Formula 1

Published on Dicembre 8th, 2022 | by Massimo Campi

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Ferrari 12 cilindri boxer

Il Ferrari 12 cilindri boxer è stato uno dei motori più vittoriosi nella storia di Maranello.

Nel 1966 la Formula Uno cambia regolamento, via i piccoli motori di 1,5 litri e via ad una nuova generazione di tre litri, propulsori molto più potenti che cambiano radicalmente la tecnica delle monoposto. Gli inglesi inizialmente sono in crisi, e per due stagioni è il V8 Repco a dominare la serie, un semplice motore derivato da un blocco di serie ed utilizzato da Jack Brabham per le sue vetture. Non molto potente, ma che ha nella semplicità e nell’affidabilità le sue doti principali che saranno fondamentali per la conquista dei due titoli mondiali da parte di Jack Brabham e Denny Hulme. La Ferrari, con il cambio regolamentare, doveva essere la favorita, a Maranello sono esperti nella realizzazione di motori plurifrazionati con cilindrate di 4 litri, montati sui prototipi per le gare di durata. Ma anche la Ferrari non riesce a concretizzare il potenziale, con le poche risorse umane che ha a disposizione diviso nei molti impegni tra monoposto, vetture a ruote coperte ed assistenza alle scuderie satelliti. Nel 1967 arriva il Ford Cosworth DFV, il motore che invade tutta la categoria monopolizzando la meccanica di tutti i principali team, ad accezione della Ferrari che rimane l’unica veramente in grado di contrastare il motore inglese. Il DFV Cosworth era più compatto rispetto ai dodici cilindri, inoltre aveva una struttura portante, semplificando la realizzazione dei telai. Aveva mano cavalli rispetto alla concorrenza, ma tutti ben sfruttabili, inoltre aveva un consumo più basso e ciò permetteva di impiegare meno carburante, realizzare scocche con serbatoi più piccoli a tutto vantaggio della guidabilità delle monoposto. Con la Formula Uno di tre litri la Ferrari nel 1966 scende in campo con il V12 derivato dalle sport, con una testata a due valvole per cilindro che Forghieri riprogetta quasi subito con una nuova testata a tre valvole. Il comando della distribuzione era a catena e la potenza era dell’ordine di 380 – 390 CV a 10.000 giri/min. L’alesaggio era di 77 mm e la corsa di 53,5 mm. Nel 1967 compare l’evoluzione con quattro valvole per cilindro che incrementa la potenza a circa 410 CV, per raggiungere i 430 nel 1969. i piloti della Ferrari di quegli anni: Bandini, Amon, Scarfiotti, Rodriguez, Parkes, Ickx, non riescono mai ad inserirsi nella lotta per il titolo mondiale che rimane appannaggio dei team inglesi.

Mauro Forghieri è esiliato a Modena, in un ufficio studi per progettare le nuove vetture da corsa, dopo che la Ferrari ha fatto l’accordo con la Fiat per assicurare un futuro alla fabbrica di Maranello. Serve una svolta, un nuovo motore per riportare le vetture rosse al vertice. Tra gli studi del tecnico modenese c’è quello per un nuovo motore da impiegare nel settore aeronautico leggero. Forghieri studia un motore piatto, per essere facilmente montato nell’ala di un aereo. L’accordo con l’industria aeronautica non va in porto, ma Forghieri parte proprio da quella architettura per progettare la nuova unità destinata alla competizioni degli anni ’70. Era una struttura inconsueta, piatta con i 12 cilindri orizzontali e contrapposti, subito denominata “boxer”, ma in realtà si trattava di V12 con le bancate poste a 180°.

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L’albero a gomiti era munito di sei perni di manovella, su ciascuno dei quali venivano montate due bielle, ed il basamento era costituito da due parti simmetriche unite secondo un piano mediano verticale che tagliava a metà i supporti di banco. I vantaggi del nuovo motore sono soprattutto quelli di abbassare notevolmente il baricentro della monoposto e quando scende in pista per le prime prove la nuova 312B si capisce che la musica sta cambiando e la Ferrari è pronta a ritornare tra le protagoniste, anche se la messa a punto richiederà del tempo.

