Storia

Published on Agosto 16th, 2022 | by Massimo Campi

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Budapest incorona Mansell.

Di Carlo Baffi

Nel 1992 il pilota britannico conquistava il titolo mondiale al volante della Williams-Renault.

E finalmente venne il gran giorno del “Leone”. Era il 16 agosto 1992, quando Nigel Mansell tagliava il traguardo alle spalle del vincitore Ayrton Senna su McLaren laureandosi matematicamente Campione del Mondo in Formula Uno. Un titolo giunto con largo anticipo se teniamo conto che mancavano ancora cinque appuntamenti alla fine della stagione, segno inequivocabile del dominio assoluto del britannico e dalla sua monoposto, la Williams FW14B spinta dal V10 Renault. Ed a testimoniarlo è il ruolino di marcia ottenuto da Mansell, prima dell’Hungaroring: in 10 gare siglò 8 vittorie e 9 pole position, ritarandosi in una sola occasione, a Montreal quando finì fuori pista dopo un veemente attacco al leader Senna. Numeri che la dicono lunga pure sul potenziale della vettura progettata da tecnici geniali come Patrick Head ed Adrian Newey (passato dalla March alla Williams a metà del 1990), quest’ultimo destinato e mietere successi nella massima serie con le sue creature ancora oggi, ne è un esempio la Red Bull guidata da Max Verstappen.

Con un’arma di tale calibro si materializzò un perfetto connubio con il carattere di Mansell, il classico inglese indomito dalla guida aggressiva, che non a caso venne soprannominato il “Leone d’Inghilterra”. Basti pensare al G.P. degli Stati Uniti corso a Dallas nel luglio 1984. Sotto una canicola infernale e su una pista ricavata intorno allo stadio del Cotton Bowl, tra muretti e pile di gomme, Mansell partì dalla pole (la sua prima in carriera) e dopo aver cercato di portare la sua Lotus al traguardo col cambio a pezzi, rallentò fino a fermarsi in prossimità del traguardo: era rimasto senza benzina. Fu allora che il britannico uscì dall’abitacolo e cominciò a spingere la sua vettura nera e oro per prendere la bandiera a scacchi. Ciò malgrado la fatica, la tensione ed il caldo. Riuscì a percorrere soltanto pochi metri e svenne. Fu subito soccorso e ripresosi accennò un saluto al pubblico che lo osannò per quel gesto eroico, che gli permise di classificarsi sesto. E come dimenticare i suoi duelli rusticani col compagno-rivale Nelson Piquet (che non gli risparmiava battute feroci anche sulla sfera familiare) nel biennio 1986-87? E che dire del numero offerto ad Imola nel Gran Premio di San Marino 1990? Mentre lanciava il suo assalto in piena velocità alla McLaren di Berger all’uscita del Tamburello, finì con le ruote sull’erba compiendo un testacoda a 360°, eppure come nulla fosse mantenne il controllo della sua Ferrari, si rimise in traiettoria e riprese l’inseguimento.

E pensare che a inizio carriera lo definivano “il mansueto”. Alla vigilia della trasferta magiara, Mansell comandava la classifica pilota con un margine di 26 lunghezze sul compagno Riccardo Patrese, 53 sul giovane emergente Michael Schumacher e 62 su Ayrton Senna. Tenendo presente che il regolamento di allora prevedeva che al vincitore spettavano 10 punti, al secondo 6, al terzo 4 e via scalando fino al sesto classificato, all’incoronazione del britannico mancava solo la certezza matematica. Il round dell’Hungaroring però non si prospettava così scontato, dal momento che il tracciato con tante curve non consentiva alla FW14B di scatenare tutti i cavalli e anche lo stesso Mansell non amava questo tipo di layout, nonostante che nel 1989 si fosse imposto al volante di una rossa al termine di una rimonta indimenticabile con sorpassi mozzafiato. Fin dalle prove cronometrate del venerdì le Williams risultarono le più veloci, nonostante fosse stata introdotta la norma per cui i motori dovevano essere alimentati con benzine comuni. Il più rapido fu Patrese affetto da uno stiramento alla schiena, mentre Nigel si ritrovò alle prese con qualche problema di troppo nella mattinata di libere: un incendio al propulsore lo costrinse ad utilizzare il muletto sul quale si palesarono problemi elettrici. Guai risolti nel pomeriggio in cui Mansell siglò il secondo tempo. Il sabato nessuno avrebbe migliorato il crono di Riccardo, che potè così festeggiare la pole position. Al suo fianco sarebbe scattata la FW14B gemella, poi Senna e Schumacher. Caricato per il risultato ottenuto il padovano fu esplicito in merito ad un eventuale aiuto al compagno:” Ma che mano! Mansell il mondiale lo ha già vinto, oppure lo vincerà nelle prossime gare. Io farò la mia corsa e se non soffrirò più del mal di schiena cercherò di vincere.” D’altronde al “Leone” per essere campione sarebbe bastato arrivare 2° con Patrese quarto, oppure anche 3° con l’italiano fuori dai punti. Allo start Riccardo prese subito il comando, mentre Nigel dovette cedere il passo a Senna e Berger. Dunque strada in salita per il leader del mondiale che però all’ottavo dei 77 giri previsti ebbe la meglio sull’austriaco, cercando di passare anche Senna. Ma il fuoriclasse brasiliano si dimostrò come sempre un osso duro al punto che il pilota della Williams finì fuori pista cedendo la posizione a Berger.

