Storia

Published on Dicembre 7th, 2022 | by Massimo Campi

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Tambay: un Signore a Maranello.

 

Di Carlo Baffi – immagini © Raul Zacchè/Actualfoto

“…. potè finalmente dimostrarsi un collaudatore preciso, instancabile e un pilota redditizio vincente. In definitiva: un carattere da professionista onesto, un Reutemann parigino.“ Così diceva di lui Enzo Ferrari nella sua celebre opera “Piloti che gente”. Parliamo di Patrick Tambay, spentosi a 73 anni per via di una patologia degenerativa qual è il morbo di Parkinson. Di bell’aspetto, elegante e dal portamento da gentiluomo, ereditati da una giovinezza trascorsa in una famiglia facoltosa; suo padre era un famoso gioielliere di Cannes. Patrick nacque a Parigi il 25 giungo del 1949 e sotto il profilo sportivo si mise presto in luce come sciatore, piazzandosi secondo nello slalom ai campionati nazionali del 1966. Una passione che però lasciò presto spazio a quella dei motori che finì con l’avere il predominio. Come per lo sci, il giovane bruciò le tappe e nel 1971 conquistò subito il “Volante Elf, prestigioso trofeo messo in palio dall’omonima casa petrolifera destinato alle migliori promesse d’oltralpe.

E proprio questo marchio influente mise disposizione di Tambay una monoposto spinta dal motore Bmw, con cui sbarcò in Formula 2 piazzandosi decimo nel G.P. di Barcellona: era il 24 marzo del 1974. E sempre in quella stagione arrivò la sua prima importante affermazione nel G.P. di Nogaro.  Nei due anni successivi, Tambay confermò le sue qualità nei campionati continentali di F.2 classificandosi terzo in entrambe le edizioni. Un biglietto da visita non indifferente che gli spalancò le porte del Circus. La data è quella del 3 luglio 1977, il Gran Premio è quello di casa in Francia a Le Castellet, ma la mancata qualifica al volante della Surtees-Ford, rese amaro la prima uscita. Pazienza, andò un po’ meglio due settimane dopo a Silverstone. Patrick si qualificò 16esimo, ma non vide la bandiera a scacchi complice un problema elettrico. Grazie alla nuova vettura, la Ensign-Ford, si registrarono dei progressi, il primo punto fu conquistato in Germania e prima della fine del campionato ne arrivarono altri in virtù di due quinti posti in Olanda e Canada. A Monza nel corso delle libere del sabato mattina, il parigino finì malauguratamente sotto i riflettori per un pauroso volo alla seconda curva di Lesmo a causa della perdita improvvisa della ruota posteriore sinistra. La sua Ensign picchiò violentemente contro il guard-rail esterno capovolgendosi e strisciando per un centinaio di metri lungo la pista. Fortunatamente il pilota rimasto intrappolato nell’abitacolo non si fece alcun graffio e l’episodio si chiuse con un grande spavento. Ma ritornando ai risultati sportivi, il 1977 di Tambay si chiuse con l’affermazione nella Can-Am. Prestazioni che non passarono inosservate agli addetti ai lavori tra i quali anche quelli che operavano a Maranello. I tempi però erano ancora prematuri ed il sogno rosso si sarebbe materializzato qualche anno più tardi.

