Storia

Published on Agosto 28th, 2024 | by Massimo Campi

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GP Italia nella storia: 09 settembre 1979, il trionfo delle Ferrari con Scheckter e Villeneuve

 

Di Carlo Baffi

Sono le 16,42 ed è in corso il 41° giro del Gran Premio d’Italia numero 50, quando l’Autodromo Nazionale di Monza è scosso da un boato. La Ligier-Ford di Jacques Laffite è rientrata lentamente ai box per fermarsi definitivamente causa un problema al motore. Con il francese fuorigioco e Jody Scheckter al comando scortato dal compagno Gilles Villeneuve, i tanti tifosi del Cavallino possono sventolare i vessilli e pregustare la festa per il titolo piloti ormai ad un passo. Ancora nove passaggi ed il sudafricano leader della corsa si laureerà Campione del Mondo. È il coronamento di una stagione indimenticabile per la Ferrari, che ha recitato il ruolo di prim’attrice grazie al modello 312T4. L’arma vincente nata dalla matita dell’ingegner Mauro Forghieri, uno dei più grandi tecnici della storia del motorsport. Quando fu presentata il 16 gennaio, negli spazi del Centro Civico di Maranello, qualcuno l’ha ribattezzò cinicamente la “Ciabatta” per via delle sue linee alquanto diverse dalle moderne wing-cars alquanto allungate in stile Lotus ’79. Il nome della nuova monoposto con cui la Ferrari avrebbe affrontato il mondiale ormai alle porte fu 312T4. Una sigla in cui il 3 stava per tre litri di cilindrata, il dodici per i 12 cilindri, la lettera T per il cambio trasversale ed il 4 perché era il quarto modello di questa serie. Il primo esemplare, la 312T era quella con cui Niki Lauda vinse il mondiale 1975. A prima vista la forma appariva solida e compatta, forse anche tozza, del resto la Ferrari non avrebbe mai potuto copiare la concorrenza. Una delle novità era rappresentata dalla presenza delle minigonne, accettate da Enzo Ferrari siccome erano divenute legali. L’effetto suolo però era stato comunque raggiunto conservando il motore boxer a 12 cilindri orizzontali, malgrado secondo alcuni questa soluzione fosse incompatibile con le minigonne stesse. Opinione presto smentita. La 312T4 era una soluzione integrale in cui l’assenza di uscite d’aria faceva si che i flussi d’aria venissero convogliati nella parte inferiore della scocca per aumentare la deportanza. Il motore era quello della T3, ma grazie ad alcuni miglioramenti la sua potenza era cresciuta di una quindicina di cavalli. Altro elemento importante era dato da un comando elettroidraulico del cambio. Un servocomando che eliminava l’uso della frizione, permettendo al pilota di passare da una marcia all’altra premendo un pulsante e di scalare premendo un altro bottone. Il tempo di passaggio dalla prima alla quinta era stato stimato in circa 4 decimi di secondo. Il progetto di Forghieri, era decisamente innovativo, nato completamente in galleria del vento sulla base delle ricerche dell’ingegner Gian Franco Poncini, il quale effettuò i primi studi sull’aerodinamica e sulle minigonne nella galleria del vento di Pininfarina. Lo sviluppo della T4 proseguì anche nelle gallerie usate dalle scuderie d’oltre Manica, utilizzando un modellino in scala 1:5, al fine di avere ulteriori elementi comparativi. Test che proseguiti da Pinifarina con le ruote della macchina in movimento ed in cui vennero verificati i passaggi d’aria sui radiatori. Sempre grazie ai calcoli di Poncini, Forghieri disegnò il grande alettone anteriore a sbalzò ed i pontoni laterali mantenuti sempre in pressione, per far si che l’aria non si staccasse mai in nessuna situazione. I tempi ovviamente stringevano e l’imminente inizio del mondiale in Argentina, costrinse i tecnici del Cavallino a schierare nei primi due appuntamenti la vecchia T3, ma dotata di alcune innovazioni presenti sulla T4, prime fra tutte le minigonne. Lo sviluppo della T4 fu portato avanti sulla pista di Fiorano da Scheckter in vista del debutto che avrebbe avuto luogo a Kyalami nel G.P. del Sud Africa. Da li in poi ci fu la grande svolta che proiettò questa monoposto ai vertici del Circus. Una vettura affidabile e competitiva su gran parte delle piste in calendario. Enzo Ferrari aveva vinto un’altra scommessa. E pensare che nel giorno della presentazione s’era limitato a dire: «Mah… speriamo che vada forte». Ma per comprendere ancora di più quanto accadde in quella memorabile stagione è bene fare un passo indietro. Il 1978 aveva salutato il dominio della Lotus 79, con Mario Andretti iridato davanti al compagno, il compianto Ronnie Peterson scomparso in seguito al tragico incidente a Monza. Il Cavallino aveva cercato di difendersi ed aveva chiuso tra i costruttori alle spalle