Storia

Published on Luglio 29th, 2023 | by Massimo Campi

0

29 luglio 1973: il dramma di Roger Williamson a Zandvoort

 

di Carlo Baffi

Roger Williamson rimase vittima in un terribile rogo divampato dopo l’uscita di pista durante il Gran Premio d’Olanda. Una tragedia compiutasi anche per colpa di un’organizzazione gravemente insufficiente.

E’ uno dei capitoli più tristi della storia dell’automobilismo sportivo. Una testimonianza di quanto un tempo fossero rischiose le discipline motoristiche costrette a fare i conti con le tragedie costantemente in agguato. Tempi in cui la parola sicurezza era pressoché un’utopia, condizione che fece dei piloti delle due e delle quattro ruote dei veri e propri cavalieri del rischio. Veniamo ai fatti. Ci troviamo nella stagione 1973, per la precisione nei Paesi Bassi sul tracciato di Zandvoort, località che si affaccia sul Mare del Nord dove il vento trasporta con frequenza una notevole quantità di sabbia sulla pista. Un impianto inaugurato nel 1948 divenuto sede del Gran Premio d’Olanda e che ha subito una recente ristrutturazione al fine di garantire una maggiore sicurezza. Nel 1971, Jackie Stewart aveva capeggiato la campagna contro questa pista in quanto troppo pericolosa. L’anno prima infatti, il Gran Premio era stato sconvolto dalla morte di Piers Courage. Il 28enne inglese finì contro un terrapieno e nell’urto la sua De Tomaso 505, schierata dal team di Frank Williams, prese fuoco e lui perì tra le fiamme. Ora il manto stradale è stato completamente rifatto, in particolare nel tratto della temuta curva Tarzan, che come gli altri tornanti è stata rialzata. Inoltre è stata introdotta una variante di rallentamento tra il Tunnel Est e la “esse” che immette sul rettilineo di partenza. E lungo tutto il tracciato hanno installato un doppio guard-rail, costato complessivamente intorno ai 500 milioni di vecchie lire. Per quanto concerne i box, sono stati rifatti ed arretrati all’interno del tracciato che misura 4,226 chilometri che le F.1 dovranno percorrere per 72 volte, coprendo una distanza totale di 304,272 km. La F.1 vi fa tappa per il decimo appuntamento di un campionato all’insegna del dualismo tra Jackie Stewart ed Emerson Fittipaldi: lo scozzese in forza alla Tyrrell guida il campionato con 42 punti, seguito dal brasiliano della Lotus nonchè Campione del Mondo in carica a 41. Più distante François Cevert, compagno di Stewart a 33. Ma gli ultimi tre round hanno salutato l’affermazione di altri tre outsiders da tenere in considerazione: nell’ordine sono Denny Hulme (iridato nel ’67), Ronnie Peterson (compagno di Fittipaldi alla Lotus) e Peter Revson. Il primo ed il terzo guidano la McLaren. Per cui parlare di Stewart e Fittipaldi come favoriti assoluti è azzardato. Il Circus è reduce dalla trasferta inglese di Silverstone e non si sono ancora placate le polemiche per la carambola verificatasi a conclusione del primo giro coinvolgendo dieci vetture. Da rilevare, l’assenza della Ferrari alle prese con un annus horribilis acuito da lotte interne. Gioco forza, il Cavallino s’è concesso una pausa tecnica in attesa di tornare competitivo. Nelle prove del venerdì, su un asfalto ancora umido per la pioggia sono salite alla ribalta le due Brm V-12 del giovane e promettente austriaco Niki Lauda e Clay Regazzoni. Prestazioni destinate ad essere battute nelle qualifiche del sabato che salutano la pole di Peterson, davanti a Stewart e Cevert (a comporre la prima fila), mentre Fittipaldi è solo 16esimo. Il sudamericano è vittima di una brutta uscita di pista mentre lotta con Stewart per la pole. Mentre imbocca la dirittura d’arrivo ad una velocità di circa 160 km/h, causa un problema improvviso alla ruota anteriore sinistra, sbanda andando a colpire le barriere poste sulla sinistra, rimbalza in pista ed arresta la sua corsa contro il guard-rail di destra. Nel violento botto, l’iridato rimane imprigionato tra le lamiere e viene estratto grazie al tempestivo intervento del fratello Wilson e dei colleghi Hill ed Hailwood. I soccorritori tardano un po’ troppo. Recatosi al centro medico, al brasiliano viene diagnosticata la slogatura al piede sinistro che però non gli impedisce, seppur dolorante, di proseguire le qualifiche sulla vettura di riserva. Due posizioni dietro ad Emerson si piazza Roger Williamson a bordo della March (sono entrambi in 7a fila), un 25enne inglese al suo secondo G.P. nella categoria regina.

