di Carlo Baffi 75 anni di Ron Dennis - Motoremotion.it

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Published on Giugno 5th, 2022 | by Massimo Campi

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75 anni di Ron Dennis

 

di Carlo Baffi

Quella del manager britannico è una luminosa carriera iniziata dalla gavetta ed arrivata ai vertici del Circus gestendo uno dei team più famosi, attraverso sfide, trionfi e momenti difficili.

Per i ferraristi irriducibili è stato il nemico pubblico numero uno. La sua figura raramente sorridente, ricordava una delle rivali più agguerrite di sempre, la McLaren. Scuderia vincente e blasonata, che dopo le difficoltà delle ultime stagioni, cerca di tornare ai piani alti. Parliamo di Ron Dennis, che il 1 giugno scorso ha festeggiato 75 anni. Una figura storica del team inglese, nonché della moderna F.1; quella che dalla metà degli anni ’80 ha visto arrivare i grandi costruttori. Un uomo che ha conosciuto anche l’epoca precedente, quella dei garagisti dove ha maturato quell’esperienza che gli ha poi permesso di pensare in grande. Un tipo dal carattere indomito, sempre intento a raggiungere gli obiettivi prefissati mantenendo fede a quella tenacia inglese di cui va fiero, insieme alla nazionalità. Sua unica debolezza, l’avversione totale per la sconfitta, lato che non ha mai tenuto nascosto. Racconta Jo Ramirez, per anni Team Coordinator McLaren e avversario di Ron a squash nel tempo libero:” Io amavo giocare e fare esercizio fisico, mentre lui odiava perdere.” Nato a Woking, nel Surrey, dove ha tutt’ora sede la McLaren, Ron Dennis abbandona gli studi intorno ai 16 anni per fare l’apprendista meccanico presso la Thompson & Taylor, un garage nei pressi della famosa pista di Brooklands. Da li passa alla Chiptstead Motor Group, in cui si preparano le Cooper, dove comincia a lavorare su monoposto di F.2 e F.3. E’ il preludio al suo esordio in F.1, come meccanico professionista. Ancora diciottenne lavora accanto al giovane, ma promettente Jochen Rindt, gestito da un altro futuro big boss del Circus, Bernie Ecclestone. Quando nel ’66 il pilota austriaco lascia la Cooper per la Brabham, Dennis lo segue facendo conoscenza con un altro mostro sacro Jack Brabham, nonché patron della scuderia. Lega subito con il campione australiano, tant’è che riesce a diventare suo meccanico di fiducia. Sono anni di gavetta, ma sul finire del 1970 il futuro “Signor McLaren” veste il ruolo di team manager per gli ultimi tre round americani della stagione. Prove tecniche di carriera che quando Brabham si ritira dalle competizioni, inducono Dennis a costituire un proprio team: la Rondel. Chiamata così per la fusione del nome di Ron con quello del socio e collega Neil Trundle. L’investimento iniziale pare orbiti intorno alle 2000 sterline per realizzare il “Project One” e poter così schierare due Brabham BT36 nel campionato di Formula 2. Serie in cui arriva1a vittoria già alla seconda gara in programma, con Bob Wollek a Thruxton. Nel frattempo Dennis aumenta il proprio impegno anche sotto il profilo manageriale, entrando in contatto con Tony Vassalopulos, un broker londinese che decide di finanziare la scuderia.

