Personaggi

Published on Ottobre 29th, 2021 | by Massimo Campi

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Gi Anni Veloci di Corrado Manfredini

“Anni Veloci” La storia della vita di Corrado Manfredini, una intensa vita, soprattutto sportiva raccolta in questo libro

Anni veloci ricorda la giovinezza, quella di un ragazzo che segue la sua grande passione per la velocità ed i motori, una stagione della sua vita che è durata molto a lungo con una straordinaria carriera piena di tante avventure. Corrado Manfredini è sempre stato un pilota “gentleman driver”, non ha mai scelto la vita da professionista del volante, ma ha solamente inseguito la sua passione. A differenza di alcuni piloti professionisti, che hanno magari corso per poche stagioni, Monfredini ha avuto una lunga carriera varcando varie ere del motorsport.

L’inizio negli anni ’50, quando le corse erano ancora legate a stereotipi di prima della guerra. Si correva soprattutto nelle gare stradali, come la 1000 Miglia, con molti piloti che venivano dalla vecchia nobiltà o dalla nuova borghesia e si potevano permettere di acquistare e partecipare con costose auto da corsa. Poi c’erano i meccanici che riuscivano a diventare anche loro piloti e Corrado ha iniziato proprio in questo periodo correndo nella più iconica gara: la 1000 Miglia. La carriera di Corrado è durata oltre due decenni, passando dalla Fiat Topolino alla Ferrari 521S, con un grande intermezzo nelle monoposto, F.Junior, F.3, F.2. Gare con una competitività spesso portata all’estremo, dove si correva ogni fine settimana su tracciati stradali, spesso senza nessuna cognizione di sicurezza, come quello del Garda o Caserta,  dove è successa la tragedia del 1967. Al suo fianco piloti duri, vecchia scuola, cavalieri del rischio, nomi che diventeranno presto famosi come Clay Regazzoni, Jacky Russo, Tino e Vittorio Brambilla, Ronnie Peterson, Jo Siffert, Jochen Rindt, Jim Clark. Infine il ritorno alle ruote coperte partendo da una piccola Osca 1.5 litri fino ad arrivare alla potente Ferrari 512S semi ufficiale in coppia con Giampiero Moretti.

Corrado Manfredini nasce a Badia Polesine (Rovigo) nel 1931. Giovanissimo, segue le orme del padre e si impegna nell’impresa edile di famiglia. Lavorando di giorno e dedicandosi nottetempo agli studi, consegue il diploma e prosegue fino all’università. Negli anni amplia il raggio d’azione dell’azienda realizzando progetti in tutto il mondo. Innamorato delle corse automobilistiche, dall’età di vent’anni trasforma il sogno in realtà: disputa la sua prima corsa nel 1952, l’ultima nel 1978.

È quella formidabile era che racconta Corrado Manfredini nel suo libro Anni Veloci come ha spiegato al pubblico durante la presentazione della sua opera.

“La mia carriera è stata una vera avventura di vita, un periodo tra il 1952 ed il 1980 dove ho trascorso molto tempo in giro per il mondo conoscendo tante realtà e tanti circuiti. L’inizio è stato con le gare su strade, gare molto affascinanti, vetture che spesso risalivano a prima della guerra mondiale, con una tecnologia vecchia e freni poco efficienti. Erano vetture difficili da guidare, poca tenuta di strada, gomme strette e durissime. La prima grande evoluzione è stata l’introduzione dei freni a disco, le macchine hanno iniziato finalmente a frenare, poi è arrivata l’elettronica, negli anni ’80. Fino ad allora tutto si basava sulla semplice meccanica.

