurburgring rifilò 10 secondi al giro a tutti i compagni di squadra. Un altro pilota della squadra si lamentò con Chiti, a suo avviso il romano aveva un motore molto più potente per andare così forte. Scambiammo nella notte le vetture, cambiando portiere con i numeri e targhette con i numeri di telaio. Quando lo venne a sapere Giunti si mise a ridere ed il giorno dopo, in gara, dette 11 secondi al giro a tutti gli altri con l’ex vettura del compagno di squadra che si era lamentato. Il romano era un signore, figlio della borghesia romana, ma sempre gioviale e scherzoso, alla mano con tutti noi meccanici. Jochen Rindt era stato ingaggiato dall’Alfa nei primi anni delle GTA. Io non ero ancora arrivato in squadra corse, ma ci sono tanti aneddoti di quegli anni, ed uno in particolare sull’austriaco a Sebring. La GTA aveva già i freni a disco ma le pinze erano piccole e le pastiglie, anche loro piccole, non riuscivano a durare per tutta la gara. Rindt, negli ultimi giri, si ritrovò completamente senza pastiglie, face un rapido calcolo che una fermata per sostituirle avrebbe annullato tutto il vantaggio che aveva accumulato, allora fece gli ultimi giri di gara sfruttando il freno motore in scalata ed appoggiandosi al sedere degli avversari per diminuire la velocità e riuscire ad entrare in curva. Alla fine della gara controllarono i freni, aveva consumato anche il ferro di supporto, praticamente frenava solo con i pistoncini idraulici direttamente sul disco.”
Negli anni dei prototipi hanno corso molti piloti.
“Con i prototipi della serie 33, a mio avviso il migliore pilota che ho visto con l’Alfa era Rolf Stommelen, veloce, preciso, forse non il più veloce sul giro secco, ma sicuramente il più redditizio in gara. Aveva una guida poco spettacolare, ma veloce, costante e sempre rispettoso della meccanica, dote indispensabile nelle gare di durata di quegli anni, in più era un vero signore come uomo. Non sbagliava mai e si ritrovava sempre davanti, mentre piloti apparentemente più veloci erano molto meno costanti e redditizi nell’arco della gara. I vari Pescarolo, Ickx, Laffitte, Peterson, Bell, Elford, erano tutti professionisti ingaggiati di volta in volta o arrivavano solo per la gara, scesi dall’abitacolo andavano subito via a correre altrove. Piloti veloci comunque, ma che legavano poco con noi meccanici. Facevano parte di una schiera di professionisti che riuscivano ad andare forte con qualsiasi mezzo avessero in mano sapendolo sfruttare al massimo delle possibilità.”
L’avventura in Formula Uno ha visto Giacomelli, Andretti e De Cesaris, oltre a Depailler.
“Nell’epoca della Formula Uno ho assistito i vari Andretti, Giacomelli e De Cesaris. Mario Andretti era una bravissima persona, ma quando è arrivato in Alfa era ormai nella fase discendente, Bruno Giacomelli andava più forte di lui, anche se il pilota più forte è stato De Cesaris. Andrea andava come un missile, sempre al limite, ma sempre sfortunato, capiva anche di meccanica, non andava solo forte, come sembrava, senza cognizione. Anche come persona era una gran brava persona, giocherellone, sempre disponibile con noi meccanici, mi ricordava molto Ignazio Giunti. Depailler l’ho conosciuto poco, anche lui gran simpaticone.”
Infine gli anni con le vetture coperte.
“Il più forte con le vetture Turismo è stato Nicola Larini, è arrivato in Alfa nel 1987, ed è stato pilota ufficiale fino al 1996. era sicuramente il numero uno della categoria, l’uomo da battere. Anche Sandro Nannini era forte, ma aveva i problemi alla mano e comunque Nicola era imbattibile. Ho gestito anche Michele Alboreto con la GTA nel DTM, da punto di vista dei risultati non fu una grande esperienza. Michele era appena reduce da 20 anni di Formula ed aveva ancora la guida da monoposto. Non riuscì a capire la guida di quella vettura, non riusciva a farla scorrere come si deve fare con una turismo. Come uomo invece ho un grandissimo ricordo di lui, un vero signore, conservo ancora gelosamente il suo casco che mi ha donato con una dedica speciale ed un modellino di quella vettura in edizione limitata fatta costruire apposta da lui. Ho fatto anche l’ingegnere di macchina di Tamara Vidali, anche lei andava forte, soprattutto nei circuiti tortuosi.”
Uno dei drammi è stato quello di Depailler ad Hockenheim.
“Sull’incidente di Patrick Depailler si è detto molto, con diverse ipotesi, la realtà va ricercata nelle minigonne di quella vettura. Quell’anno non avevamo ancora la tecnologia per la tenuta delle minigonne che si consumavano e si deformavamo in fretta, con il risultato di funzionare male. Durante quelle prove, probabilmente per un cordolo, rimase una minigonna alzata facendo perdere completamente la deportanza in curva. Entrò nella Ostkurve a circa 270 km/h, come se tutto funzionasse a dovere, gli è mancata l’aerodinamica ed è volato fuori. L’anno dopo, anche in seguito a quell’incidente, arrivò Ducarouge con la tecnologia dell’effetto suolo e la macchina ha improvvisamente fatto il salto di qualità. Il tecnico francese lavorò soprattutto sul fluidi interni, semplificando i condotti aria e le sospensioni. All’inizio del 1981 andavamo alle gare con casse di molle per fare gli assetti, dopo la cura Ducarouge andavamo solo con due molle di diversa durezza, a seconda che si correva su asciutto o bagnato, e la macchina andava molto più forte.”
Tra le varie esperienze c’è stata quella di fornitore di motori alla Brabham e la famosa BT46B Fan Car, la vettura con il ventolone di Gordon Murray.
“Ho seguito l’epoca di fornitura dei motori alla Brabham facendo le trasmissioni io ed il mio collega Vittorio Berno. Il primo autobloccante registrabile in Formula Uno l’abbiamo fatto per la macchina di Lauda: mediante un perno ed un comando dall’abitacolo riuscivamo a variare la percentuale dell’autobloccante. Della Brabham BT46B, con il ventolone, montammo la culatta del cambio, con l’albero che trasmetteva il moto al ventilatore. Il moto veniva preso da un albero del cambio e mediante una cascata di ingranaggi veniva trasmesso alla ventola. Con il variare del numero di giri e della velocità aumentava la velocità della ventola creando maggiore depressione al fondo scocca. Era stata una idea di Gordon Murray, ci aveva mandato i disegni per fare il pezzo, ma senza indicare la ventola. Lo montammo in gran segreto, senza avere nessuna indicazione sul suo reale uso, pensavamo fosse un esperimento per qualche test. Quando vedemmo la vettura con la ventola montata capimmo la trovata del progettista sudafricano.”