Arrivano anche gli aiuti della casa petrolifera Motul, divenuto main sponsor della Rondel. Tutto pare procedere a gonfie vele, quando Ron rimane vittima di uno spaventoso incidente stradale da dove esce vivo per miracolo, però per le ferite riportate alla testa resta a letto per quasi due mesi. Tornato in sella nel 1973, commissiona a Ray Jessop due progetti, il primo per una F.2 con tanto di livrea Motul ed il secondo per una monoposto di F.1. Un piano ambizioso che non andrà in porto, complice la crisi petrolifera che induce il benzinaio transalpino ad accasarsi alla BRM. Sorte quasi analoga tocca alla F.1, battezzata prima Token e poi Safir, prima di passare a nuova gestione. Restano tre apparizioni datate 1974, nei G.P. di Belgio, Gran Bretagna, Germania e Austria con al volante Pryce, Purley e Ashley. Ma il tenace Dennis guarda avanti, puntando soprattutto sui nuovi finanziatori del Circus, i tabaccai. Stringe i rapporti con John Howett della Philip Morris dando vita a quella partnership storica con la Marlboro che proseguirà sino alla fine degli anni ’90. Sempre nell’ambito della F.2, prendono corpo dapprima il “Project Two”, con il Team Marlboro Ecuador. Poi il “Project Three” con due March motorizzate BMW. E infine nel ’76 il “Project Four” che prevede un impegno ancora più vasto. Oltre alla F.2, con delle March semi-ufficiali, disputa il campionato di F.3 inglese che vince nel 1979 con Chico Serra. Sempre in quell’anno è presente nella Pro Car BMW, serie monomarca di contorno alla F.1 preparando la vincente M1 di Niki Lauda. Ed è proprio questa categoria la chiave di volta per i sogni del giovane manager. Conosciuto John Barnard, al quale commissiona un’ala in carbonio per la vettura di Lauda, Dennis intuisce le potenzialità del tecnico inglese che approdato in McLaren nel 1972 per volere di Gordon Coppuck ha curato i progetti per Indy, tra cui la Chaparral e per la Lola. Dal sodalizio tra i due, spunta l’idea di realizzare una monoposto di F.1 interamente in fibra di carbonio contando sulla collaborazione della Hercules, industria aerospaziale statunitense con sede a Salt Lake City. Una soluzione a dir poco rivoluzionaria che però richiede un investimento di circa 350.000 sterline. Ecco che allora Dennis chiama in causa la Marlboro, il title sponsor della McLaren. Il team allora diretto da Teddy Mayer che dopo i titoli iridati vinti con Fittipaldi nel ’74 e con Hunt nel ’76, attraversa un momento di difficoltà. Da qui la volontà del tabaccaio americano di cambiare rotta, in cui fanno breccia le proposte concrete di Dennis. E’ il 1 novembre del 1980 quando McLaren Racing e Project Four Racing, si fondono dando vita alla McLaren International. Supportate ovviamente dalla Marlboro, per le monoposto colorate come il popolare pacchetto delle “bionde” inizia una nuova era. Dennis è fiducioso e si sbilancia promettendo al main sponsor una vittoria nel 1981. Promessa che puntualmente viene rispettata con il successo di John Watson sulla MP4/1 nel G.P. di Gran Bretagna a Silverstone il 18 luglio. Con l’affermazione della prima monoposto in carbonio, la F.1 varca una nuova frontiera. Nel frattempo, all’interno dell’azienda si attua una profonda rivoluzione voluta dal nuovo management: Barnard ha spodestato Coppuck, mentre Mayer è ormai in procinto di mollare. Mossa che farà nel giro di un anno cedendo le proprie quote a Barnard e Creighton. La factory si trasferisce a Woking nel West-Surrey, occupando un’area di circa seimila metri quadri dove vengono interamente prodotte le vetture, ad eccezione del motore e gli ingranaggi del cambio. E’ presente pure una galleria del vento in scala 1/3, poco distante dalla sede. Del vecchio team non è rimasta manco più l’ombra. Ora tutto è quasi asettico, curato in maniera maniacale dove dominano i colori grigio ed antracite. Dennis ha intuito quanto siano ormai importanti gli sponsor in F.1 e crea un ufficio marketing preposto a tutte le iniziative promozionali. Altri tasselli importanti si aggiungono nel 1982 come quello di Niki Lauda, convinto a risalire in vettura dopo il ritiro avvenuto nel’79. Ed in particolare il supporto della Tag soffiata alla Williams di Sir Frank, di cui era sponsor dalla fine degli anni ’70. L’azienda fa capo al miliardario franco-saudita Mansour Ojjeh, grande appassionato di motorsport che trova via via una grande intesa con Dennis. Una mossa importante, che garantisce alla McLaren lo sviluppo del motore Porsche V6 da 1,5 litri, che fa il suo esordio con Lauda nel G.P. d’Olanda ’83. E’ il preludio al 1984, stagione in cui le MP4/2 dominano il mondiale finendo prime e seconde, con Lauda che conquista la sua terza iride per un solo mezzo punto sul compagno Prost. Una stagione che segna anche una svolta a livello economico, con l’entrata nel capitale societario di Ojjeh che acquista per 800 mila sterline le quote di John Barnard.