La 1000 Miglia era una gara incredibile, 1.600 km attraverso l’Italia con strade ancora dissestate, pubblico, piante, pali della luce e precipizi ai lati. C’era solo qualche paracarro ed ogni tanto qualcuno volava via, spesso c’erano gobbe nell’asfalto o radici di piante sui valichi dell’Appennino. Ho fatto sei edizioni della maratona italiana. La prima è stata un disastro, correvo con una barchetta in coppia con Vitaliano Grazzani e siamo usciti di strada con conseguente ricovero di entrambi i piloti in pessime condizioni. Purtroppo il mio copilota non ce l’ha fatta mentre io, con gravi ferite mi sono risvegliato dopo ore nella camera di ospedale. Non c’era nessuno a controllare, sono riuscito a scendere dal letto e sono scappato via. Ho chiesto un passaggio fino in stazione ad uno sconosciuto, ho preso il treno e sono tornato a casa. La mia famiglia era già stata informata del fatale incidente, alla radio avevano annunciato che entrambi i piloti erano deceduti e quando sono arrivato a casa mia madre è svenuta dall’emozione”.

Dopo la prima brutta esperienza Manfredini è nuovamente al via con una Fiat Topolino, fino all’ultima edizione del 1957 con l’incidente di De Portago.

“Nonostante il dramma non mi è passata la voglia di correre e l’anno dopo ero nuovamente al via, con una Fiat Topolino, in coppia con il mio meccanico Rosselli. L’ultima edizione, quella del 1957, l’ho fatta con una Osca 1.100 sport, correndo da solo e conquistando il secondo posto della mia categoria. Sono partito con la massima determinazione, subito in testa per quasi tutta la gara. A Bologna si è rotta una candela ed ho fatto gli ultimi chilometri a tre cilindri, per questo non sono riuscito a vincere. Dopo l’incidente di De Portago sono praticamente finite le grandi gare su strada. Ho un ricordo vivo di quel dramma, la Ferrari di De Portago mi ha superato a tutta velocità appena prima di Guidizzolo, un minuto dopo sono passato tra i rottami sparsi sulla strada con la gente ai bordi che correva impazzita per l’incidente appena avvenuto. Ho rallentato, mi hanno fatto segno di andare via di corsa ed ho proseguito dritto verso Brescia, come tutti gli altri concorrenti, senza rendermi conto di quello che era effettivamente accaduto. Un’altra grande corsa su strada era la Targa Florio, sulle strade delle Madonie. Una gara bellissima, con strade terribili, ricavate da mulattiere, piene di buche ed insidie”.

In quegli anni nascono grandi scuderie sportive come l’Ambrosiana e la Santambreus, con personaggi come Leto di Priolo ed il Conte Lurani.

“Le scuderie sportive avevano un ruolo importantissimo nel mondo delle competizioni, avevano un ruolo di ritrovo e di raduno per molti giovani appassionati con la voglia di correre in macchina. C’erano i primi sponsor che servivano ad aiutare soprattutto questi giovani piloti, mettendo magari a disposizione delle macchine per correre. Io stesso ho partecipato a molte gare con le vetture della Ambrosiana correndo in coppia con Leto di Priolo, tra cui mi ricordo una 1000 Km di Monza, la Targa Florio ed una 12 Ore di Reims. In quel periodo tutte le scuderie cercano di accaparrarsi piloti giovani e veloci per conquistare vittorie con le monoposto e soprattutto con le vetture turismo. I gentleman driver di quell’epoca possedevano vetture importanti, noi giovani, visto l’età, i riflessi ed una minore percezione del pericolo, andavamo più forte di loro e spesso ci chiamavano per correre in coppia. Loro così riuscivano ad ottenere delle vittorie, e noi potevamo correre in gare famose confrontandoci con piloti di alto livello.

Tra le avventure di quel periodo ricordo una gara a Monza dove vengo ingaggiato come secondo pilota di una vettura della Santambreus. Ero iscritto alla 1000 Km di Monza 1965 con una Alfa Giulia TZ nuova. Correvo in coppia con Dimitri Nabokov, il proprietario della vettura, che era il figlio del romanziere russo Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita. Dimitri era molto alto, oltre due metri, tanto che dovettero fare una bombatura nel tetto dell’abitacolo per farlo stare nella vettura. Inoltre guidava praticamente solo con l’intelaiatura del sedile, mentre quando salivo io, con una statura molto diversa dalla sua, dovevano cambiare anche il sedile. La gara comunque andò bene, siamo arrivati 16° assoluti e tra i primi della nostra classe”.