Ad ingaggiare Patrick ci pensò comunque la McLaren con la quale scese in pista nel biennio 1978-79. Il ’78, sulla M26 spinta dal motore Ford-Cosworth fu sicuramente il campionato più proficuo: cinque gare a punti (un quarto posto in Svezia) ed ottavo nella graduatoria finale con 14 punti. Il 1980 vide Tambay impegnato oltre oceano nella Can Am dove bissò il successo del ’77. Sarebbe riapparso nella massima formula l’anno dopo dapprima con la modesta Theodore Racing, scuderia di proprietà del magnate Teddy Yip con base ad Hong Kong con la quale arpionò un solo punto a Long Beach. E poi con la Ligier-Matra, a partire dal Gran Premio di Digione, per sostituire Jean Pierre Jabouille, che non riuscì a riprendersi dal terribile schianto subito in Canada. Una parentesi poco felice per Tambay, che non concludendo alcuna gara gli fu preferito Eddie Cheever in vista del 1981. Gioco forza, senza offerte dai team, dovette lasciare il Circus assai deluso e quasi rassegnato a puntare su altre formule. Ma il destino gli avrebbe riservato una svolta importante, purtroppo a spese di uno dei piloti più popolari del Mondiale. L’8 maggio del 1982, Gilles Villeneuve perse la vita in un tragico incidente nel corso delle qualifiche del Gran Premio del Belgio e a Maranello si pose l’impellente interrogativo su chi avrebbe sostituito il funambolo canadese. La prima scelta ricadde sul promettente Michele Alboreto, però essendo contratto restò vincolato alla Tyrrell. La fatidica chiamata da Maranello sarebbe arrivata al milanese due anni dopo. Come alternativa rispuntò il nome di Tambay, caldeggiato anche da Didier Pironi, l’altro pilota della Rossa. Colui che dopo la faida di Imola era divenuto per Gilles l’odiato traditore. La candidatura di Patrick fu accolta favorevolmente dal Drake e dal conte Van der Straten che liberò il 33enne driver transalpino dall’impegno in Can Am. Il primo di giugno venne quindi firmato il contratto in modo da permettere al nuovo arrivato di ambientarsi sulla 126C2 spinta dal motore V6 turbo in vista del Gran Premio d’Olanda. Dopo parecchi mesi di digiuno dalla F.1, sostituire Villeneuve su quella rossa contrassegnata dal mitico numero 27 non era certo un compito facile, oltre alle ragioni tecniche c’erano pure quelle psicologiche. Gilles era un grande amico di Patrick, tant’è che quest’ultimo  dopo la il dramma di Zolder, aveva ospitato la famiglia del canadese ed era divenuto il mentore del piccolo Jacques. Tambay però aveva ritrovato l’entusiasmo e s’era lasciato alle spalle i giudizi negativi espressi verso quel Circus che l’aveva praticamente reso un disoccupato. “Sono pur sempre un professionista – spiegò ai media – e non si può restare insensibili all’appello della Ferrari. Già cinque anni fa sbagliai valutazione; potevo approdare a Maranello, ma mi feci convincere dallo sponsor scegliendo la McLaren. Fu un errore clamoroso, perché la scuderia inglese era tecnicamente indietro.” Dopo due settimane di test a Fiorano, seguirono altre prove al Paul Ricard. Sebbene avesse soltanto otto gare in cui mostrare le proprie qualità, il contratto durava fino al termine della stagione, Tambay era ottimista ed al tempo stesso emozionato:” E’ difficile da spiegare, mi sono sentito più giovane. E’ come se fossi alle prime corse, ma con alle spalle una certa esperienza che mi sarà certamente utile. La Ferrari da sola basta per dare la carica a qualsiasi pilota. Ho trascorso due settimane a Fiorano ed ho riscoperto anche lo sport automobilistico. In tutta onestà – ammise Patrick – gareggiavo in Can Am per non abbandonare l’attività, ma quelle sono competizioni senza molto valore, dove vi sono tre macchine buone ed il resto conta poco. So bene che qualcuno pensa che io sia finito e che sia stato solo fortunato a passare alla Ferrari in quanto non c’era un altro pilota libero, ma farò di tutto per dimostrare il contrario. Vivo alla giornata e cercherò di fornire il mio contributo alla squadra. Con Pironi non ci sono problemi, può puntare al titolo ed io a vincere almeno una gara. In tutto questo mi dispiace solo la ragione per cui ho avuto questo posto: la scomparsa di Villeneuve.”

Nel debutto olandese in cui trionfò Pironi, Tambay (partito sesto) giunse solo ottavo a un giro dal vincitore, ma superò l’iniziale scetticismo due settimane dopo a Brands Hatch, quando scattato 13esimo salì sul terzo gradino del podio alle spalle del compagno. La 126C2 si stava rivelando una monoposto molto competitiva in grado di puntare sia al titolo piloti, che a quello costruttori. Il fato era però nuovamente pronto a colpire ed il 7 agosto nel corso delle prove bagnate del Gran Premio di Germania, ad Hockenheim, Pironi venne coinvolto un terribile botto in seguito al tamponamento a circa 280 km/h della Renault di Alain Prost. Le numerose fratture agli arti inferiori posero fine alla carriera di Didier e compromisero la lotta al vertice del Cavallino, che perdeva un altro pilota nello stesso anno. Tambay rimase particolarmente colpito dall’accaduto dicendosi affranto:” Ero arrivato alla Ferrari già in circostanze dolorose dopo la scomparsa di Gilles. Stavo aiutando Pironi a vincere il titolo mondiale e ora anche lui è rimasto vittima di un grave incidente.” Malgrado ciò, il parigino proseguì le prove e la domenica si presentò in griglia col quinto tempo. Ebbene, proprio nel momento più drammatico ecco che la sorte si capovolse quasi per magia. Tambay, con l’unica rossa in pista, condusse una gara intelligente senza sbavature e quando il capofila Piquet finì ko dopo un urto con Salazar al 18esimo passaggio (a cui seguì la reazione violenta di Nelson con tanto di pugni), prese il comando per tagliare il traguardo vittoriosamente. Era il suo primo successo in F.1 e nel dopo gara confessò di aver pensato subito a Didier: “Mi è stata di grande aiuto la fiducia che ho sentito da parte di tutti i componenti del team.” E grazie a questo primo posto, anche Tambay rientrò nel novero dei possibili pretendenti al campionato: con Pironi leader della classifica, ma fuori dai giochi, i punti da recuperare su John Watson erano soltanto 14 a quattro round dalla fine. Purtroppo la dea bendata volse nuovamente le spalle al Cavallino: insomma il 1982 era proprio un anno no. Tambay cominciò infatti a lamentare un’infiammazione cervico-brachiale che mise a rischio la sua partecipazione ad alcune gare. Ferrari allora, temendo di restare senza piloti, dovette tornare sul mercato e la scelta ricadde su una sua vecchia conoscenza, Mario Andretti. L’apporto dell’italo-americano fu fondamentale soprattutto nel Gran Premio d’Italia dove chiuse terzo a podio dietro a Tambay e Arnoux e dopo aver entusiasmato il pubblico amico siglando una meravigliosa pole position. Non a caso Andretti era soprannominato “Piedone”. Quel mondiale sarebbe stato appannaggio del finnico della Williams Keke Rosberg, premiato per la sua costanza nei piazzamenti (conseguì solo una vittoria) e Tambay chiuse settimo precedendo, guarda caso Alboreto, tutti e due a quota 25. La Ferrari invece si aggiudicò il campionato costruttori, traguardo che bissò anche la stagione dopo, in cui accanto al riconfermato Patrick venne ingaggiato il connazionale Renè Arnoux.