Willamson è nato il 2 febbraio del 1948 a Leicester, nella regione delle Midlands Orientali. Suo padre, Herbert Lawrence conosciuto come “Dodge”, è un garagista ed ama cimentarsi nelle gare speedway, elemento che stimola l’interesse per i motori del figlioletto. Quando questi compie cinque anni gli costruisce una rudimentale piccola auto a pedali, che il bimbo guida nello stadio dove corre il papà. Ma Herbert Lawrence, inizia a cimentarsi anche nel karting divenendo ben presto uno dei concorrenti più veloci di Leicester. Una passione che inevitabilmente contagia Roger che a 13 anni disputerà le prime gare vincendo il titolo britannico di categoria. E’ l’inizio di una carriera folgorante che nel 1967 lo proietta sulle auto, dapprima su una Mini 850 e poi su una Ford Anglia, sempre con risultati di rilievo. Prestazioni che fanno da preludio al suo passaggio sulle monoposto di Formula 3 nel ‘71. Al volante di una March 713M motorizzata Ford è al via di tutti e tre i campionati d’oltre Manica della serie cadetta: il Lombard North Central Championship, lo Shell ed il F.3 Championship ed il Forward Trust F.3. Roger è stato ingaggiato da Tom Wheatcroft, un ricco impresario edile di Leicester proprietario di una scuderia e pure di un prestigioso museo con auto d’epoca, la Donington Grand Prix Collection. E’ una svolta che gli permette di figurare sempre tra i protagonisti imponendosi nel Lombard e chiudendo secondo le altre due serie alle spalle del vincitore Dave Walker. L’anno dopo a bordo di una GRD-Ford, trionfa sia nello Shell che nel Forward Trust. Si cimenta anche in F. Atlantic, in F.2 e nella F.5000 facendosi onore, ma senza dominare come in F.3, complice anche le monoposto che conduce non all’altezza delle migliori. Comunque sia il suo nome compare tra le grandi promesse dell’automobilismo d’oltre Manica. Nel 1973 partecipa a qualche gara in F.3, ma punta principalmente al Campionato Europeo di F.2. Nel frattempo ha impressionato tutti dopo un test effettuato su una Brm di F.1 a Silverstone abbassando il record della pista. Nella serie cadetta Roger inizia sulla Grd 273, ma le scarse prestazioni inducono Wheatcroft a mettergli a disposizione la ben più efficace March 732-Bmw, con la quale conquista il successo nel prestigioso Gran Premio Lotteria di Monza. Una competizione la cui classifica finale è stilata sulla somma dei tempi delle due batterie entrambe vinte dall’inglese. Nella seconda il giovane british da spettacolo: seppur incappato in due fuori pista, rimonta furiosamente e riesce a spuntarla sul francese Patrick Depailler. Un’impresa che fa da prologo al grande salto in F.1 che ha luogo due settimane dopo a Silverstone. L’esordio di Williamson non è certo dei più felici in quanto resta coinvolto nel tamponamento a catena sopracitato. Tutto viene così rimandato al G.P. d’Olanda. Grazie a Mr. Wheatcroft riesce ad avere la March lasciata vacante da Jean Pierre Jarier, impegnato in quello stesso giorno in Svezia a difendere il primato nell’Europeo di F.2. Prima però, l’inglese è al via della Coppa di Santamonica di F.2 il 22 luglio a Misano Adriatico, in cui si afferma nella seconda frazione (sempre sulla March 732) davanti a Wilson Fittipaldi