Storia

Published on Gennaio 19th, 2023 | by Massimo Campi

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Il carro davanti ai buoi

Da anteriore a posteriore, con il motore alle spalle del pilota si rivoluziona la tecnica delle monoposto

Il 19 gennaio 1958 è una di quelle date che hanno cambiato la storia tecnica della F.1, quando Stirling Moss, con la piccola Cooper a motore posteriore si è imposto nel Gran Premio di Argentina sulle potenti Ferrari e Maserati a motore anteriore, dimostrando che contava di più la leggerezza e la maneggevolezza rispetto alla potenza del motore. Il regolamento di quegli anni prescriveva l’utilizzo di propulsori aspirati di 2,5 litri, e dal 1958 non si poteva più usare le miscele speciali ma solo benzina avio come carburante riducendo le potenze dei motori. L’imperativo per i piccoli assemblatori britannici era quello di realizzare vetture sempre più leggere e semplici, che avessero la maggiore maneggevolezza in curva, soprattutto per compensare il gap dei propulsori inglesi rispetto a quelli italiani, molto più performanti.

“Non si è mai visto il carro davanti ai buoi!” erano le parole di Enzo Ferrari quando vide per la prima volta le piccole monoposto inglesi a motore posteriore, ma la sue era solo difesa verso le granturismo che vendeva ai piloti privati, mentre sapeva che il futuro era inarrestabile. L’esempio della tecnica a motore posteriore era già noto nell’anteguerra, quando il genio di Ferdinand Porsche creò la velocissima Auto Union, con il 16 cilindri dietro le spalle del pilota e campioni del calibro di Rosemayer, Stuck e Tazio Nuvolari che vincevano con le vetture tedesche.

Il G.P. d’Argentina 1958, che si disputava il 19 gennaio, prima gara della stagione, era rimasto in forse fino a metà dicembre per i problemi economici del paese sudamericano, e vide al via solo 10 concorrenti.  I Team BRM e Vanwall rimasero in Inghilterra con le vetture non ancora pronte per l’utilizzo del nuovo carburante, ed a Buenos Aires si presentarono al via le tre Ferrari Dino 246 di Mike Hawthorn, Peter Collins e Luigi Musso, sei Maserati 250F, ormai tutte private dopo il ritiro dalle competizioni del Tridente a fine ’57, per Harry Shell, Jean Berha, Carlos Medinteguy Francisco Godia-Sales, Horace Gould ed il campione del mondo Manuel Fangio che correva con la vettura della Scuderia Sud America, e unica vettura a motore posteriore la piccola Cooper T43 della scuderia di Rob Walker con Stirling Moss alla guida. L’asso inglese partecipò alla gara proprio con la Cooper in attesa della Vanwall, di cui era pilota ufficiale, con cui continuò la stagione. Juan Manuel Fangio fece valere la sua grande esperienza in prova segnando il miglior tempo, con Moss solo 7°, distaccato di due secondi. Hawthorn prese subito la testa della gara, ma dopo dieci giri Fangio lo superò, mentre Collins si ritirò per la rottura di un semiasse e Moss risalì pian piano fino alla seconda posizione. Fangio al 35° giro si dovette fermare per sostituire le gomme e Moss si trovò in testa alla gara seguito dalla Maserati di Jean Berha distaccato di 20 secondi, seguiti da Luigi Musso, che superò poi il francese, Fangio ed Hawthorn. Mentre gli altri si dovettero fermare per sostituire le gomme usurate, la leggera Cooper di Moss continuava la gara con le stesse coperture, anche se i meccanici avevano pronto ai box quattro gomme nuove per l’asso inglese. Musso iniziò una grande rimonta a suon di giri veloci, ma Moss, pur riducendo il ritmo per le gomme che si stavano consumando, transitò all’ottantesima tornata da vincitore sotto la bandiera a scacchi con 2,7 secondi di vantaggio sul romano.

Nessuno si aspettava una vittoria della piccola ma leggera monoposto inglese contro le potenti vetture italiane, ma ben preso arrivò il bis a Montecarlo con Maurice Trintignant che vinse con la stessa Cooper T43 di Rob Walker che aveva utilizzato Moss, mentre l’asso inglese aveva ripreso il volante dalla Vanwall a motore anteriore. Queste due vittorie furono il grido di allarme, una piccola, poco potente ma leggera macchina a motore anteriore si poteva imporre contro le potenti monoposto italiane a motore posteriore.

