Published on Dicembre 16th, 2020 | by Massimo Campi
0Il più grande di tutti i tempi
Lewis Hamilton detta nuovi numeri da record alle classifiche, ma ogni epoca ha avuto un pilota di riferimento ed il paragone con i suoi predecessori non è possibile farlo
Nurburgring, Gran Premio dell’Eifel 2020, la nera Mercedes n°44 taglia il traguardo, Lewis Hamilton ha eguagliato il record di 91 vittorie in Formula 1 detenuto da Michael Schumacher. Sul podio sarà il figlio del grande campione tedesco a regalare un casco del padre, un trofeo simbolico, un passaggio di testimone tra due grandi campioni. Nel Gran Premio del Portogallo il pilota della Mercedes vince il suo 92esimo trofeo, diventando da quel momento il pilota più vincente della storia. Oltre alle vittorie, in Turchia arriva anche il settimo titolo mondiale, a parità con il Kaiser tedesco, risultati che pongono Hamilton come eccellenza assoluta nella storia del motorsport.
I commenti si sprecano, è il migliore di tutti i tempi? Una risposta praticamente impossibile da dare. Hamilton ha corso con Schumacher, ma la distanza generazionale tra i due è molto più ampia di quanto sia la differenza di età. Ogni epoca ha il suo grande campione di riferimento, il pilota che sa meglio sfruttare le sue doti naturali in rapporto alla tecnologia del momento. Lo stesso Schumacher, quando è rientrato in F.1 al volante della Mercedes, con tecnologia e gomme diverse, non è più riuscito ad ottenere i risultati che lo hanno portato in cima alle classifiche con la Benetton e la Ferrari.
La storia della massima formula dura da sette decenni, 70 titoli mondiali vinti da 33 piloti, ed ognuno di questi può essere considerato un grande campione, sicuramente quello che ha saputo sfruttare al meglio le risorse che aveva in mano nella stagione vincente, ma ci sono alcuni di questi che hanno lasciato un segno indelebile.
Manuel Fangio, il primo grande asso della Formula Uno
Cinque titoli mondiali con quattro case diverse. Manuel Fangio, il grande campione degli anni ’50 che ha saputo sempre essere al volante della migliore vettura a disposizione, dalla Alfetta 158, alla favolosa Mercedes W196, per poi passare alla Ferrari-Lancia di Vittorio Jano e finire con la Maserati 250F. i numeri dell’argentino sono però impressionanti: 24 vittorie e 35 podi su 51 Gran Premi disputati, un palmares che continua con 29 pole position e 23 giri veloci in gara. Una guida sopraffina, ma soprattutto una intelligenza tattica molto più avanti nel tempo in un periodo dove i piloti, veri cavalieri del rischio, badavano solo a vincere le singole gare. Fangio ha sempre badato al risultato finale, senza mai legarsi ad un costruttore particolare, riuscendo indenne da molti incidenti in un periodo storico di grandi campioni, da Ascari a Castelloti, Musso, Collins, tutti velocissimi che non sono però riusciti a passere indenni alle insidie dei mille pericoli di quelle stagioni come l’asso argentino.
Jim Clark, lo scozzese volante
Due soli titoli mondiali, ma chi ha visto correre Jim Clark, lo scozzese volante, ne è rimasto impressionato. Per molti è stato il pilota con più doti naturali, velocissimo su qualsiasi mezzo, tanto determinato in pista quanto timido ed imbranato fuori dall’abitacolo. Ha vinto solo con la Lotus, Colin Chapman ha praticamente costruito le sue monoposto dell’epoca sul modello dello scozzese, vetture leggerissime, guida sdraiata, inizialmente solo Clark riusciva a farle andare così forte. Venticinque vittorie su 72 partecipazioni, in pratica una gara su tre, ma spesso, le altre gare non erano vinte per rottura di qualche pezzo della sua Lotus, sempre più veloce ma anche leggera e fragile. Tutti gli altri piloti in gara avevano lui come punto di riferimento, se Clark entrava ad una determinata velocità in curva nessuno osava entrare più veloce di lui, lo scozzese era anche riuscito ad imporre la sua autorevolezza su tutti gli altri, una sudditanza psicologica ottenuta a suon di risultati e di una classe immensa. Quando la sua Lotus di F.2 è uscita di pista sul tracciato del Nurburgring, il 7 aprile 1968, nessuno credeva in quello che era accaduto. Jim Clark sembrava invincibile, anche per il destino che quella volta è stato avverso proiettandolo immediatamente nella leggenda.