La McLaren International diviene così una holding, di cui fanno parte la Tag-McLaren Marketing Service Ltd. e la Tag-McLaren Research Ltd. La prima cura le operazioni finanziarie ed i rapporti con gli sponsor, mentre la seconda segue i programmi futuri sotto il profilo tecnico, compresi i lavori per conto terzi. Sotto il profilo sportivo, la gestione di Dennis è all’inizio di un’escalation che porterà a 6 titoli mondiali sia costruttori che piloti e a 4 secondi posti in 10 stagioni. Sono gli anni di Prost e Senna, con Dennis che non solo riesce a gestire il dualismo rusticano dei due, ma anche a pianificare il futuro del team, per non interrompere il ciclo. Quando nel 1986, perde Barnard “il mago”, emigrato a Maranello, ingaggia Gordon Murray “il genio”. Trattasi di un tecnico tanto estremo quanto vincente, che ha portato la Brabham tra i top team. L’obsoleto V6 Porsche viene rimpiazzato dal potentissimo e più compatto 6 cilindri Honda soffiato alla Williams. Risultato: nel 1988 le MP4/4 siglano 15 vittorie su 16 gare. La supremazia s’incrina nel ’92 con l’annuncio del ritiro da parte della Honda. Coi motori Ford la McLaren riesce a difendere il 2° posto nel mondiale grazie al talento di Senna, che costa a Dennis quasi 1 milione di dollari a gara. A posteriori, il manager ammetterà che quelle cifre sarebbero risultate più utili se investite nello sviluppo della monoposto. E’ dal ’94 però che si avverte la vera flessione. Dennis corre quindi ai ripari e dopo un anno di collaborazione problematica con la Peugeot, convoglia finalmente a nozze con la Mercedes. Per la verità il flirt con Stoccarda dura dal 1990, ovvero da quando quando Norbert Haug è divenuto il responsabile del settore competizioni. L’accordo prevede che i V10 siano prodotti dalla Ilmor Engineering di Mario Illien e Paul Morgan, a Brixworth Inghilterra; con tutti i vantaggi logistici trovandosi oltre Manica. Malgrado il connubio non porti successi immediati, il marchio McLaren resta comunque appetibile agli sponsor e quando dopo 23 anni la Marlboro decide di salire sulla Ferrari, Dennis sfodera un altro tabaccaio. E’ la Reemtsma, società tedesca che distribuisce il marchio West. L’accordo è a lunga scadenza e porta un nuovo look al team, ovviamente curato nei minimi dettagli da Ron. Il bianco- rosso viene sostituito dal nero e da quel grigio tanto caro al chairman inglese e che richiama il mito delle “Frecce d’Argento” tedesche. Disegnate dal talento di Adrian Newey, elemento carpito per l’ennesima volta alla Williams, le MP4/13 tornano ai vertici iridati con Mika Hakkinen (2 mondiali piloti ed uno costruttori). Quel driver finlandese verso cui Dennis mostra un inedito lato umano nel ’95, in occasione del terribile incidente in Australia. Mika finisce in coma ed il team boss attende pazientemente che si ristabilisca per ridargli il volante e soprattutto infondergli una grande fiducia. Una sfida che alla fine risulterà vincente. Prova che Ron Dennis ha fiuto pure per i piloti, in particolare per i giovani. Ne sono un esempio Kimi Rikkonen e Lewis Hamilton. Quando nel settembre 2001, per il 22 enne finnico con un solo anno di F.1 alle spalle sborsa a Peter Sauber 50 miliardi delle vecchie lire, sono in molti a ironizzare che quella cifra serva a pagare i motori Ferrari al team svizzero. Invece “Iceman” conferma ben presto le sue doti velocistiche e se il tanto sospirato titolo non arriva pazienza, perché nel 2006 la Ferrari pagherà Kimi a peso d’oro. Discorso analogo con Lewis Hamilton, che entra far parte del McLaren Drive Development, dopo le prime vittorie in kart, intorno ai 13 anni. Il boss della McLaren oltre alle potenzialità tecniche, intuisce che il giovane di colore potrebbe trasformarsi in un grande fenomeno mediatico. Ne finanzia la carriera con un percorso a tappe nelle serie addestrative. Per contro il giovane talento risponde alla grande in pista e a scuola, un obbligo impostogli da Dennis. L’investimento globale viene stimato intorno al 3,5 milioni di Euro, col risultato che il valore effettivo di Lewis cresce in modo esponenziale. Una scommessa che nel 2008 riporta in Gran Bretagna un titolo piloti assente dal ’96 (vittoria di Damon Hill) con tutti i ritorni economici del caso. Per contro l’azzardo ha avuto un rovescio della medaglia, rappresentando forse una sorta di crepuscolo degli dei per il manager di Woking. La memoria va al 2007, dove i suoi sogni di gloria e nobiliari si sono rapidamente trasformati in un incubo. Una stagione pianificata con un anno d’anticipo, ingaggiando Fernando Alonso ancora in forza alla Renault. Un’operazione collegata all’arrivo del nuovo title sponsor Vodafone (carpito alla Ferrari) e del Banco di Santander. Tante premesse per una marcia trionfale, degna del McLaren