Di Carlo Baffi
In libreria, la storia della Rossa svelata anche da inediti retroscena.
La Ferrari è indiscutibilmente una leggenda del motorsport e non a caso il suo brand è uno dei più quotati e popolari al mondo. E’ opinione comune che sia un’eccellenza del made in Italy e che nell’immaginario collettivo venga associata automaticamente alle competizioni sportive: dalla Formula 1 alle gare endurance, non ultima la sua terza affermazione consecutiva nella “24 Ore di Le Mans”. La Ferrari ha costruito la sua fama dalla notte dei tempi grazie all’ingegno ed alla passione del suo fondatore: il “Drake”, il “Grande Vecchio”, o il “Commendatore”, ma per tutti Enzo Ferrari. E’ l’unica compagine a potersi vantare di essere presente nella massima serie sin dalla prima edizione del Campionato del Mondo, nato nel 1950. Prima ancora s’era messa in luce nei Grand Prix gestendo in pista le fortissime Alfa Romeo. I bolidi del “Biscione” infatti, recavano sulla carrozzeria rossa lo scudetto giallo col Cavallino Rampante di colore nero al centro. Nella sua incredibile storia, la Ferrari ha vissuto momenti di gloria estrema e pure fasi difficili, tristi, segnate da grandi tragedie. Ai trionfi conseguiti negli anni ’50 e ’60 con il grande Alberto “Ciccio” Ascari (figlio d’arte), Fangio, Hawthorn, Phil Hill e Surtees seguì una fase complicata in cui dovette fronteggiare i sempre più competitivi team d’oltre Manica, quelli che Ferrari definiva “i garagisti”: Brabham, Lotus, Tyrrell, McLaren. Dopo l’ultimo mondiale piloti conquistato da Surtees nel 1964, il “Figlio del Vento”, seguirono 11 anni di astinenza interrotti dal giovane Niki Lauda campione nel ’75 e nel ’77, dopo aver scacciato i fantasmi del rogo del Nurburgring ‘76. Grazie alla serie “T” creata dal genio di Mauro Forghieri, la Ferrari restò ai vertici fino al 1979, anno in cui Jody Scheckter si laureò campione con la 312 T4, soprannominata ironicamente “la ciabatta”. Al fianco del sudafricano c’era un giovane canadese capace di regalare emozioni con manovre al limite dell’impossibile. Parliamo di Gilles Villeneuve, che purtroppo sarebbe rimasto vittima di un destino cinico e baro durante le qualifiche del G.P. del Belgio. Era la stagione 1982, un annus horribilis che spezzò i sogni di gloria alimentati dalla competitività della 126 C2 Turbo. Oltre alla morte di Gilles, si sarebbe aggiunto il drammatico schianto di Didier Pironi ad Hockenheim che pose fine alla carriera del francese. Eppure, malgrado tanta negatività, il Cavallino fece suo il titolo costruttori a riprova dello spirito combattivo che da sempre anima Maranello. Le speranze Rosse avrebbero ripreso vita tre anni dopo col compianto Michele Alboreto, ma un’errata valutazione tecnica sulle turbine spalancò le porte del successo ad Alain Prost driver della McLaren, una delle rivali storiche. Il Cavallino piombò in una nuova lunga crisi ed iniziò a scorgere la luce in fondo al tunnel solo a partire dal 1996 grazie all’ingaggio dell’astro nascente Michael Schumacher e di alcuni membri del suo staff che l’avevano affiancato nella vincente Benetton. Il programma di rinascita fu varato dal Presidente Luca di Montezemolo tornato a Maranello e coadiuvato dal meticoloso ed inflessibile team principal Jean Todt. Non furono subito rose e fiori ed il primo mondiale piloti del teutonico in Rosso arrivò solo nel 2000 che diede il via ad un dominio assoluto sino al 2004. Il momento felice visse i suoi ultimi atti nel 2007 con l’incoronazione di Kimi Raikkonen fresco sostituto di Kaiser Schumi e nel 2008, con la vittoria tra i costruttori. Da li in poi ecco che il Cavallino patisce l’ennesima ricaduta, complice la concorrenza di realtà emergenti come la Red Bull ed il ritorno alle competizioni della Mercedes, un rullo compressore senza rivali nell’era turbo ibrida. Nemmeno gl’ingaggi del due volte iridato Fernando Alonso e del quattro volte campione Sebastian Vettel, soffiato alla Red Bull, riportarono Maranello al top del motorismo mondiale. La crisi sì è