del team di Colin Chapman e con due successi negli ultimi due round: Villeneuve in Canada e Reutemann negli Stati Uniti. Occorreva dunque una riscossa che puntualmente avvenne. Reutemann emigrò alla Lotus, attratto anche dall’innovativa Lotus 80 ed il suo posto venne ereditato da Jody Scheckter, classe 1950 nativo di East London da una famiglia lituana e messosi in luce nelle stagioni precedenti al volante prima della Tyrrell e poi della Wolf. Qualcuno lo aveva ribattezzato il “piccolo orso”, per il suo carattere. Schivo, di poche parole, restio alle polemiche, ricordava il campione neozelandese Denny Hulme, detto invece il “grande orso”; solo perché più anziano. Un’infanzia trascorsa tra pistoni e carburatori: il padre era un grosso concessionario Ford, che ogni anno ospitava nei propri garage la Ferrari che faceva tappa in Sud Africa per il Gran Premio di Kyalami. Un amore a prima vista e sicuramente un destino segnato per il piccolo Jody, che anni più tardi vedrà realizzarsi i suoi obiettivi iridati proprio con il Cavallino. Scheckter venne convocato a Maranello da Enzo Ferrari alla fine di luglio del ‘78 grazie ai consigli del figlio Piero, che spesso interveniva sulla scelta del personale. Per la verità la voce di un interessamento verso il pilota della Wolf correva da tempo, anche se erano giunte le pronte smentite dal Drake. L’incontro doveva avvenire in gran segreto, se nonché il sudafricano imbarcatosi su un volo per Milano da Francoforte, si ritrovò a bordo un gruppo di giornalisti del settore reduci da una presentazione della Volkswagen in Germania. Ed una volta scoperto l’arcano tutto finì in prima pagina. Restava da sciogliere il nodo Villeneuve che aveva ricevuto offerte dalla Renault, dalla Lotus e si parlava pure di un suo passaggio alla Wolf come contropartita di Scheckter. Ma con il divorzio di Reutemann, tutto si chiarì e la futura coppia del Cavallino venne annunciata pochi giorni prima del Gran Premio d’Italia ‘78. C’era però una certa perplessità circa la convivenza tra i due siccome entrambi erano molto combattivi ed irruenti, ma presto questi problemi vennero fugati. Scheckter non ebbe alcun problema ad ammettere le doti velocistiche del compagno di squadra; del resto alla firma del contratto espresse un parare favorevole sulla presenza del canadese in squadra. «Nel 1979 – dichiarerà in seguito il sudafricano – ho avuto un avversario temibilissimo chiamato Villeneuve: fu lui a darmi i maggiori pensieri. Ma con Gilles c’era anche l’accordo di non darci battaglia in pista. E fu sempre così». Il binomio Scheckter-Villeneuve potè considerarsi un raro esempio di perfetta e reciproca stima tra due piloti dello stesso team, che normalmente si combattevano ad armi pari, che vedevano l’uno nell’altro l’avversario da battere. D’altronde la legge spietata del Circus, quando mette a disposizione lo stesso materiale a due piloti, innesca la sfida nella gara, dove non ci sono più alibi e scuse. Ma i due ferraristi erano intelligenti e ben gestiti sia da Marco Piccinini, il direttore sportivo, che da Forghieri, il direttore tecnico. La partenza della stagione fu in sordina. In Argentina le rosse si ritirarono, mentre in Brasile rimediarono un 5° ed un 6° posto. Ma dopo queste due gare interlocutorie in cui si affermò Laffite sull’azzurra Ligier, il Cavallino potè finalmente schierare la nuova vettura ed iniziò un nuovo mondiale. Arrivarono due vittorie, entrambe di Gilles. La prima a Kyalami in casa del compagno Jody, la seconda sul cittadino di Long Beach. Scheckter però giunse sempre secondo e dopo il 4° posto in Spagna trionfò in Belgio ed a Monte Carlo. Successi che fecero capire a Villeneuve quanto pagasse la costanza del sudafricano ai fini della classifica. Alla vigilia del G.P. di Francia, Scheckter guidava il mondiale con 6 punti di vantaggio su Laffite e 10 su Villeneuve. Dopo le qualifiche di Digione, Jody col quinto tempo chiese a Piccinini se Gilles (3° tempo) avesse accettato il ruolo di seconda guida coprendogli le spalle senza attaccarlo. Certo, Scheckter ricopriva formalmente il ruolo di primo pilota, ma Piccinini rispose che la richiesta non poteva essere esaudita, in quanto per volontà di Ferrari, la scuderia lasciava ai piloti una certa autonomia e certe scelte sarebbero state fatte solo nella seconda parte del campionato; il G.P. di Francia faceva ancora parte della prima. Per ironia del destino, quel 1° luglio a fronte di una prova opaca di Jody, Gilles entrò nella storia grazie al duello con la Renault di Arnoux. Una lotta epica per aggiudicarsi il secondo posto e che mise in secondo piano l’affermazione di Jabouille su Renault, la prima