Technology Center. La fantascientifica sede, voluta fortemente da Dennis ed inaugurata nel 2004 dalla Regina Elisabetta, in cui si svolgono tutte le attività del gruppo formato da oltre 300 dipendenti. Un gioiello di architettura (pare costato circa 340 milioni di sterline) tutto a vetri che sorge su un lago artificiale, dove l’acqua, tenuta pulita da pesci erbivori, viene utilizzata per rinfrescare gli uffici e la galleria del vento. Forse un sogno troppo bello per essere vero. Ebbene, con l’exploit del rookie di colore si produce la rottura insanabile col due volte iridato spagnolo. Una situazione che diviene ingestibile con l’esplosione della squallida spy-story che coinvolge i vertici tecnici della McLaren. E’ emblematico il pianto di Dennis sulla spalla della moglie Lisa, davanti alle telecamere dopo la vittoria di Alonso a Monza. Un preludio al bilancio fallimentare dell’annata che vede la McLaren squalificata nel mondiale costruttori, beffata sul fronte piloti da Raikkonen che porta l’iride a Maranello e accusata di spionaggio industriale. Senza parlare dei danni finanziari, con Alonso che torna alla Renault e la pesante sanzione FIA di 100 milioni di dollari. Un duro colpo per Dennis, sul quale a detta dei rumors, starebbe per abbattersi la mannaia della Mercedes che dal 2000 detiene il 40% della McLaren e che da tempo pare aspiri ad avere il pieno controllo del team. Invece l’inglese non molla. Nel 2008 è ancora sul ponte di comando, fino a coronare il desiderio di vedere Hamilton iridato, all’ultimo round in Brasile. Si arriva così al 16 gennaio 2009 quando nell’ambito della presentazione della nuova MP4/24 cede il testimone a Martin Whitmarsh, da anni suo braccio destro, nonché delfino. Dennis annuncia che non si occuperà più della diretta gestione del team di F.1. Sarà presente a qualche gara e resterà alla guida del McLaren Group. Dunque un ritiro in gloria più che plausibile a missione compiuta e dopo lo stress della stagione sportiva 2007, a cui si sono aggiunti il divorzio dalla moglie e la scomparsa del fratello. Manco a farlo apposta però, dopo il GP d’apertura in Australia, piomba l’ultima tegola della serie. Complice un comportamento scorretto di Hamilton e della scuderia in regime di safety car e nella successiva deposizione rilasciata ai commissari di Melbourne, scatta il deferimento davanti al Consiglio Mondiale per frode antisportiva. A Woking intuiscono subito che rischiano grosso e dopo aver sospeso Dave Ryan (il d.s. presente al muretto) Ron Dennis annuncia di lasciare anche la presidenza del gruppo. Suo successore Richard Lapthorne già presidente di “Cable&Wireless”. Ufficialmente si parla di ristrutturazione interna, ma a detta di tanti si tratta di un “sacrificio” per evitare alla squadra nuove stangate in stile spy-story e non solo. In virtù di questa decisione, Dennis rinuncia pure alla presidenza della FOTA, come successore di Montezemolo. Le parole del manager sono eloquenti:” Nessuno mi ha chiesto d’andarmene, ma sono certo che Ecclestone e Mosley, non saranno troppo dispiaciuti che io parta.” Dennis manterrà comunque il 15% della holding e resterà attivo nell’ambito delle quattro ruote. Decide di seguire la progettazione di una nuova gran turismo di serie, ovviamente col marchio McLaren Automotive, la branca da cui dipende la produzione delle vetture di serie e che guarda caso è stata separata dal McLaren Group. Un traguardo che per Dennis tanto nuovo non è. E’ ancora vivo il ricordo della F.1 GTR, la supersportiva prodotta in 100 esemplari a partire dal 1984. Concepita da Gordon Murray col posto di guida in posizione centrale e spinta da un V12 BMW da 6 litri, si distinse subito per le ottime prestazioni, vincendo la 24 Ore di Le Mans all’esordio. La pesante eredità venne raccolta dalla Mercedes Slr, la concept-car progettata nel ’99 e prodotta a Woking nel 2004, ma senza i ritorni di mercato auspicati. E una sorte poco felice, toccò alla P8 (Project Eight) ribattezzata “Baby McLaren”, il cui progetto venne bocciato da Stoccarda. Nel gennaio del 2014, Dennis torna sul ponte di comando a Woking col ruolo di CEO, anche per quanto concerne il team di F.1. Un incarico che accoglie con entusiasmo, ma che abbandonerà nel giro di due stagioni. E’ il preludio ai titoli di coda. Il 30 giugno del 2017 cede le proprie quote del gruppo complice un rapporto difficile con gli azionisti. Una decisione che chiude definitivamente il rapporto storico tra la McLaren e l’uomo che l’ha cresciuta e guidata che per tanti anni. Un binomio che ha scritto pagine importanti, diventando un’icona vincente del motorsport.

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Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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