Nella prima parte dell’83, le rosse diedero l’impressione di avere il potenziale per puntare in alto. Lo stesso Tambay, al quarto Gran Premio colse il suo secondo centro in carriera e davanti alla marea rossa di Imola. Una gioia maturata a sei tornate dal termine quando Riccardo Patrese, appena issatosi in testa proprio ai danni del ferrarista, finì contro la barriera di gomme alla curva delle “Acque Minerali”. Nel rivedere Tambay davanti il pubblico esultò, comportamento che indispettì non poco il driver padovano della Brabham. Via libera dunque al transalpino che poi dovette essere portato all’arrivo su un’auto di servizio perché rimasto a secco nel giro di rientro. Con l’euforia alle stelle, non perse tempo ricordandosi di Villeneuve:” La Ferrari numero 27 avrebbe dovuto vincere lo scorso anno qui a Imola. La mia gioia più grande è quella di aver portato al successo la stessa macchina proprio qui, un anno dopo. Dedico a Gilles la vittoria!” Precedette la Renault di Prost e la rossa gemella di Arnoux. Un’affermazione che permise a Patrick di raggiungere la seconda piazza tra i piloti ad una sola lunghezza dai leader Piquet e Prost. Il prosieguo della stagione vide Tambay salire sul podio per altre quattro volte (due volte secondo e due terzo), ma seguirono pure delle battute a vuoto causate da errori allo start, tanto che l’implacabile Commendator Ferrari lo bollò di essere affetto dal “complesso del semaforo”. Un handicap che alla fine risultò determinante nella battaglia contro Nelson Piquet, forte di una Brabham dotata del potente turbo BMW, che mise il brasiliano nella condizione di laurearsi iridato per la seconda volta. Tambay dovette invece accontentarsi del quarto posto, superato da Arnoux (autore di tre vittorie) e Prost. Come detto precedentemente, il Cavallino si consolò con il secondo titolo costruttori consecutivo in virtù delle dieci lunghezze di vantaggio sulla Renault. L’annuncio dell’ingaggio di Alboreto pose fine alla presenza del parigino a Maranello, che emigrò in patria diventando prima guida della Renault. Sotto le insegne della Regie affrontò altre due annate nella categoria regina, ma con risultati decisamente al di sotto delle attese: un secondo posto con pole a Digione nell’84 e due terze piazze a Estoril e Imola nell’85. Ormai ai titoli di coda, la sua carriera continuò per un altro anno con la Lola del team statunitense Beatrice Haas, con cui rimediò tanti, troppi ritiri, potendosi fregiare di un incolore quinto posto in Austria come miglior piazzamento. Il bilancio ottenuto in 122 G.P. parlava di 2 vittorie, 5 pole ed 11 podi. Uscito definitivamente dal Circus, Tambay non appese il casco al fatidico chiodo, bensì volle cimentarsi a bordo di vetture a ruote coperte in tre edizioni della Parigi-Dakar, dal 1987 all’89, imponendosi in alcune tappe.

E sempre nel 1989 fu quarto alla “24 Ore di Le Mans” a bordo di una Jaguar XJR-9LM insieme a Jan Lammers ed Andrew Gilbert-Scott. Vettura con cui prese parte anche nel mondiale sportprototipi. La sua ultima fatica in pista è datata 2005, nella serie Grand Prix Master riservata agli ex drivers del Circus. Al di fuori della pista, Tambay continuò a gravitare nel motorsport nel ruolo di commentatore televisivo e radiofonico e non ultimo c’è pure un aspetto extra-sportivo che ha arricchito il curriculum di questo personaggio, ovvero la politica. A partire dal ’95 intraprese questa nuova strada venendo eletto nelle file dell’Unione per un Movimento Popolare (partito che nel 2015 cambierà nome in “I Repubblicani”) nel dipartimento delle Alpi Marittime. Una carica che gli venne riconfermata nel 2008 e pure nel 2013.

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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