Published on Giugno 3rd, 2024 | by Massimo Campi
0F.1: E se il genio sbaglia?
Di Carlo Baffi – Immagini ©Paolo d’Alessio – Enrico Ghidini
Il momento in salita della Red Bull sta mettendo in risalto le criticità di un progetto forse troppo estremo partorito dalla mente stratosferica di Adrian Newey, che già in passato si ritrovò alle prese con una monoposto problematica, che addirittura non fece mai il suo debutto ufficiale nei Gran Premi: era la McLaren MP4-18.
E’ il 15 febbraio 2024 quando nella sede di Milton Keynes, viene presentata la Red Bull RB20, l’arma con cui il Campione del Mondo in carica Max Verstappen darà l’assalto al suo quarto titolo mondiale dopo i tre vinti di fila. Una monoposto che lascia tutti quanti a bocca aperta per le sue linee aerodinamiche (vedi radiatori e bazooka), che rompe col modello precedente seppur abbia dominato il mondiale in modo assoluto. La continuità col passato riguarda soltanto la parte meccanica che ha mantenuto la sospensione anteriore pull-rod realizzata sposando concetti più estremi: la soluzione si era rivelata molto efficace. Adrian Newey, il geniale direttore tecnico, insieme al suo gruppo di lavoro ha quindi voluto prendere in contropiede nuovamente la concorrenza, facendosi quasi beffa della nemica Mercedes. Ha infatti sposato i concetti utilizzati sulla catastrofica W13 basata sulla filosofia “zero sidepods”, con cui il progettista Mike Elliot s’è giocato il posto a Brackley. Soluzioni molto estreme che però secondo Newey potranno risultare vincenti sulla sua vettura spinta dal motore Honda. Non dimentichiamoci che l’ingegnere inglese è sempre stato incline a sposare concetti azzardati, in cui tutti i particolari sono ridotti al minimo al fine di rendere la macchina sempre più leggera. La RB20 colpisce per quel musetto molto pronunciato che ha creato problemi nel crash-test frontale eseguito prima di Natale, che era fallito con tanto di telaio distrutto: un contrattempo che fece slittare il launch della vettura. Il team principal Chris Horner, seppur al centro di uno scandalo che mette a rischio la sua posizione, è presente sul palco e non nasconde il proprio ottimismo sulle scelte innovative del progetto. Dichiara che i suoi tecnici non sentendosi appagati (nel 2023 la RB19 ha vinto 22 gare su 23), “… hanno spinto i limiti della vettura. Credo che in alcune aree ci siano dei miglioramenti marginali, con attenzione ai dettagli e che il team vuole evolversi ancora di più.”
Si va in pista – I test prestagionali in Barhain candidano la RB20 come favorita del lotto e Verstappen si dice soddisfatto delle reazioni della vettura. Giudizi che vengono confermati dalle vittorie di Max nei primi due Gran Premi in Barhain ed in Arabia Saudita zittendo i rumors secondo cui il team si starebbe sfasciando per via della faida interna alla squadra. Insomma le idee di Newey ed il piede di Verstappen paiono inossidabili a qualunque fattore negativo. Al terzo appuntamento, in Australia, sopraggiunge un ritiro inaspettato dell’olandese per problemi ai freni dopo che è scattato dalla pole ed ha percorso solo tre passaggi. L’iridato si riscatta subito con due trionfi in Giappone e Cina, è secondo a Miami e s’impone ad Imola, però ci sono delle ombre.