Gli anni delle monoposto, una stagione importante per la carriera di Manfredini

“Nella seconda metà degli anni ’50, il Conte Lurani inventa la F.Junior, una vera rivoluzione nel mondo delle corse e dopo la prima esperienza con le vetture turismo inizia quella con le monoposto. Anche con le monoposto le scuderie giocano un ruolo importante, tra queste cito la Madunina di Giambertone. Ho corso anche nella stessa scuderia dei Fratelli Brambilla, insieme abbiamo anche fatto gare di durata. Per 10 anni ho corso con le ruote scoperte passando dalla F.Junior, alla F.3 ed alla F.2, gare molto pericolose con tanti incidenti su circuiti spesso senza nessuna cognizione della sicurezza. Anni furiosi, competitività alle stelle, tanta incoscienza, incidenti e tante volte mi sono ritrovato in ospedale. Lo consideravo uno scotto da pagare, le macchine erano leggerissime, meno di 400 kg, e quando picchiavi era quasi sicuro che ti facevi del male”.

Sia le vetture che le piste non avevano nessuna cognizione della sicurezza e molti campioni hanno perso la vita tra gli anni ’50 e ‘60

“Ho corso in gare con tanti piloti che hanno fatto la storia, ma i due più grandi campioni che ho incontrato sono stati sicuramente Manuel Fangio, negli anni ’50 e Jim Clark negli anni ’60. Ricordo molto bene la gara del 7 aprile 1968 ad Hockenheim, correvo con una Brabham di F.2, faceva freddo, piovigginava. Con Jim ci siamo incontrati diverse volte sui campi di gara, ci salutavamo, lui era al volante della Lotus ufficiale. Io ero davanti a lui, mi affiancò nella curva all’entrata del bosco, c’erano parecchie foglie per terra, io levai il piede, lui andò via, ma poi lo vidi entrare come un missile nel bosco e non ci fu più niente da fare. Erano macchine leggerissime e velocissime, ai lati delle piste c’erano alberi e pali della luce, quando uscivi di strada spesso non avevi scampo. Anche in piste blasonate come Monza c’era poca sicurezza, durante un collaudo si sono bloccati i freni a disco della mia vettura, sono uscito di pista e mi sono rotto due gambe contro un pilone a lato del tracciato”.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 c’è un grosso progresso nelle vetture e nelle gomme

“Le gomme di allora erano durissime, non come le slick odierne, ed il problema più grosso era riuscire a fare stare in strada le vetture, con un treno di pneumatici facevi diverse gare. Le gomme più performanti arrivano nella seconda metà degli anni ’60, quando corro nuovamente con le ruote coperte. All’inizio degli anni ’70 arrivano gomme più grosse, con mescole tenere, compaiono le prime slick e le gomme da pioggia che cambiano il modo di affrontare e programmare le gare”.

Tra gli aneddoti di Manfredini c’è la prima gara sul difficile tracciato del Nurburgring con la Osca 1.500 cc

“Ero iscritto con una vettura della Sant Ambreus, una Osca 1.500 cc, avevo appena vinto alcune gare ed ero un giovane driver molto ricercato. C’era da pilotare questa piccola Osca alla 1000 Km del Nurburgring 1957 dove mancava il copilota per Luigi Piotti, il proprietario della vettura. La Osca era una vettura molo agile, adatta a quella difficile e tortuosa pista, si poteva fare un buon risultato, anche se sulla Nordshleife non ci avevo mai corso. Il parco partenti vedeva al via alcune tra le più potenti Ferrari, Jaguar, Aston Martin e Maserati ufficiali. Ero arrivato prima della Osca sulla pista tedesca, volevo imparare bene la pista, ma ci sono stati dei ritardi e la vettura non è arrivata in tempo per effettuare le prove, sia quelle libere che ufficiali. Finalmente la Osca arriva il sabato sera, ma non avendo preso parte alle prove non veniva ammessa alla gara. Era un grosso problema, eravamo li e non potevamo partire!  Con la Maserati ci correva Fangio, ed avevo stretto amicizia con il campione argentino durante una serie di gare in Sudamerica. Fangio capito il problema si detta fare per darmi una mano, parlò con gli organizzatori, allora il campione argentino aveva un grosso potere politico e si mise d’accordo con gli organizzatori di farmi partire, in ultima posizione, a patto di avermi insegnato il circuito. Bene dissi io, aprì le porte delle sua Mercedes 300 SL “ali di gabbiano” e partimmo per fare il giro della pista con alla guida Fangio. Devo ammettere che capii ben poco in quel giro, mi ricordo il volo al Fugplatz e la forza centrifuga nel Caroussel, ma ero stato ammesso al via con la piccola Osca. Al via la domenica avevo una sessantina di vetture davanti, ma la mia piccola ed agile Osca era velocissima, sorpassavo quelli davanti a me come fossero birilli. Dopo due giri ero tra i primi 10 assoluti, ho continuato con quel ritmo forsennato, fino ad essere terzo assoluto, poi mi sono dovuto fermare per fare rifornimento ed il cambio pilota, ma la mia gara è praticamente finita in quel momento. Piotti è salito in macchina si è subito spaventato per la pista e gli avversari, ha fermato la vettura lungo la pista, poi ha preso una uscita laterale ed è andato al ristorante a mangiare abbandonando la vettura!”

