Tecnica

Published on Febbraio 19th, 2023 | by Massimo Campi

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Aerodinamica e le corse: ali per non volare

Lo sfruttamento dell’aria per aumentare le velocità in curva ha cambiato il modo di concepire le vetture con le wing car.

Le vetture si muovono sull’asfalto, sempre più veloci, ma, oltre ad una serie di attriti meccanici, hanno sempre dovuto fare i conti la resistenza dell’aria, un problema che ha iniziato ad essere ben noto ai progettisti di vetture da corsa, ed anche quelle che circolano su strada. Ci sono voluti diversi anni per arrivare a sfruttare gli effetti dell’aria sulle vetture da corsa, fino a quando alcuni progettisti hanno iniziato a sfruttare gli studi aeronautici.

La storia delle vetture di Formula Uno parte dagli anni ’50, con le monoposto che avevano semplici telai, motori anteriori, una elevata sezione frontale ed il baricentro piuttosto alto da terra. L’importante era avere motori potenti, per andare sempre più veloce su circuiti dove contavano le velocità elevate. I primi studi per lo sfruttamento dell’aerodinamica risalgono alla metà degli anni ’50 quando le favolose Mercedes W196 si presentano sui circuiti veloci con particolari carrozzerie aerodinamiche completamente carenate. Ma ai piloti la soluzione non piace particolarmente, hanno difficoltà nell’individuare gli ingombri e le vetture tedesche giù dominano il campo con la loro tecnologia meccanica. Le vetture della stella a tre punte finiscono la loro avventura alla fine del 1955, in seguito cambiano i regolamenti tecnici della massima formula, ma iniziano a cambiare anche i circuiti con tracciati meno veloci e più tecnici.

La prima vettura che debutta in gara con un alettone è però una piccola spider Porsche. Michel May, ingegnere tedesco trapiantato in Svizzera, intuisce i vantaggi di una ala applicata ad una vettura. Con il fratello acquista una Porsche 550 ed applica una ala rovesciata sopra l’abitacolo. Negli aerei le ali servono a creare portanza, May capisce che un profilo alare montato rovesciato crea l’effetto opposto, ovvero la deportanza schiacciando la vettura al suolo. Inoltre, per facilitare l’ingresso del pilota nell’abitacolo, monta l’alettone con dei supporti mobili che sfrutta, attraverso un sistema di leveraggio, per inclinare l’ala in frenata ed in curva.

Il risultato è eclatante, May gira molto più veloce delle Porsche ufficiali in prova al Nurburgring e Von Hanstein, il boss della casa di Stoccarda, chiede ai commissari si squalificare la vettura se non viene rimossa l’ala, giudicata pericolosa per gli altri concorrenti. May parte senza l’ala e deve soccombere a tutte le atre vetture più potenti, ritenta di iscrivere la sua Porsche in altre competizioni ma gli viene negato il permesso ed alla fine la piccola barchetta alata dell’ingegnere- pilota tedesco  finisce nel dimenticatoio.

La grande rivoluzione nelle vetture inizia alla fine degli anni ’50 con l’arrivo delle agili monoposto inglesi a motore posteriore. La sola potenza del motore non è più fondamentale per vincere le gare, ci vuole agilità e tenuta di strada in curva per sopravanzare gli avversari. Colin Chapman, il geniale ideatore della Lotus, inizia ad estremizzare alcuni concetti come la leggerezza, la rigidezza torsionale dei telai con l’introduzione della monoscocca, ma riduce notevolmente anche la sezione frontale della vettura con la Lotus 25, la monoposto nata attorno alla figura di Jim Clark. Il pilota scozzese guida praticamente sdraiato nella monoposto affusolata ed estremamente snella per ridurre il più possibile la resistenza all’aria alle alte velocità ed il baricentro in curva sfruttando al meglio i pochi cavalli del motore di 1,5 litri Coventry Climax.

Nel 1966 i regolamenti tecnici aprono la strada ai nuovi propulsori di tre litri di cilindrata. Dopo la prima stagione alla ricerca di nuovi motori validi, arriva come un fulmine nel G.P. d’Olanda del 1967 il Ford Cosworth sulle Lotus di Graham Hill e Jim Clark. Domina prove e gara vincendo al debutto e cambia radicalmente la storia delle corse. Il DFW Cosworth in breve tempo si diffonde in tutta la Formula Uno, ad eccezione della Ferrari che però ha altri problemi di telaio da risolvere e con le potenze praticamente uguali urge aumentare le velocità in curva per primeggiare. Nasce così l’interesse per l’aerodinamica e l’aumento del carico per aumentare la tenuta di strada.