Senza perdersi d’animo, Mansell tornò in pista e disfatosi di Gerhard si rimise all’inseguimento di Ayrton. Nel frattempo però, ecco la svolta della corsa e anche del campionato. Durante la 39esima tornata, il capofila Patrese s’intraversò restando a cavallo di un cordolo. Aiutato dai commissari rientrò in pista, non commettendo alcuna infrazione dal momento che si trovava in una posizione pericolosa, peccato che poco dopo imboccò la via dei box per alzare bandiera bianca col V10 out. “Non ho commesso nessun errore – si giustificò il padovano – quell’uscita è da attribuire alla sabbia portata in pista da altri piloti. Mi sono ritrovato fuori senza accorgermene, gli errori li ammetto, ma questo proprio no.” Un peccato perché Patrese aveva tutte le credenziali per puntare al successo, tutto era andato bene sino al 20esimo passaggio:” …da li in poi – spiegò Riccardo – ho avvertito strani rumori, il motore se ne stava andando. Ero preoccupato, però pensavo di potercela fare, invece non me ne va dritta una.” In virtù di questo forfait, Senna salì al primo posto seguito dall’inglese che diventava virtualmente Campione del Mondo. Ma la sorte non era certo amica del “Leone” ed al giro 61, la sua gomma posteriore sinistra cominciò ad afflosciarsi e prontamente venne richiamato ai box da Head. I meccanici furono rapidissimi a sostituirgli i quattro penumatici in 8”7, ma una volta tornato in battaglia, il britannico si ritrovò sesto e dovette ricostruire una nuova rincorsa, questa volta verso la terza piazza che gli sarebbe stata sufficiente con Patrese fuori gara. Nei sedici giri restanti Mansell spinse sull’acceleratore e beneficiando del ritiro di Schumacher, ebbe la meglio prima su Hakkinen e poi su Brundle: era terzo! Ma siccome l’appetito vien mangiando, come dice il proverbio, il “Leone” si avventò pure su Berger, infilandolo con una staccata magistrale. Prossimo a completare la sua missione e decisamente più tranquillo, l’alfiere della Williams si accontentò del piazzamento d’onore e Senna tagliò vittoriosamente il traguardo per la seconda volta nella stagione. Alle spalle di Mansell chiusero Berger (McLaren), Hakkinen (Lotus), Brundle (Benetton) e Capelli, sesto con la Ferrari nel giorno del 500esimo Gran Premio del Cavallino. Un traguardo un po’ mesto per Maranello, d’altronde la F92A non brillò certo per la sua competitività. Sul podio il neo iridato diede sfogo alla sua gioia insieme a Senna e Berger e poi prima di concedersi ai media si abbandonò ad un lungo abbraccio con la cara moglie Rosanne. Si erano conosciuti giovanissimi nel 1970, lui aveva diciassette anni, lei sedici e si sposarono cinque anni dopo. Rosanne l’avrebbe sempre seguito assecondandolo nella grande passione per il motorsport e condividendo gioie e dolori. Ad esempio quando si trattò di comprare una vettura di Formula Ford usata, contribuì coi suoi risparmi a raggiungere le 1.500 sterline necessarie per l’acquisto (compreso il trailer per il traino). E non si tirò mai indietro a trascorrere le nottate in garage a reggere la lampada mentre il marito puliva le parti del motore. Una sorta di favola che dal lieto fine con Nigel riuscito nell’impresa di detronizzare un fenomeno come Senna (il quale però rispetto agli anni precedenti non disponeva più di una McLaren stratosferica) e riportare il titolo piloti oltre Manica 16 anni dopo James Hunt. “Sono felice e mi auguro che lo si veda – proclamò il nuovo Re del Circus – alcuni dicevano che non ce l’avrei mai fatta e avevano torto. Complimenti ad Ayrton per la sua tattica. Devo ringraziare tutto il team, Patrick Head che mi ha urlato di rientrare quando mi si stava sgonfiando la gomma e grazie ai meccanici che al pit sono stati velocissimi. Del titolo ne avevo parlato tante volte, ma oggi che l’ho conquistato non capisco ancora tutto il suo significato.” E per concludere spuntò la dedica per la figlia Clohe:” Oggi compie gli anni, sarà un bel compleanno. Auguri!” Una felicità incontenibile ed un pizzico di rivalsa verso chi lo aveva sempre criticato ritenendo poco probabile il raggiungimento di un traguardo così importante. Mansell l’aveva già sfiorato in tre occasioni, restando sempre a bocca asciutta.

