Storia

Published on Settembre 8th, 2015 | by Massimo Campi

0

“Jochen vive”

Il 5 settembre 1970, scompariva l’unico campione postumo della Formula

 

Ottobre 1970, circuito di Watkins Glen, Emerson Fittipaldi vince il GP degli Stati Uniti con la Lotus di Colin Chapman, ai piedi del podio quel giorno un ragazzo austriaco solleva una sciarpa nera recante la scritta “Jochen vive”. Con quel risultato il brasiliano esclude matematicamente dal titolo mondiale la Ferrari di Jacky Ickx e consegna il titolo a Jochen Rindt, ma l’austriaco non c’è più, può solo festeggiare la sua vittoria negli spazi celesti.

Gran Premio d’Italia, 5 settembre 1970, il caposquadra della Lotus ha 20 punti di vantaggio su Jack Brabham, secondo in classifica mondiale, ma l’avversario da temere è l’amico belga Jacky Ickx che sta rimontando in classifica con la sua Ferrari 312B, dove ha appena vinto in Austria. Il 12 cilindri boxer progettato da Mauro Forghieri va forte, ha più potenza del V8 Cosworth della Lotus e nel tempio della velocità brianzolo sono proprio i cavalli che contano.

Le prove non vanno bene, le Ferrari di Regazzoni e Ickx sono velocissime  e Colin Chapman decide di togliere le ali delle vetture che diventano molto instabili in frenata. John Miles, Emerson Fittipaldi e Jochen Rindt  hanno grosse difficoltà per tenere in pista la 72, la nuova vettura disegnata da Maurice Philippe sotto la guida del patron della Lotus. Una monoposto rivoluzionaria per l’epoca, con la monoscocca a forma di cuneo, i radiatori laterali, le sospensioni con barre di torsione ed i freni anteriori entrobordo per ridurre la masse non sospese.

Sabato secondo turno di qualifiche, Jochen Rindt scende in pista, cerca la prestazione, il giro decisivo, vuole avvicinare le rosse. Un ultimo autografo, un bacio alla moglie Nina, bellissima ex fotomodella finlandese, indossa il nuovo casco integrale che tanto odia, si allaccia le cinture di sicurezza e via in pista per l’ultima volta nella sua rossa Lotus 72 che per l’occasione portava il numero 22. Rettilineo, Curvone, Lesmo, Serraglio, Ascari, il V8 da il massimo, le velocità sono elevate, ma il tempo sul giro si gioca nella Parabolica, dove si deve uscire più veloce possibile. Ore 15,26, Jochen Rindt affonda il piede sul pedale del freno a pochi metri dalla Parabolica, un tac, il pedale va a fondo, la monoposto scarta improvvisamente ad angolo retto. È ceduto l’alberino di collegamento di uno dei freni anteriori entrobordo, lo schianto è tremendo, la Lotus si spezza in due all’altezza delle gambe del pilota. Jochen è volato via, con la sua vettura, con la sua voglia di vivere, a nulla serve l’ultima folle corsa in ospedale con l’ambulanza. Rindt ha già finito di vivere nella sabbia della via di fuga in quel caldo pomeriggio di settembre.

L’angolo di impatto della monoposto non era dei peggiori, ma la ruota sinistra si infila sotto il guard rail  causando una rapidissima rotazione. Il medico che per primo intervenne sul luogo dell’incidente verificò che, nonostante le ferite evidenti al torace e agli arti inferiori, non c’era fuoriuscita di sangue ma il pilota era in arresto cardiaco. Clinicamente era ancora vivo ma dopo il primo massaggio cardiaco il polso era ancora debolissimo con poche speranze di recupero.  La morte certamente fu causata principalmente dal piantone dello sterzo che sfondò lo sterno del pilota austriaco: le cinture di sicurezza si strapparono parzialmente dai sei punti di ancoraggio alla scocca e non ressero alla decelerazione dell’impatto, proiettando il pilota in avanti verso il volante. La decelerazione fortissima e la totale perdita dell’avantreno dovuta all’impatto, fecero sì che anche gli arti inferiori subissero danni pesanti. Ai soccorritori che per primi giunsero sul luogo apparve una scena raccapricciante: Rindt era disteso nell’abitacolo con gli arti inferiori completamente esposti. Spirò pochi minuti dopo nell’ambulanza che lo stava trasportando all’ospedale Niguarda di Milano. Fu aperta un’inchiesta dalla magistratura italiana che mise sotto accusa la Lotus e Colin Chapman per la scarsa solidità delle sue vetture.

Ai box la notizia giunge quasi subito è proprio l’amico Jackie Stewart che si avvicina a Nina sussurandogli all’orecchio, “Vieni Nina Jochen si è fatto male!” la Lotus in segno di rispetto il giorno dopo non schiererà le sue vetture in gara, nemmeno quelle affidate al team privato di Rob Walker.

Pochi giorni dopo il campione Austriaco  viene seppellito al cimitero monumentale di Graz con gli onori di un eroe nazionale. A fine anno il mondiale di F1 gli sarà assegnato alla memoria, caso unico nella storia delle corse. Jackie Ickx non riesce a sopravanzarlo in classifica generale, perderà così la sua unica occasione di vincere il titolo ma dichiarerà di essere felice per la vittoria dell’amico austriaco tragicamente scomparso.

 

 

Print Friendly, PDF & Email

Tags: , ,


About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



Back to Top ↑