Inversione di tendenza – Dalla Florida in avanti Verstappen non mostra più quella superiorità iniziale. Negli States dopo il pit-stop accusa problemi con le Pirelli hard dopo aver condotto davanti la prima parte, via radio parla di disastro e non riesce a passare la McLaren-Mercedes di Norris che s’invola vittoriosa verso il traguardo. In riva al Santerno la RB20 zoppica sin dal venerdì, nella notte che precede il sabato Buemi fa gli straordinari al simulatore e grazie al suo talento cristallino l’orange sigla la pole e vince respingendo il prepotente ritorno di Norris. Ed arriviamo a Monte Carlo. Max fatica ancora nelle libere, la macchina saltella come un canguro e non basta la sua classe per assicurarsi la partenza al palo (Perez è addirittura 18° fuori dopo la Q1) che su un circuito così anacronistico dove i sorpassi sono merce rarissima, conta al 90%. Parte sesto e sesto arriva accontentandosi di racimolare punti in funzione della classifica piloti, dove il suo margine dal ferrarista Leclerc è sceso a 31 punti; peggio tra i costruttori in cui la Red Bull è sempre leader, ma con sole 24 lunghezze sulla Ferrari. Da qui la domanda, che sta succedendo ai dominatori degli ultimi campionati? Si stanno palesando gli effetti della guerra civile esplosa a Milton Keynes tra la fazione di Horner e quella legata all’eminenza grigia Helmut Marko? In parte si, visto che il 1° maggio scorso, Newey ha annunciato di lasciare la Red Bull a fine anno; la sua futura destinazione è ancora sconosciuta. Miami doveva essere la sua ultima presenza in pista, poi d’incanto è ricomparso a Monaco, ufficialmente nella veste di testimonial della Hypercar RB17 da 5 milioni di sterline che sta sviluppando per conto della Red Bull. Vogliamo crederlo, anche se staziona nel garage del team con tanto di maglietta ufficiale, cuffie e l’inseparabile quaderno rosso su cui raccoglie le illuminazioni del suo ingegno. Che sia stato richiamato in tutta fretta per risolvere le pecche di gioventù della sua RB20? Devono far riflettere le parole di Marko secondo le quali mancherebbe una correlazione tra i dati provenienti dal simulatore e quelli forniti dalla pista. Nel sabato monegasco Verstappen s’è espresso chiaramente ammettendo di non riuscire a salire sui cordoli del settore centrale dovendo aggirarli. “Mi pareva di guidare un kart senza sospensioni ed ammortizzatori.” La questione è decisamente serie. Improvvisamente la Red Bull si trova alle prese con un’involuzione tecnica in cui i veleni del sex-gate contano poco. Piuttosto qualcuno inizia ad avanzare qualche perplessità sulla spregiudicatezza del progetto RB20. Non è che per stravincere, il genio abbia osato più del dovuto partendo da teorie che si sposano difficilmente con la realtà?
Il precedente – Mettere in dubbio l’infallibilità di un progettista come Newey sa quasi di bestemmia, ma non dimentichiamoci che altri fenomeni del tecnigrafo hanno compiuto dei passi falsi in passato. In primis Colin Chapman con la Lotus 80 e prima ancora con la 56 spinta da un potente motore a turbina. E che dire della Brabham BT55, la “sogliola”, progettata da Gordon Murray? Ebbene scovando nel passato, anche nel curriculum di Adrian Newey c’è un modello rivelatosi un flop. Parliamo della McLaren MP4-18 del 2003. Sul finire del 2002, in casa McLaren-Mercedes vigeva l’imperativo di rompere l’egemonia del binomio Ferrari-Schumacher. A Ron Dennis non andava di continuare a perdere e chiese a Newey, padre dei modelli con cui Mika Hakkinen aveva conquistato le corone iridate nel ’98 e nel ’99, di estrarre un nuovo coniglio dal cilindro. Il campionato aveva visto la compagine anglo-tedesca chiudere al terzo posto con 156 punti dal Cavallino. Newey partì dal foglio bianco puntando a realizzare una monoposto molto compatta di dimensioni ridotte e con profili aerodinamici molto diversi dal precedente modello. Un progetto ambizioso che richiedeva tempi di costruzione lunghi, da qui la decisione di iniziare il mondiale con l’auto del 2002 evoluta denominata MP4-17 D e di debuttare ad Imola, 4° round in calendario. D’altro canto anche la stessa Ferrari avrebbe esordito con la nuova F2003GA in Spagna.