vincitore della manifestazione. E si arriva a Zandvoort. Dopo lo start, Roger deve guardarsi dalla sagoma scura della March-Ford numero 18 del team LEC Refrigeration Racing. Alla guida c’è David Purley, un suo connazionale molto coriaceo, scattato col 21esimo crono. Anch’egli è alla sua prima stagione in F.1 dopo essersi messo in evidenza in F.2. Il confronto tra le due March prosegue mentre in testa c’è Peterson seguito da Stewart, Pace e Cevert. La lotta tra i sudditi di Sua Maestà è serrato fino settimo passaggio. Sono circa le 15.40 quando nel tratto velocissimo vicino alla nuova “esse” (circa a metà circuito), Williamson finisce contro il guard-rail sinistro, un contatto avvenuto a circa 210 km/h tale da far capovolgere per due volte la vettura che prosegue la sua corsa strisciando lungo la pista. Malauguratamente l’urto ha squarciato il serbatoio della March e la fuoriuscita del carburante ha innescato un principio d’incendio. Le telecamere impegnate a riprendere Peterson leader della corsa si lasciano sfuggire l’attimo dello schianto ed inquadrano la terrificante scena quando la monoposto è ferma lungo la pista mentre sta bruciando con l’inglese al suo interno. Un istante dopo sui teleschermi compare un uomo con la tuta bianca ed il casco che corre in aiuto del collega. E’ Purley! Dal suo abitacolo ha seguito la sequenza dell’incidente ed ha immediatamente parcheggiato la sua auto a bordo pista. Una volta accanto alla March infuocata cerca di ribaltarla per favorire l’estrazione del pilota, ma questa non si muove. David non teme le fiamme e nemmeno il rischio di un’esplosione imminente. Lui è un temerario, ha prestato servizio tra i paracadutisti dell’esercito britannico ed ora la sua missione è quella di salvare Roger. Immagini che fanno tornare alla mente una sequenza sconvolgente vista mesi prima a Kyalami alla seconda tornata del G.P. del Sud Africa. Dopo una collisione a tre, Clay Regazzoni rimasto intrappolato nella sua Brm che brucia, venne salvato miracolosamente da Mike Hailwood un impavido ex mostro sacro delle due ruote, noto come “Mike the Bike”. Uscito illeso dalla sua Surtees incidentata, l’inglese si gettò in quella sorta di inferno, slacciò le cinture dello svizzero evitandogli una morte certa. La speranza è che pure a Zandvoort l’epilogo possa essere questo. Mentre Purley spinge con tutta la sua forza arrivano due soccorritori, peccato che non abbiano alcun estintore ed è lo stesso David a procurarselo da un terzo soggetto che sta dall’altro lato della pista. Il britannico prova a spegnere le lingue di fuoco che anziché estinguersi aumentano. La sua azione è stata di breve durata in quanto lo schiumogeno è di piccole dimensioni e l’estinguente si è esaurito dopo poco. Dall’incendio intanto si è alzata una colonna di fumo nero visibile da ogni parte del circuito. Purley continua a cercare di muovere i rottami roventi invitando i commissari ad aiutarlo, costoro però si tengono a distanza di sicurezza e addirittura uno di loro prende per un braccio il britannico cercando di allontanarlo e lui lo respinge: il tutto mentre le altre monoposto sfrecciano a circa 200 orari, dal momento che il Gran Premio non è stato interrotto.