Dopo gli anni delle monoposto, si apre per Manfredini la stagione forse più esaltante con le gare nel mondiale di durata e le grossa sport di Maranello. Il pilota di Badia Polesine corre per due stagioni con la Ferrari 512S una vettura semiufficiale, in coppia con Giampiero “Momo” Moretti, suo grande amico e compagno di avventure.

“La 512S era una macchina fantastica, i nostri principali avversari erano quelli che correvano con le varie Porsche 917, più leggere e performanti della grossa sport di Maranello. La vettura era iscritta spesso iscritta alla gare come “Scuderia Picchio Rosso”, in pratica correvamo con la Scuderia Filipinetti svizzera che era direttamente assistita dalla Ferrari. Meccanici ed assistenza era curata da Maranello, noi eravamo considerati dei “piloti assistiti”. Il direttore sportivo era l’ingegnere Mike Parkes, ex pilota ufficiale della Ferrari. La 512S era una vettura abbastanza complessa da guidare, spesso c’erano problemi di alimentazione e di affidabilità meccanica. Ricordo, con rammarico, la 24 Ore di Daytona quando, con una buona condotta di gara sono terzo assoluto e mentre sto entrando a tutta velocità sul banking vedo spuntare delle fiamme dal cofano posteriore. Mi sono buttato giù di colpo entrando nei box dove hanno spento le fiamme. Ero veramente arrabbiato e deluso, sono rimasto per 10 minuti fermo in macchina, fino a quando l’Ingegnere Forghieri ha aperto la portiera e mi ha detto “esci Corrado, purtroppo è finita!” è stato un periodo di grandi delusioni e poche soddisfazioni, ma quelle poche ti riempivano di gioia e cancellavano di colpo tutti i problemi”.

Tante gare, con tante vetture, vittorie, sconfitte

“Una lunga carriera la mia, con tante soddisfazioni, e tra le gare che più mi sono rimaste nel cuore voglio ricordare la Coppa d’oro delle Dolomiti del 1955, correvo con una Fiat 1.100/103 TV Zagato, trecento chilometri tutta sulle strade di montagna attraverso i più famosi passi alpini della zona. Erano in gara i migliori specialisti con le vetture più potenti dell’epoca. La mia 1.100 era preparata da Zagato, correvo nella categoria fino a 1.3 litri dove c’erano anche le barchette Porsche ufficiali. Sono partito molto motivato ed alla fine ho vinto la mia classe, battendo le blasonate e leggere vetture tedesche, conquistando anche il 5° assoluto. Vinse Gendebien seguito da Castellotti, Zagato e Cabianca, tutti con vetture molto più potenti della Fiat Zagato.  Alla seconda vettura della mia classe ho dato oltre 20 minuti di distacco.

Le avventure del pilota di Badia Polesine sono raccolte nel libro:

ANNI VELOCI di Corrado Manfredini – Fucina Editore

336 pagine, oltre 100 foto, formato 15×21 cm, brossura

 

 

 

 

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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