Jim Hall, specialista in aerodinamica della General Motors, è il primo ad occuparsi in modo scientifico dello sfruttamento del carico aerodinamico per aumentare le velocità in curva. Applica nel 1966 sulle sue Chaparral i primi alettoni ed in seguito realizza anche la prima vettura dotata di ventole per aspirare l’aria dal fondo scocca con la 2J che corre nella Can Am Americana. Intanto in quegli anni l’aerodinamica entra a far parte della progettazione anche con le monoposto di Formula Uno. Jim Clark fu uno dei primi a montare un’ala su una monoposto: di sua iniziativa fece installare sulla sua Lotus nelle gara della Tasman Cup dell’inverno 1967-68 un’ala deportante ricavata da una pala di elicottero, ispirandosi proprio alle vetture della Chaparral americana.

Mauro Forghieri installò un primo alettone sulle Ferrari 312 di Chris Amon e Jacky Ickx, l’ala era posta subito dietro il pilota, in posizione abbastanza centrale e caricava tutta la vettura anche se il peso era maggiore sull’asse posteriore dove le ruote dovevano scaricare tutta la potenza terra. Ben presto le ali spuntarono su tutte le monoposto di Formula Uno e dal G.P. d’Olanda tutte le vetture erano dotate di soluzioni aerodinamiche, spesso abbastanza posticce ed improvvisate. La classica soluzione era quella di ancorare l’elettone ai portamozzi posteriori, la Brabham fissò un alettone anche su quelli anteriori per di distribuire il carico su tutte e quattro le ruote. Si procedeva per via assolutamente empirica, nessun team di Formula Uno era dotato di galleria del vento che erano molto poco diffuse ed in genere in scala molto ridotta. In compenso aumentavano in modo considerevole le velocità in curva e la medie sul giro, miglioramenti dovuti all’effetto della deportanza in curva ma anche del progresso incessante della tenuta delle gomme. Ormai spuntavano ali su tutte le monoposto in modo casuale e quasi selvaggio, con soluzioni spesso posticce e male integrate con la meccanica, tanto che iniziavano una serie di problemi date da rotture e cedimenti strutturali. Il 4 maggio 1969 al Gran premio di Spagna al Montjuich la situazione arrivò al suo epilogo con gli alettoni delle Lotus di Graham Hill e Jochen Rindt che collassavano in piena velocità con conseguenti uscite di strada e gravi incidenti dei due piloti. Il 28 maggio si corre a Montecarlo, dopo il  primo turno di prove, il presidente della Commissione Sportiva Internazionale, Maurice Baumgartner, impedisce l’uso degli alettoni ancorati ai portamozzi consentendo solo dispositivi aerodinamici collegati a parti fisse della vettura.

Colin Chapman entra nuovamente in scena: nel 1968 aveva progettato la Lotus 56 a turbina per Indianapolis con una caratteristica forma squadrata a cuneo, in seguito abbandonata in favore degli alettoni più semplici da impiegare, ma da quelle forme venne preso lo spunto per la Lotus 72 del 1970, una vettura che segnerà un’epoca diventando una delle più longeve e vincenti nella storia della Formula Uno. La creatura di Colin Chapman, disegnata da Maurice Philippe aveva soluzioni innovative come i freni entrobordo, ma soprattutto rivoluzionava le forme delle scocche con il profilo a cuneo e lo spostamento dei radiatori ai lati del pilota per pulire i flussi nella zona anteriore ed avere una migliore penetrazione aerodinamica. Nello stesso anno compariva la March 701 con appendici laterali a profilo alare deportante. Le pance che contenevano i serbatoi erano conformate come delle ali a profilo invertito per generare eventuali vortici depressivi verso il basso, una intuizione che verrà ripresa ed ampiamente sfruttata qualche anno proprio da Chapman.

L’aerodinamica si fa sempre più strada, non basta solamente la meccanica e la rigidezza delle scocche per fare una macchina vincente, ma la penetrazione e la tenuta in curva diventano fondamentali. Da vari studi effettuati, con gli alettoni prima degli incidenti di Spagna ’69 si era arrivati ad avere un carico deportante di circa 450 kg, a 240 km/h, scesi a soli 220 kg con le vetture nella successiva configurazione dopo Montecarlo. Occorreva riguadagnare l’effetto della deportanza per aumentare le velocità in curva.

Mauro Forghieri nel 1972 viene relegato nei vecchi uffici della Scuderia Ferrari a Modena, per effettuare degli studi sulle future monoposto del Cavallino. Il tecnico modenese si mise a fare esperimenti su varie forme della carrozzeria e sui profili alari, pur non avendo nessuna galleria del vento per verificare i risultati. Dai vari studi nacque una vettura sperimentale, la 312B3 “Spazzaneve”, una monoposto atipica, larga, corta, con un muso a cucchiaio e fiancate larghe e chiuse. La Spazzaneve non verrà mai utilizzata in gara, ma solo per una serie di test nelle mani dei vari piloti che approvano le varie soluzioni. Da questo studio nasceranno le successive Ferrari che domineranno le scene mondiali con Nicky Lauda e Clay Regazzoni nella metà degli anni ’70, riportando il Cavallino Rampante in cima alle classifiche mondiali. La grande rivoluzione arriverà ben presto, per merito ancora di Chapman con le sue Lotus “wing car”.

Immagini © Massimo Campi

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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