Di fronte a queste scene di ordinaria follia Purley è incredulo, sconsolato, gesticola verso i concorrenti che transitano esortandoli a rallentare, sta realizzando che il destino di Williamson è segnato con le fiamme ormai incontrollabili. Un dramma assurdo che lascia allibiti milioni di telespettatori che assistono alla diretta della corsa (la tv olandese è presente per la prima volta). Sopraggiunge un’auto di servizio che fa un breve sopralluogo prima di andarsene, ma dell’autopompa presente sul tracciato nemmeno l’ombra. Si paleserà dopo circa tre minuti e mezzo dall’arrivo dei primi aiuti e sebbene siano coperti dalle protezioni in amianto, i pompieri esitano prima di entrare in azione. Sarà invece ancora Purley ad intervenire nuovamente con un altro estintore preso dai vigili del fuoco. L’uso della sostanza estinguente provoca una fitta coltre bianca che mischiata al fumo nero riduce a zero la visibilità nella zona circostante la vettura. Malgrado questo i concorrenti continuano a transitare anche se ad andatura ridotta evitando miracolosamente i presenti. Un commissario con pettorina bianca segnala loro il pericolo agitando una bandiera gialla. Passeranno ancora dieci minuti abbondanti prima che le fiamme siano definitivamente domate e solo allora i pompieri riusciranno a raddrizzare la March aiutati da sbarre di ferro prelevate da un carro attrezzi accorso in loro aiuto. Le lamiere arroventate vengono raffreddate con getti di acqua, ma per il povero Williamson non ci sono più speranze. Si tenga presente che le tute ignifughe indossate allora dai piloti avevano un’autonomia di 60-65 secondi al massimo, mentre Roger è rimasto imprigionato nel rogo per quasi un quarto d’ora, senza contare i danni provocati dai fumi roventi da lui inspirati. Il corpo senza vita del pilota viene lasciato nell’abitacolo sopra il quale viene stesa una coperta bianca. A gara conclusa, sarà estratto e portato in ospedale per le analisi stabilite dalla legge e poi rimpatriato in Gran Bretagna. I resti carbonizzati del relitto invece saranno posti sotto sequestro dalla polizia locale. Terminato il lavoro, il mezzo antincendio se ne va percorrendo la pista ed anche Purley, distrutto, risale in macchina e prende lentamente la via dei box. Il personale ritorna in servizio e la manifestazione si avvia verso la conclusione. “The show must go on”, lo spettacolo deve andare avanti. Una considerazione parecchio amara, ma che rende l’idea della deriva assurda presa da questa vicenda che sarà accompagnata da innumerevoli polemiche. Nel post-gara in un’atmosfera già carica di tensione, l’addetto stampa del circuito da lettura di un comunicato in cui viene difeso l’operato dei commissari e si scatenano le accuse. E’ presente anche il direttore di corsa Ben Huisman che ribadisce di non aver ritenuto opportuno arrestare la corsa:” C’era soltanto del fumo sulla pista, la visibilità era buona, così abbiamo deciso di continuare.” Pronta la reazione di Denny Hulme in qualita’ di presidente della Gpda (l’Associazione Piloti di Gran Premio):” E’ una sciocchezza. Non si vedeva nulla per il fumo e la prosecuzione della gara ostacolava i soccorsi.” Huisman allora ribatte:” Perché lei non si è fermato?” Ed Hulme risoluto:” Ho rallentato quasi fermandomi ad ogni giro nel punto dell’incidente. Non tocca a me, ma al direttore di gara fermare la corsa.” Il neozelandese ha poi continuato la sua arringa chiedendosi perché sia occorso così tanto tempo per vedere in funzione gli estintori, aggiungendo poi:” Io non ho dubbi che la corsa andasse fermata e sono sicuro che tutti i piloti la pensino come me.” Duro anche il commento di Wilson Fittipaldi:” Sono passato due volte sul luogo dell’incidente ed allora c’erano poche fiamme, prima di vedere all’opera qualche estintore di una certa efficacia. Poi ho visto il camion dei pompieri sul percorso: è ridicolo questo servizio che serve solo ad impressionare il pubblico. Ci vogliono mezzi veloci di pronto intervento, dotati di estintori efficienti. Si poteva evitare che il rogo assumesse le dimensioni che ha preso.” Gli fa eco Cevert:” Ad ogni passaggio mi aspettavo di vedere la bandiera rossa del direttore di gara.”

