Personaggi

Published on Luglio 9th, 2013 | by redazione

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Bruno Deserti, il suo sogno finì di sera, alla Curva Grande

Bruno Deserti: Bologna 1942 - Monza 1965.

Bruno Deserti: Bologna 1942 – Monza 1965.

Oggi vogliamo raccontarvi la storia di un giovane, per tenerne vivo il ricordo. Il suo nome, Bruno Deserti, dirà poco ai più, ma nei primi anni Sessanta era dei più promettenti piloti del ricco vivaio italiano.

Nacque a Bologna il 19 febbraio del 1942 e debuttò agonisticamente il 14 aprile 1963 al Circuito di Cesenatico dove conquistò un promettente terzo posto assoluto con una Fiat Abarth 1000.

L’anno seguente arrivò la partecipazione a corse importanti dove, pur non arrivando ai posti alti della classifica, si fece notare la sua grinta: il risultato internazionale migliore fu l’ottimo tredicesimo posto alla 24 Ore di Le Mans conquistato con Bussinello al volante della piccola Alfa Romeo Giulia TZ della Scuderia Sant’Ambroeus. La stagione 1964 si concluse con il terzo posto alla Coppa Fisa all’autodromo di Monza.

Il 1965 iniziò con il 27° posto alla 12 Ore di Sebring e proseguì con il 15° alla prima edizione della 1000 Chilometri di Monza.

Un mese dopo,  mentre cenava nella sua casa, Bruno ricevette una telefonata inaspettata. Era invitato a Monza il 25 maggio per partecipare ad una sorta di simulazione di 24 Ore assieme ai piloti ufficiali della Scuderia Ferrari (John Surtess, Lorenzo Bandini, Lodovico Scarfiotti) ed alcune giovani promesse italiani, tra cui Giampierto Biscaldi ed Andrea De Adamich, per il migliore dei quali c’era il palio un premio ambitissimo: un posto nella squadra di Enzo Ferrari alla Le Mans di giugno. Per la prima volta in vita sua avrebbe guidato una 330 P3, una potente sport dotata di un 12 cilindri di 4 litri.

Alle 18.55 di quel 25 maggio 1965 arrivò il sospirato momento di mettersi al volante della 330 P3 che quel giorno aveva già macinato migliaia di chilometri ad alta velocità.

Da quello che successe all’ottavo passaggio di Bruno sulla linea del traguardo ci fu solo la testimonianza di Lorenzo Bandini che vide la Ferrari scartare improvvisamente verso l’esterno della pista poco prima della Curva Grande, sparire tra gli alberi da cui si innalzò un denso fumo.

Preso al volo un estintore, Bandini corse come un forsennato verso il luogo dell’incidente, per constatare che per il giovane collega non c’era ormai più nulla da fare. Il referto medico attestò poi che il povero Deserti on fu ucciso dalle fiamme (spente abbastanza in fretta) ma dal violente impatto contro un albero. Le cause dell’incidente non furono mai chiarite: chi parlò di un errore umano, chi del cedimento di una sospensione, chi dello scoppio di una gomma.

Di Bruno Deserti ci sono pochissime foto, per lo sulla Giulia TZ delle prime corse, ed una solo foto a colori, quella che pubblichiamo.

Enzo Ferrari, presente a quel test del 25 maggio 1965, lasciò l’autodromo sotto choc. Nel suo Annuario del 1965 volle ricordare il giovane bolognese. Ecco cosa scrisse:

«Era una normale prova prevista dall’impegno più importante dell’anno, la corsa della 24 Ore di Le Mans, che io ho sempre definito “la corsa della verità “, ed eravamo a Monza. Il collaudo, così come era stato fatto l’anno scorso sulla pista dell’Alfa Romeo a Balocco, consiste nel sottoporre una vettura ad una prova ininterrotta di 24 ore: la vettura si ferma soltanto per i rifornimenti e i piloti si alternano alla guida, allenandosi e perfezionandosi in quella « fusione” col mezzo meccanico che ho sempre ritenuto elemento fondamentale per risultati validi. 

C’era nel box un’atmosfera di calma, di scanzonata noia per la routine che si stava svolgendo. Unica preoccupazione: le condizioni del tempo, che facevano presagire una nottata burrascosa, pesante per chi avrebbe dovuto “tirare” fino alle 8 del mattino successivo. Si fermò De Adamich, la vettura fece rifornimento. Ingoiò 140 litri di carburante. Dragoni cercò Baghetti, ma Baghetti non era pronto. Fu allora che il ragazzo si sentì battere su una spalla. 