Il successo della piccola Cooper T43 a motore posteriore fu come un meteorite che cambiò le sorti della massima formula. Quella piccole monoposto sarà la capostipite di tutte le future realizzazioni nel mondo delle monoposto: tutte le principali vetture cambiarono l’aspetto e la soluzione a motore posteriore permise la realizzazione di monoposto piccole, leggere ed affusolate, ridotte all’essenziale senza la caratteristica di imponenza delle progenitrici a motore anteriore.

Le monoposto a motore anteriore avevano l’esigenza di lasciare spazio all’albero di trasmissione ed il pilota sedeva su un sedile piuttosto rialzato con relativi problemi aerodinamici. Le realizzazioni più sofisticate prevedevano il passaggio dell’albero di trasmissione accanto al sedile, abbassando di fatto l’impatto aerodinamico, ma per contenere il motore, l’albero, l’asse posteriore e contrastare tutte le varie forze torcenti, c’era bisogno di telai opportunamente dimensionati. Inoltre le vetture avevano generalmente il serbatoio del carburante nel vano posteriore che, svuotandosi durante la gara, variava di molto l’assetto della vettura. Una delle migliori realizzazioni per ovviare ai vari inconvenienti era stata la Lancia D50 di Vittorio Jano con i due serbatoi al lato del pilota. Le monoposto anteriori dovevano essere guidate abbastanza di forza, sfruttando la tecnica del controllo della derapata in curva dopo l’inserimento in curva.

Nelle monoposto a motore posteriore il peso veniva spostato al centro della vettura, concentrando le masse e riducendo il momento di inerzia polare. Le monoposto erano più reattive con un sterzo molto più diretto che rendeva la vettura molto più agile rispetto alle vetture anteriori. il telaio era molto più leggero, non c’era l’albero di trasmissione con tutti i problemi derivanti per l’alloggiamento e le forze generate sulla struttura. Il peso inferiore sollecitava molto meno le gomme, la Cooper del 1959 pesava oltre 130 kg in meno rispetto alle Ferrari Dino ed alle Maserati. Cambiava radicalmente anche il modo di guidare con il pilota che era semisdraiato nell’abitacolo. La sezione anteriore delle nuove monoposto era inferiore di circa 75 cm2 rispetto al passato con indubbi vantaggi nella velocità in rettilineo.

La Cooper era figlia delle gare inglesi, che erano sempre state considerate in secondo piano rispetto a quelle europee, dove venivano sfruttate soluzioni semplici ed a basso costo all’insegna della massima efficienza. In Inghilterra erano state vietate le corse su strada e le gare venivano spesso effettuate su piste ricavate da ex aeroporti militari in disuso dopo la guerra. Alla ribalta salirono giovani costruttori, liberi da convenzioni, che sfruttavano tutte le semplici risorse disponibili come John Cooper che iniziò a realizzare piccole vetture partendo da un semplice telaio in tubi ed un motore Jap da motocicletta montato alle spalle del pilota.

Oltremanica si affermò ben presto una cultura tecnica diversa rispetto a quella tradizionale europea, soprattutto italiana, dove prevaleva la meccanica dei propulsori e la parte telaistica era quasi considerata un accessorio per portare in giro il motore, che doveva essere soprattutto potente. La scuola inglese è diametralmente opposta, conta soprattutto la leggerezza e la tenuta di strada, per i propulsori e le parti meccaniche ci si rivolge spesso al mercato, con motori e trasmissioni derivate delle vetture di serie elaborate. Le prime Cooper hanno motori della Climax, con trasmissioni e parti meccaniche derivati da mezzi Citroen e Triumph Herald. Nascono così gli assemblatori, i “garagisti” come li chiamava Enzo Ferrari, presto il loro modo di concepire le vetture da competizione invaderà il mercato. Giovani e spregiudicati costruttori si fanno strada, come John Cooper, Colin Chapman, con le sue leggere e veloci Lotus, Erick Broadley con la Lola, la BRM, unica a produrre anche le parti meccaniche, ma ci sono anche piloti che, dopo avere conquistato allori, intuiscono le potenzialità del mercato ed invadono le corse con i loro prodotti come Bruce McLaren, Jack Brabham e John Surtees.

In soli diciotto mesi da quelle prime vittorie della Cooper cambia radicalmente l’aspetto delle vetture da corsa, sempre più veloci in curva, ma anche sempre più leggere e fragili, tanto che la Federazione Mondiale, allarmata dai tanti incidenti dovuti a cedimenti meccanici, decide di contenere le prestazioni riducendo la cilindrata dei motori da 2,5 a 1,5 litri dal 1961. Sarà una nuova stagione di successi per la Ferrari con la 156 progettata da Carlo Chiti, ma ben presto saranno nuovamente gli inglesi con le BRM e Lotus le vetture da battere.

Immagini © Massimo Campi

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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