Quest’ultimo, responsabile di un’equipe composta da circa duecento volontari (parliamo dei marshals) come lui stesso, è nell’occhio del ciclone e sarebbe ritornato su quei drammatici fatti anni dopo nel corso di un’intervista. Racconterà che la mattina fece una ricognizione del percorso con un collega constatando che tutto fosse a posto. Una volta data la partenza con la bandiera nazionale, seguì la corsa di fronte alla torre del cronometraggio:” Alla settima tornata vediamo del fumo, ma non sentiamo niente e ci siamo detti che non poteva essere qualcosa di importante, visto che i tempi sul giro erano sempre gli stessi.” Non ci sono allarmi nemmeno dalle postazioni dei commissari e qualcuno ipotizza che qualcuno degli spettatori possa aver dato fuoco alle gomme tra la vegetazione. L’idea comune è che nulla di grave possa essere accaduto su una pista così sicura (forse un peccato di presunzione). Come detto la corsa andò avanti e soltanto dopo ulteriori passaggi con il fumo sempre più evidente, s’intuì che qualcosa fosse andato storto. “Così abbiamo mandato il camion dei pompieri che stazionava alla curva di Gerlach” spiega Huisman. Il mezzo impiegato non si trovava vicino ed essendo vetusto procedette pure lentamente.” Sapevamo quindi che qualcosa fosse successo – prosegue il direttore – ma ricevemmo dall’ufficio cronometraggio, la notizia che il conducente era in piedi accanto alla sua macchina”. Che nella concitazione, qualcuno avesse scambiato Purley per Williamson? Sta di fatto che sul mancato stop restano tanti, troppi dubbi, argomento su cui Huisman però insiste:” Non avevamo informazioni che fosse accaduto qualcosa di grave e poi non sarebbe stato facile prendere certe decisioni con 70mila spettatori presenti. Dopo aver consultato la commissione sportiva ho deciso di non fermare la corsa. E poi i tempi sul giro non erano diminuiti, guidavano tutti alla stessa velocità. E quello che non ho mai capito è come mai nessun pilota sia entrato in corsia box chiedendosi perché non fosse stato preso alcun provvedimento.” Un insieme di incomprensioni di fronte alle quali il manager riconobbe l’impossibilità di avere tutto sotto controllo. In lui restò un profondo rammarico:” Roger Williamson era ancora giovane e gli abbiamo tolto la possibilità di vivere una vita normale.” Una pagina nera nella carriera di Huisman che dopo quella stagione lasciò le competizioni. Reazione comprensibile, anche se dal suo racconto non emerge totalmente la condotta approssimativa dei suoi collaboratori. Un atteggiamento riscontrato anche nel commento del giornale olandese “De Telegraaf” in cui ci si limitò a dire che Williamson uscì di strada nella curva più veloce del circuito e che in quel punto ci fossero comunque i servizi antincendio. Un tema invece affrontato sulle pagine dell’”Algeman Dagblad” di Rotterdam, in cui si sottolineò l’incomprensibile mancato aiuto a Purley e si scrisse che “gli organizzatori sembravano più intenzionati a veder continuare la corsa, che a cercare di soccorrere chi stava morendo.” Durissimo anche il commento del francese “L’Equipe” dove si definì deplorevole la lentezza dei pompieri. In Italia oltre agli attacchi della carta stampata, si fece sentire pure la voce dei soliti moralisti che si scagliarono contro il motorsport, chiedendo che venisse bandito in quanto ritenuto un inutile confronto fra uomini e mezzi fuori dalla realtà, che spesso si conclude con un funesto epilogo. Teorie discutibili, tornate in auge dopo aver rispolverato i casi di Bandini (Monte Carlo 1967) e di Courage, morti per via di quel fuoco che continuava a rappresentare la più grossa minaccia per i piloti. L’ingegner Carlo Chiti, figura apicale dell’Alfa Romeo-Autodelta, colse l’occasione per riparlare dei serbatoi speciali antincendio di sua invenzione, che però non ebbero molto seguito. Seppur valido, questo progetto comportava alcune problematiche tecniche per l’installazione. Ad osteggiarlo ci furono alcuni costruttori restii a modificare le loro monoposto a fronte di un aggravio di costi. Jackie Stewart nei