vittoria di un motore turbo in F.1. Grazie a questi funambolismi Villeneuve entrò nel cuore dei tifosi, qualcuno iniziò a parlare di “febbre Villeneuve”. Queste gesta raggiunsero l’apice a Zandvoort nel Gran Premio d’Olanda, quando il canadese tornò i box dopo una foratura percorrendo buona parte della pista ad una velocità tale che al rientro nel garage, mancava non solo la gomma, ma anche la ruota e la sospensione, tutto ridotto ad un moncherino. Chiese a Forghieri se il danno poteva essere riparato e si sentì rispondere: «…certo, su una nuova monoposto». La F.1 aveva trovato un nuovo eroe capace di regalare emozioni. Una grande soddisfazione per Enzo Ferrari che aveva vinto la sua scommessa, cancellando tutte quelle critiche mosse due anni prima per aver puntato su un giovane pilota di motoslitte sconosciuto a tutti, piazzato al posto del bi-campione Niki Lauda. Nel frattempo, il campionato assisteva all’exploit della Williams, che con l’arrivo dei munifici sponsor arabi aveva compiuto un grande salto di qualità con quattro vittorie consecutive. Scheckter però era riuscito a contenere l’assalto della concorrenza grazie a continui piazzamenti che gli garantivano punti preziosi e Villeneuve che si mostrava sempre collaborativo nei suoi confronti, mantenendo serenità all’interno del team. Eloquente quanto accade a Silverstone. Dopo una corsa sottotono, il sudafricano si lamentò di aver ricevuto dai box una segnalazione sbagliata che gli costò una posizione. Ferrari indisse subito una riunione il lunedì per individuare i responsabili. «Gilles e io – confidò Jody – ci mettemmo d’accordo prima su quello che avremmo detto. E davanti al Drake, dissi che non era il caso di farci la guerra fra noi. Era meglio farla agli altri team». Saggia decisione. Con queste premesse, il Circus approdò così nel “Tempio della velocità”: Monza. Lo scenario era lo stesso di quattro anni prima, quando si era celebrato il ritorno all’iride della rossa dopo 11 anni, con Lauda. Il popolo del “Cavallino” sentiva che l’impresa era vicina ed aveva risposto alla chiamata. Oltre 200 mila persone gremirono l’autodromo nella splendida cornice del parco. Jody era ormai in grado di conquistare matematicamente la corona iridata. Forte dei suoi 44 punti doveva vincere e Laffite, a quota 36, non doveva andare oltre il terzo posto. Per l’occasione la Ferrari chiese a Gilles di fare da scudiero al compagno ed il canadese accettò di buon grado. In cuor suo confidava che nella stagione dopo sarebbe toccato a lui, era nell’ordine delle cose. Ma purtroppo nelle corse il destino non segue sempre percorsi scontati. Il Gran Premio d’Italia si trasformò in una grande festa rossa; grande tripudio per Scheckter, ma grande entusiasmo per Villeneuve che ancora una volta, ubbidendo agli ordini di scuderia aveva regalato emozioni ai tanti tifosi. Il finale di stagione, vide Gilles ancora protagonista: secondo in Canada nella sua Montreal e primo negli Usa, a Watkins Glen. Nella classifica finale la coppia Scheckter-Villeneuve era ai vertici, rispettivamente con 50 e 47 punti, Alan Jones su Williams era terzo a 40, mentre Laffite chiudeva quarto a 36. Il mondiale costruttori era stato vinto a mani basse dalla rossa, con 38 lunghezze di vantaggio sulla Williams e 52 sulla Ligier. Il bilancio di fine stagione era eloquente: la Ferrari conquistò 6 vittorie, 7 secondi posti e si ritirò tre volte (di cui solo una volta per un problema di affidabilità). Appena conquistato il mondiale, Scheckter tirò i remi in barca e fu l’inizio della sua parabola discendente. L’anno dopo, complice lo scarso rendimento della 312T5, Scheckter decise di appendere il casco al chiodo, probabilmente appagato dai risultati e da una certa agiatezza che gli permetteva di pensare alla famiglia ed ai suoi affari. Con l’uscita prematura del titolato Scheckter, tutti si aspettavano il passaggio di testimone a Villeneuve. Purtroppo non fu così. Dopo un 1980 da dimenticare, giunsero i primi successi con la Ferrari spinta dal motore turbo nel 1981. E quando la stagione successiva il canadese potè disporre di una monoposto molto competitiva, la Ferrari 126 C2, un tragico destino lo aspettava sulla pista di Zolder, dopo il tradimento subito ad Imola dal compagno Didier Pironi. Un gesto quest’ultimo che sottolinea ancora di più quel rapporto instauratosi nel 1979 con Jody Scheckter, che fece di quella coppia un esempio indelebile di amicizia vera tra due campioni. E quel gioioso pomeriggio monzese sarebbe rimasto indelebile tra i ricordi degli appassionati.

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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