ulteriormente acuita nelle ultime stagioni, nonostante la generosità del “Principino” Charles Leclerc ed il recente ingaggio dell’eptacampione Lewis Hamilton, anch’egli in cerca di riscatto dal 2020 dopo esser stato detronizzato da Max Verstappen. Questo lungo viaggio nella vita del Cavallino è narrato in modo coinvolgente dalla brillante penna di Adriano Cisario, grande esperto delle vicende storiche riguardanti la Scuderia. Aneddoti curiosi come il corso di guida in dieci lezioni, regalato da Graham Hill a Lorenzo Bandini in occasione del Natale ’64. Un pensiero da vero gentleman, ma che celava un risentimento provocato dal contatto avvenuto pochi mesi prima nel G.P. del Messico, ultimo round in calendario. Il ferrarista Bandini disturbò in tutti i modi la corsa di Hill rivale diretto di Surtees, il compagno di Lorenzo e pretendente al campionato. Un’azione coriacea che fruttò a “Big John” la corona mondiale. E che dire del clima che si respirava a Maranello tra il 1981 e l’82? Villeneuve e Pironi erano legati da una forte amicizia, ma stranamente poco prima della faida di Imola, al matrimonio di Didier con Catherine Beyne, Gilles non figurava tra gli invitati (c’era però il direttore sportivo Ferrari Marco Piccinini). Come mai? Qualcosa s’era rotto tra i due? Inoltre, se si vociferava di un presunto interessamento della Williams verso Pironi, pure sul futuro di Villeneuve in rosso aleggiavano dubbi. Tra i corteggiatori pare ci fosse ancora il team di Sir Frank. A detta di Montezemolo, il Drake gli avrebbe confidato che il 1982 sarebbe stato l’ultimo anno del canadese a Maranello. Pare che la popolarità sempre più alta del piccolo funambolo, non fosse particolarmente gradita a Ferrari, in quanto rischiava di adombrare la Scuderia. Inquietudini che sfociarono poi in un epilogo infausto. Clamorose le rivelazioni sul piano “B” predisposto da Jean Todt nel corso della trattativa con Michael Schumacher. Era il 1995 quando le parti si incontrarono a Monte Carlo nell’abitazione del teutonico per definire concretamente i punti del contratto, ma Todt non era certo che Michael cedesse alle avances del Cavallino. La potente Williams motorizzata Renault garantiva un’immediata competitività, così come la McLaren in fase di rinascita grazie al sodalizio con la Mercedes fornitrice dei propulsori. Da qui il dubbio:” E se Schumi rifiutasse?” Todt da dirigente pragmatico, aveva già in serbo la soluzione, ossia di richiamare il “Professore”. Si proprio lui Alain Prost, che aveva appeso il casco al chiodo nel ’93 appena dopo la conquista del suo 4° titolo con la Williams che sarebbe stata ereditata da Ayrton Senna. Interrogativi e perplessità furono presto fugati e la star del Circus, allora assistita dall’abilissimo manager Willy Weber noto come “Mister 20%” (la percentuale che incassava dai proventi del suo cliente), accettò. Di conseguenza l’ipotesi di rivedere il campione transalpino nuovamente in Rosso venne meno. Fu lo stesso Prost a svelare il segreto anni dopo spiegando che le capacità gestionali dell’amico Todt, lo inducevano a credere che sarebbe stata una scommessa vincente, con la quale avrebbe cancellato dal suo curriculum la brutta pagina legata al brusco allontanamento da Maranello sul finire del ‘91. Ecco, questi gustosi retroscena e molti altri, sono contenuti in “Ferrari crisi e riscatto”, la nuova opera di Adriano Cisario. Barese, classe 1965, è un giornalista specializzato in motorsport (Formula 1 in particolare) ed il titolare del blog “Motor Chicche”. Oltre a collaborare con testate giornalistiche quali la “Gazzetta di Modena” ed il “Quotidiano del Levante”, ha svolto il ruolo di addetto stampa dell’Autodromo del Levante. Nel suo curriculum vanta la pubblicazione dell’interessante volume “Quasi ferraristi. Storie di piloti a un passo dal mito”, edito sempre da Ultra Sport.
Adriano Cisario – Ferrari crisi e riscatto
Da Surtees a Hamilton, dissidi, tragedie, flop e grandi trionfi della Rossa in Formula 1
Edizioni – Ultra Sport – pp. 216 – Euro 16,50