In salita – Fin da subito si manifestarono dei problemi a partire dai tre crash-test laterali falliti e poi da una discrepanza tra i parametri della galleria del vento (appena costruita a Woking) e quelli della pista. Come racconta lo stesso Newey nella sua biografia (“Come ho progettato il mio sogno”) trascorse molte ore insieme al responsabile dell’aerodinamica Peter Prodromou a cercare di individuare le soluzioni opportune da adottare. Da notare che in quel gruppo di lavoro facevano parte anche nomi altisonanti come Oatley, Sutton, Laurenz, Coughlan, Lowe e Fry. Il tempo passava, la MP4-18 era sempre nel garage e l’esordio nel G.P. di San Marino fu posticipato al mese successivo in Austria. Malgrado ciò nel team non c’era allarmismo, perché dopo i primi tre G.P., Kimi Raikkonen (il giovane finnico che dal 2002 aveva ereditato il volante di Hakkinen) era in testa al mondiale piloti davanti al compagno David Coulthard e la squadra guidava la classifica costruttori con 16 punti sulla Renault e 23 sulla Rossa. E se le Frecce d’Argento vincevano con la macchina vecchia, chissà che sfracelli avrebbero fatto con quella nuova. La Ferrari però si destò dal letargo a partire dalla gara di casa sul Santerno centrando ben 4 successi in 5 Gran Premi, tant’è che dopo il Canada (corso il 15 giugno) era leader tra i piloti con Schumi e tra i costruttori. Per contro la McLaren perse terreno e sarebbe stata sopravanzata dalla Williams-Bmw. A questo punto per Dennis & C. urgeva un cambio di passo e questo era rappresentato dalla MP4-18. Finalmente questa aveva mosso i suoi primi passi il 20 maggio nei test al Paul Ricard. La monoposto aveva impressionato per le sue forme compatte dove tutto era stato minimizzato per ridurre gli ingombri. Il musetto era lungo e sottile, spiovente verso basso, subito ribattezzato “a formichiere”, al quale si collegava direttamente l’ala anteriore molto ondulata, come quella posteriore. Le sospensioni anteriori erano fissate ad una doppia chiglia molto accentuata. La parte posteriore, estremizzando i concetti più usati a quell’epoca, presentava delle fiancate corte arrotondate ed il cofano motore era molto basso come il centro di gravità. In funzione della nuova distribuzione dei pesi, la Mercedes (per la precisione la Illmor, struttura facente capo a Mario Illien rimasto orfano nel 2001 del socio Paul Morgan) aveva costruito un nuovo propulsore così come il cambio. Insomma un gioiello di tecnologia, decisamente differente rispetto alle macchine dei rivali. I primi chilometri sarebbero stati percorsi dal tester Alexander Wurz, mentre i piloti titolari sarebbero subentrati in Spagna. In attesa dei responsi cronometrici, Newey si disse molto fiducioso e si attendeva notevoli progressi. Il direttore sportivo Martin Whitmarsh ed il team boss Dennis furono cauti in merito al battesimo del fuoco nelle competizioni, ipotizzandolo per il Gran Premio d’Europa al Nurburgring del 29 giugno. Il programma prevedeva di concludere un completo sviluppo ed evitare rischi relativi all’affidabilità. Nella prima uscita a Le Castellet non mancarono i consueti problemi di gioventù con pochi giri e lunghe soste ai box, ma al termine delle quattro giornate arrivò il 2° tempo alle spalle della Williams-Bmw di Montoya, ottenuto con serbatoio pieno dal collaudatore austriaco. Un risultato promettente come le 30 tornate compiute, ma permaneva una certa preoccupazione per il surriscaldamento prodotto all’interno dell’airscope e non ultima la difficoltà manifestata dai meccanici nel lavorare nella zona cambio-motore per via della forma molto ridotta. Ad inizio giugno le prove si trasferirono a Barcellona con Raikkonen che saggiò per la prima volta la nuova Freccia d’Argento e purtroppo fu anche vittima di una violenta uscita di pista, così come Wurz nei successivi collaudi a Jerez de la Frontera dove distrusse uno dei due telai il primo giorno. Gioco forza il lavoro di sviluppo fu condotto solo da Coulthard. Anche per lui il compito non risultò semplice e le persistenti noie indussero il team a posticipare nuovamente il debutto: dunque non più al Nurburgring, nemmeno a Magny-Cours, forse a Silverstone dopo ulteriori test al Montmelò. Si parlava del 20 luglio, ben oltre il giro di boa, a soli sei round dal termine della stagione.