Le prime due nel 1986 e 87 sempre con la Williams, beffato prima da Prost e successivamente dal compagno Piquet, ultimo driver ad aver vinto il campionato per il team di Didcot. Non scordiamoci la parentesi come pilota del Cavallino nell’89 e ’90 in che si rivelò un po’ al di sotto delle aspettative. E poi nel ’91 tornato alla Williams, fu vittima di un disastroso pit-stop in Portogallo in cui gli venne fissata male una ruota che perse dopo pochi metri. Una battuta a vuoto che permise a Senna di cogliere il suo terzo mondiale, lasciando Nigel alle sue spalle. Ma l’anno dopo sarebbe stato il paulista a congratularsi con il suo successore, cogliendo l’occasioneper proporsi apertamente alla Williams senza esimersi dal fare polemiche:” Io voglio vincere ogni domenica e voglio la squadra ed il materiale che l’anno prossimo mi permetta di lottare costantemente per il primo posto. Non intendo ripetere l’esperienza del ’92.” E poi ecco l’affondo:” Ho parlato con Hunt, ora commentatore della BBC e gli ho detto che volevo lanciare un messaggio alla Williams in questo senso, anche perché non mi sembra giusto che in quella squadra che ha dimostrato quest’anno di essere la più competitiva, ci sia qualcuno che faccia pressione per non accettare un pilota come me. Qualcuno all’interno o all’esterno del team, sponsor o partners sta usando la sua influenza per avere la prossima stagione una coppia franco-britannica. Ciò è scandaloso, è inaccettabile.” Un messaggio chiaro diretto ai vertici di Didcot, dove se Williams era favorevole ad un ingaggio di Ayrton, Head era più propenso a confermare Mansell. Senza contare che il motorista Renault spingeva fortemente per Alain Prost, fermo per via dell’anno sabbatico, ma pronto a tornare al volante di una monoposto vincente. E sarebbe stato proprio il “Professore” ad ereditare il volante di Mansell, costretto ad emigrare oltre oceano nella Indy Car complice il mancato rinnovo con Williams. Gioco forza, Senna dovette proseguire un’altra stagione con la McLaren. Il suo grande sogno di approdare alla corte di Sir Frank si sarebbe materializzato nel 1994. Purtroppo le speranze del brasiliano furono ben presto andate deluse. Si sarebbe trovato alle prese con la nuova FW16, dai lineamenti molto rastremati, ma al tempo stesso alquanto scomoda per via dello stretto abitacolo. Malauguratamente quella monoposto tanto inseguita sarebbe stata la causa della tragica fine di Ayrton, con l’incidente mortale del 1 maggio ad Imola. Il caso volle che a sostituirlo fu propri Mansell, richiamato dagli Stati Uniti per affiancare il giovane Damon Hill, figlio del grande Graham.

L’inglese fece il debutto nel G.P. di Francia e dopo esser scattato dalla prima fila fu tradito dal cambio. Seguì un altro ritiro nel G.P. d’Europa a Jerez, poi un quarto posto in Giappone ed alla fine ecco la vittoria nell’ultima tappa in Australia dove Hill si giocò il titolo, perdendolo, contro la Benetton di Schumacher. Quello di Adelaide sarebbe stato l’ultimo centro messo a segno dal “Leone”. Nel 1995 ingaggiato dalla McLaren avrebbe disputato solo due gare prima di ritirarsi definitivamente.

Illustrazione © Carlo Baffi – Immagini © Massimo Campi – Raul Zacchè/Actualfoto

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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