giorni successivi al dramma, fece sentire la sua voce auspicandosi che quanto accaduto servisse a migliorare al più presto la sicurezza sulle piste:” E’ assurdo – sentenziò – che negli aeroporti si spengano in breve tempo i roghi degli aerei, quando poi negli autodromi non si riesce a spegnere una macchina che brucia.” E sulla ragione per cui i piloti non si fossero fermati spontaneamente diede questa spiegazione:” Chi corre non è mai in grado di giudicare quello che accade fuori. Abbiamo visto una vettura in fiamme, il pilota poteva essere anche uscito dall’abitacolo…” Purtroppo l’automobilismo sportivo si trovava ancora in uno stato cui la salvaguardia dei piloti presentava parecchie lacune. Solo dopo decenni di assiduo lavoro, ricerche e sperimentazioni, si sarebbero registrati importanti passi avanti fino agli eccellenti standard attuali. Circa le cause che provocarono la sbandata di Williamson si fecero delle supposizioni, senza che però emergesse la verità assoluta. Si ipotizzarono dall’errore umano al guasto tecnico, fino all’esplosione di uno pneumatico: sul numero di “Autosprint Anno” del 1973, venne pubblicata una fotografia in cui si evidenziò che prima del fuoripista, sulla March di Roger si notava uno sbriciolamento sulla parte sinistra della carenatura anteriore in prossimità del pneumatico. Che siano stati questi detriti a provocare l’afflosciamento della gomma? Purley, che seguiva Williamson dichiarò che il rivale aveva affrontato il tornante troppo velocemente:” E’ arrivato lungo ed ha picchiato contro il guard-rail. Io ero poco dietro e così ho visto tutto ed ho avuto il tempo di frenare bruscamente ed ho slacciato le cinture per correre ad aiutarlo. La macchina aveva preso fuoco, ma solo nella parte posteriore. Lui era sotto e si muoveva e forse non aveva nulla di grave. Ho tentato di sollevare la vettura – illustra David – ma da solo non potevo farcela. Così ho chiamato a grandi gesti qualcuno che venisse ad aiutarmi. Se fossimo stati di più ce l’avremmo fatta a rovesciare l’auto ed a tirarlo fuori. Ma i commissari non se la sono sentita di avvicinarsi al fuoco ed anzi mi volevano tirare indietro. Ho visto tre o quattro persone che avendo visto i miei segnali, hanno scavalcato le reti ed han cercato di venirmi ad aiutare. Ma i poliziotti con i cani lupo li hanno rimandati indietro. Se mi avessero aiutato – ripete il pilota – avrei potuto salvare Roger.” Parole che sanno di una vera e propria accusa verso gli organizzatori, non a caso la sapiente penna dell’allora direttore di “Autosprint” Marcello Sabbatini, parlò di un “delitto tra i tulipani”. Una frase tanto forte quanto efficace, che puntava il dito verso l’improvvisazione di dilettanti allo sbaraglio. Qualcuno potrebbe obiettare, come precisò Huisband, che i commissari erano tutti volontari con la passione per le competizioni, retribuiti solo con un po’ di cibo e qualche bibita. Nulla da eccepire, ma è altrettanto vero che di fronte al pericolo si sono tirati indietro venendo meno ai loro compiti. L’aver lasciato solo Purley a lottare contro gli eventi è stato un comportamento imperdonabile. Per quel gesto di estremo coraggio, il pilota di Bognor Regis sarebbe entrato nella storia e avrebbe ricevuto in segno di riconoscimento la George Medal, la medaglia di Re Giorgio, una decorazione istituita nel 1940 per premiare le azioni di coraggio “non di fronte al nemico”. La medesima conferita precedentemente ad Hailwood dopo Kyalami. Il ricevimento si svolse a Londra, in quel di Buckingham Palace il 26 febbraio del 1974. L’avventura di Purley in F.1 proseguirà sporadicamente anche negli anni successivi fino al Gran Premio di Gran Bretagna. Complice l’elevato numero di iscritti, si resero necessarie le prequalifiche e proprio in questa sessione Purley rimase con l’acceleratore incastrato a fondo corsa mentre affrontava la curva Beckett ad oltre 200 km/h. Nella tremenda collisione travolse più sbarramenti metallici e per estrarlo dalle lamiere della Lec (esposta oggi al museo di Donington) ci volle più di mezz’ora. Era vivo per