Forghieri progetta un motore con solo quattro supporti di banco muniti di cuscinetti a rotolamento per ridurre gli attriti e ridurre la quantità di lubrificante durante il funzionamento. Inizialmente il motore era fornito di un albero motore composto, ma in seguito a grossi problemi di affidabilità Forghieri decise di impiegare un albero in un sol pezzo e di dotare di bronzine i due supporti di banco centrali, mentre le estremità erano sempre muniti di cuscinetti a rulli, con gli anelli esterni in un sol pezzo. I cilindri erano a canne riportate, che nella parte finale, per 28 mm, avevano uno spessore maggiore ed erano a diretto contatto col liquido di raffreddamento mentre per la parte rimanente erano a secco ed inserite a pressione nell’alloggiamento del basamento. I pistoni erano forgiati in lega di alluminio e nelle ultime versioni erano del tipo ad H. Le bielle erano realizzate in diverse versioni, sia in acciaio che in titanio. Le misure caratteristiche del 12 boxer erano 78,5 x 51,5 mm, in seguito l’alesaggio passò a 80 mm e la corsa a 49,6 mm. I due alberi a camme per bancata venivano azionati da due cascate di ingranaggi poste nella parte posteriore del motore. Le valvole, 31 mm per quelle di aspirazione e 27 mm per lo scarico, avevano un angolo di soli 20°. Il sistema di lubrificazione a carter secco era realizzato con una pompa di mandata di notevole portata ed il lubrificante  destinato ai cuscinetti di biella entrava nell’albero per mezzo di canalizzazioni assiali. L’olio veniva poi recuperato da un sistema composto da tre pompe, una per ogni camera di manovella, ed altre due più piccole che provvedevano ad aspirare l’olio da ogni testa. I primi problemi che Forghieri dovette risolvere erano legati alla lubrificazione, tanto che indossò una tuta particolare e si mise sotto al motore aperto mentre lo faceva girare al banco prova per capire come si distribuiva l’olio.

Nel 1970 la potenza era dell’ordine di 460 CV a poco meno di 12.000 giri/min; tre anni dopo crebbe a 485 a 12.200 giri/min e nel 1975, con la versione 312 T a 495 CV. Nel 1980 alla fine della sua evoluzione i cavalli erano circa 520 a un regime di 12.300 giri/min.

La 312B con il nuovo 12 boxer debutta nel 1970, con Jacky Ickx, a fargli da spalla, dopo le prime gare, arrivano alternativamente Ignazio Giunti e Clay Regazzoni. I primi punti arrivano con il romano che finisce quarto a Spa, ma sarà Ickx a portare la prima vittoria in Ferrari, in Austria. Il belga rimane in lizza fino a fine stagione per il titolo, che verrà assegnato postumo a Jochen Rindt.

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Il 12 boxer di Forghieri, dopo la messa a punto, diventa un motore da primato. Conquista però il primo alloro mondiale con la 312P nel 1972, l’ultimo prototipo ufficiale del cavallino rampante a ruote coperte. Per conquistare il primo titolo mondiale ci vuole una nuova rivoluzione in Ferrari, con Forghieri esiliato a Modena che traccia le linee della nuova vettura per il 1974. La nuova 312B3 conquista la prima vittoria in Spagna, con Lauda, ma sarà nel 1975 che l’asso austriaco riporterà la Ferrari in cima alla classifica mondiale con la nuova 312T, dotata sempre del potente 12 cilindri boxer e di un nuovo cambio trasversale.

Nelle undici stagioni in cui è stato utilizzato, dal 1970 al 1980, le varie evoluzioni di questo motore hanno collezionato 37 vittorie su 158 partecipazioni, conquistando quattro titoli mondiali costruttori (197519761977 e 1979), tre titoli mondiali piloti (19751977 e 1979), a cui va aggiunto il Mondiale Marche del 1972 nella gare di durata.

Le esigenze delle vetture ad effetto suolo, che male si sposavano con gli ingombri del 12 cilindri boxer hanno decretato la fine agonistica di questo motore che è stato sostituto dal nuovo V6 turbo nel 1981.

Immagini Massimo Campi

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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