Vettura fantasma – Il ritardo stava diventando sempre più imbarazzante, accompagnato da un certo scetticismo anche a fronte di una dichiarazione rilasciata da Norbert Haug, gran capo di Mercedes per le attività sportive. Al settimanale inglese “Autosport”, il dirigente tedesco ammise che se le prove in programma a Barcellona dopo il G.P. d’Europa non fossero state soddisfacenti, la MP4-18 non si sarebbe vista a Silverstone. Addirittura trapelò che Ron Dennis avesse iniziato a considerare l’opzione di finire il mondiale con la MP4-17D. Intanto Newey e Prodromou pare avessero individuato la causa dei malanni della vettura nella forma dello chassis. Si giunse così ai fatidici test catalani nei quali in data 11 luglio Wurz segnò il miglior tempo in 1’17”616 davanti alla Ferrari di Badoer ed alla Williams-Bmw di Ralf Schumacher. Ma anziché di un acuto si trattò del canto del cigno. Le persistenti noie tecniche non permisero alla monoposto di correre il Gran Premio di Gran Bretagna e spalancarono le porte della sua rottamazione. Newey racconta di una riunione tra i capi dei vari dipartimenti tecnici dove al termine del briefing Whitmarsh indisse una votazione per alzata di mano la quale decretò la fine del calvario. Un epilogo che mandò su tutte le furie lo stesso Newey. Alla fine di agosto Dennis annunciò che la MP4-18 non avrebbe partecipato ad alcun G.P. e che sarebbe servita solo come laboratorio per costruire la MP4-19. Infatti, nei primi giorni di settembre i tester De La Rosa e Turner la utilizzarono a Jerez, mentre a Monza Raikkonen e Coulthard provavano gli ultimi aggiornamenti sulla MP4-17D. Una macchina che comunque consentì a Kimi di giocarsi il titolo iridato sino all’ultima corsa in Giappone, dove Schumacher la spuntò per soli due punti. Nella graduatoria costruttori la McLaren fu beffata per altrettante 2 lunghezze dalla Williams-Bmw, seconda alle spalle della Ferrari campione. Se vogliamo un bilancio accettabile dal momento che la McLaren aveva conseguito solo due vittorie in tutto il campionato. A Newey ed a tutto il personale di Woking restò il grande rammarico di aver puntato su un’idea troppo rivoluzionaria che non diede i suoi frutti nemmeno in vista del 2004. La MP4-19 (che non era altro che la 18 con un nome differente) concluse solo quinta tra i costruttori, superata anche dalla Renault e dalla Bar Honda. E l’avventura di Newey in McLaren si sarebbe conclusa due stagioni dopo con il suo ingaggio da parte della Red Bull. Forse la cosiddetta “McLaren dei misteri” aveva condizionato il suo futuro a Woking, peraltro già minato dal mancato trasferimento alla Jaguar nel 2000. Allora Dennis intervenne e con un lauto aumento di stipendio blindò il tecnico che aveva già firmato una dichiarazione d’intenti col direttore generale Bobby Rahal. Ora, lungi da noi mettere in discussione le qualità superlative di Newey e paragonare la RB20 alla MP4-18. Parliamo di due modelli con un percorso diverso e la Red Bull 2024 non è da considerarsi una vettura costruita totalmente sull’utopia. E’ pur vero però che la teoria deve andar d’accordo con la pratica e non sempre questi due elementi s’incastrano alla perfezione.