miracolo, ma con il corpo devastato da innumerevoli fratture. Ristabilitosi dopo tempo, fece ritorno in pista nel ’79 nella Formula Aurora prima di ritirarsi definitivamente e dedicarsi ad un altro hobby rischioso, il volo. Perderà la vita il 2 luglio del 1985 alla guida di un aereo acrobatico biplano inabissatosi in mare al largo del suo paese natale sulla costa meridionale dell’Inghilterra, mentre effettuava una picchiata. Per l’ennesima volta stava sfidando a viso aperto la sorte, dopo che sei settimane prima era uscito indenne dai resti dell’aereo di un amico precipitato da 250 metri. Del povero Roger Williamson resterà indelebile il ricordo della sua carriera molto promettente interrotta bruscamente in un pomeriggio di orrore a Zandvoort. Quando s’impose nel G.P. Lotteria di Monza, di fronte alla domanda di Pino Allievi, autorevole firma de “La Gazzetta dello Sport”, che gli chiedeva come mai avesse voluto a tutti conquistare la vittoria nella seconda batteria quando gli bastava arrivare secondo, rispose:” Visto che i motori qualche volta si rompono, tanto vale lasciare nella gente il ricordo di una bella corsa. Oggi ho fatto qualche numero, lo so, ma alla fine tutto è andato bene. Vuol dire che quando tornerò a Monza il pubblico dirà: ti ricordi quel pazzo che ha vinto a giugno il Gran Premio Lotteria? Allievi definì giustamente quel giovane driver “simpatico all’inverosimile” e da quel curioso interrogativo si poteva intuire la speranza fondata di Roger di poter tornare a breve nel “Tempio della Velocità”, magari in settembre per correre il suo primo Gran Premio d’Italia. Purtroppo il destino volle diversamente. In occasione del trentennale della scomparsa, Wheatcroft, fece realizzare dallo scultore inglese David Annand una statua in bronzo raffigurante il suo caro pupillo vestito con la tuta ed il casco in mano. Alla base dell’opera, eretta nel giardino antistante il museo automobilistico di Donington, una dedica toccante:” Nessuno potrebbe prendere il suo posto nel mio cuore. Tom Wheatcroft.” Piccolo particolare: mentre a Zandvoort si compiva la disgrazia, “l’assente” Jarier (che avrebbe dovuto essere sulla March di Williamson), ignaro di quanto capitato in F.1, trionfava in F.2 a Mantorp Park. Quando si dice il destino. Nonostante le contestazioni, la F.1 avrebbe corso ancora sul circuito di Zandvoort sino al 1985. Sarebbe seguita una lunga pausa e vi avrebbe fatto ritorno nel 2021 sull’onda dell’effetto Verstappen. Per la cronaca, il Gran Premio d’Olanda del ’73, fu vinto da Stewart che superò il primato del conterraneo Jim Clark con 26 G.P. conquistati. Al secondo e terzo posto giunsero Cevert ed Hunt. Quest’ultimo a podio dopo sole quattro corse nella massima serie, a conferma del suo talento. Lotus a secco sia con Fittipaldi che con Peterson. Il brasiliano alzava bandiera bianca dopo due tornate per via dell’insistente dolore al piede infortunato. Mentre Peterson dopo aver condotto in testa sino a sette giri dal termine, veniva tradito dal suo Ford-Cosworth ed abbandonava cedendo così il comando al duo della Tyrrell. In virtù di questo risultato lo scozzese compiva un deciso balzo in classifica portandosi a dieci lunghezze da Fittipaldi, che era incalzato da Cevert salito a quota 39; più staccato Peterson a 25. In quel campionato erano in programma ancora cinque round, con l’ultimo in data 7 ottobre a Watkins Glen negli States. Tutto si sarebbe risolto matematicamente un mese prima a Monza. La rivalità in casa Lotus, trasformatasi in una faida, finì per penalizzare Fittipaldi a beneficio di Stewart che si laureò per la terza volta Campione del Mondo. Pago dei successi raggiunti, Jackie diede il proprio addio alle corse. Una decisione maturata sulle pressioni della moglie Helen, profondamente colpita dalla scomparsa di troppi colleghi del consorte, non ultimo il compagno ed amico François Cevert, avvenuta proprio durante le prove dell’ultimo Gran Premio americano. Ma questa è un’altra storia.

 

Tags: , , ,


About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



Back to Top ↑