In un attimo indossò il casco, scivolò al posto di guida, mise in moto, salutò con un cenno, via. Si allontanò così da noi, trepido e festoso, e andò a incrociare il suo destino. 

Non lo conoscevo a fondo; gli ho parlato tre volte, e non ci fu mai tempo per una vera conversazione. Ma Dragoni mi parlava spesso di Lui; dagli altri ne conoscevo la passione, il temperamento, la capacità, le possibilità, la fine educazione. 
Era venuto a Maranello con Biscaldi, poco tempo prima, all’indomani cioè di quel comunicato stampa che annunciava. il suo invito alle prove di Le Mans, come Biscaldi, come Baghetti. Mi voleva ringraziare.

Quel giorno non lo vidi;  evitai di riceverlo perché intuivo lo stato d’animo di quel momento per averlo vissuto anch’io, tanti anni fa. Sapevo di quale cumulo di sentimenti diversi era prigioniero; commozione, gratitudine, esaltazione: non volevo accrescere niente di quanto era già in Lui. Non volevo che provasse soggezione, né che si impegnasse con nessuna parola, sulle ali dell’ entusiasmo, per future clamorose imprese, quasi ad anticipare la fiducia che era stata posta in Lui. Conoscevo tutto questo: io ho vissuto questi momenti. 

Preferii apparire scortesemente occupato pur di non esaltarlo, così come mi ero montato io a suo tempo, in un modo che a me parve bello e terribile insieme, e tanto intenso che pensai nessuno avrebbe mai provato un’emozione simile. Non sapevo, allora, che tale passione è connaturata allo spirito umano e quando esplode è più forte della vita stessa, è più forte della morte. 

Era una normale prova, ma interessava dal punto di vista tecnico perchè vincere a Le Mans significa affermare una volontà di lavoro, premiare un anno di fatiche, di esperienze, di studi; significa dare un senso al sacrificio di chi si è perso in questo tribolato cammino verso il progresso, alla luce pura di quel sole che si chiama Sport. Andai a Monza e mi tenni lontano dal box. Non volevo creare con la mia presenza imbarazzo negli uomini e nei piloti in particolare. Ho sempre avuto questo senso di attenzione nell’evitare uno stato di soggezione in chi deve invece agire in assoluta disinvolta libertà, senza sentirsi  “guardato”.

Il ragazzo venne a salutarmi e mi mostrò il suo casco nuovo: lo aveva acquistato per il suo grande giorno, quello – mi disse – che stava coronando il suo sogno. Lo salutai sorridendo e mi allontanai. 

Passai l’intero pomeriggio con Marcello Sabbatini, che mi raccontava le sue recenti esperienze romane, ma seguivo da lontano le operazioni del box e quando, trascorso il momento di ogni passaggio, non udivo il suono del motore, inviavo Gozzi a prendere notizie. 

Era sì una prova, ma troppo importante per noi e sapevo che se non avessimo potuto portarla a termine, se non avessimo potuto “vedere” la macchina durante le 24 ore, le conseguenze sarebbero potute diventare di estrema incertezza per gli interessi vitali che legano il risultato di Le Mans alle dimensioni di una Casa come la nostra.  Le ore scorrevano. Al box le operazioni di sempre: gomme, benzina, ammortizzatori, pastiglie dei freni, cambio di pilota e via … 

Venne la notizia che De Adamich girava benino; dopo poco udii la macchina ripartire e passare sei volte, poi silenzio. 
In fondo al rettilineo, dopo la torre Fiat, prima della curva delle querce, un bagliore di tramonto d’estate in una malinconica primavera. 

Seppi esattamente, dopo, che staccando per passare dalla quinta marcia in quarta, gli stop si erano accesi; sul terreno le nere pennellate di una frenata sbordante sul prato, poi nel bosco la fine. 

Caro Bruno, sedendoti su quella macchina che aveva nutrito i sogni tuoi più belli della adolescenza, ti eri sentito felice, e così iniziasti l’ultima esaltante corsa al superamento umano. Il giorno in cui ci dovessimo convincere che questi supremi sacrifici hanno avuto per sola meta il progresso tecnico, quello sarebbe un triste giorno.

Altri ideali illuminano e sorreggono la nostra vita, i nostri sforzi, i nostri slanci! La tua è stata una  felicità di allucinante brevità e noi ti ricorderemo come una pura e luminosa meteora. La legge della vita ci ha  insegnato che noi dobbiamo pagare per ogni e qualsiasi conquista un esoso prezzo. Bruno, il destino ha preteso da te troppo e troppo presto!»

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