Niki Lauda, il computer
Su Andreas Nikolaus Lauda, detto Niki, nessuno avrebbe scommesso quando cercava di farsi strada nel mondo delle gare minori, chiedendo un prestito in banca per correre. Ma l’austriaco ha sempre creduto nelle proprie capacità salendo gradino per gradino la scala verso il successo, fino a quando è arrivato alla corte di Maranello dove ha imposto il suo modo di intendere le gare. Anni ’70, la Formula Uno sta diventando grande, arrivano gli sponsor, i soldi, i piloti sono spesso personaggi guasconi, caratteri forti, spesso ruspanti, sempre pronti a qualche numero in pista e fuori ed alle tante ragazze immagine che iniziano ad affollare i paddock dei circuiti. Niki in realtà non si tira indietro, ma il suo modo di correre prende spunto da campioni come Fangio, badando sempre più al risultato finale che alla singola vittoria. Poi ci sono i test di sviluppo, l’austriaco si rivela un fine collaudatore, lo sviluppo ed il collaudo entrano di prepotenza nel suo modo di intendere le corse e con Mauro Forghieri, il grande tecnico della rossa, è subito intesa. La meticolosità e la preparazione personale e del mezzo saranno i segni distintivi dell’austriaco e dei grandi campioni che verranno dopo di lui.
In pista per Niki Lauda conta solo il risultato finale e tutto ruota sulla strategia ed i ritmi di gara. Sembra un computer, come viene subito soprannominato, tutto è sotto controllo, mai uno sbaffo, una intraversata, una guida sempre al limite ma calcolando tutte le situazioni e gli eventuali rischi che possono impedire il migliore risultato. Arrivano le vittorie, il primo titolo mondiale rosso, poi succede l’imprevedibile il dramma del Nurburgring. Niki è in fin di vita, dopo solo 40 giorni ritorna nell’abitacolo della Ferrari, con i segni del fuoco sul viso che lo accompagneranno per tutta la vita. Sembra invincibile, ma in Giappone ha paura della pioggia, si ferma, dice stop, rinuncia a combattere per il titolo mondiale ed il mondo si accorge che è anche un uomo con i suoi difetti e le sue paure. Ritorna nel 1976 più forte di prima ed arriva il secondo mondiale con la rossa.
I soldi lo fanno dirottare verso altri lidi. Lauda è il primo grande esempio del pilota moderno, manager in pista e fuori, seguendo l’esempio di Jackie Stewart che aveva già introdotto la gestione della propria immagine nella carriera. La mancanza di risultati ed i nuovi obbiettivi come business man lo fanno arrivare al primo stop, qualche anno come pilota della sua compagnia aerea e poi il nuovo ritorno con la McLaren Turbo. Una nuova sfida tecnologica che vedrà ancora una volta il computer Niky Lauda concretizzare il massimo risultato con la vittoria del terzo titolo mondiale, nonostante non sia il più veloce in pista, ma ancora una volta il più redditizio.
“Magic” Ayrton
Tre giugno 1984, il Direttore di Gara Jacky Ickx sventola bandiera rossa nel Gran Premio di Montacarlo, dopo solo 31 dei 77 giri previsti sulla McLaren di Alain Prost che sta viaggiando a ritmo ridotto sotto il diluvio. In quel momento quello cha sarà il secondo classificato sta sorpassando la vettura in testa alla gara, nell’ultimo giro ha recuperato il distacco di ben 7 secondi, viaggiando nel diluvio come se fosse asciutto. La gara viene interrotta, non riprenderà più e viene ritenuta valida la classifica del giro precedente con Prost vincitore. Tutto il mondo si accorge improvvisamente che è sbocciata una stella, nome Ayrton, cognome Senna, è su una Toleman-Hart, macchina da retrovie, solo sette gare di F.1 disputate, ma su un terreno impossibile dimostra di essere il migliore. Ayrton “The Magic” impone subito la sua legge, l’anno dopo è alla Lotus e conquista la sua prima vittoria il 23 ottobre 1985, di nuovo sotto la pioggia in Portogallo. Da quel momento è inarrestabile, i numeri parlano di 41 successi, 80 podi e 65 pole position su 161 gare disputate, conditi da tre titoli mondiali. Il brasiliano diventa l’uomo di riferimento di tutta la massima formula, una situazione simile a quella di Clark due decenni prima. La principale caratteristica, oltre alla velocità è la concentrazione, sempre massima, unita alla preparazione fisica e mentale, con una guida sempre al limite. Sopra tutto una infinita fiducia nelle proprie doti mischiata ad un costante cinismo verso gli altri concorrenti. La grandezza del brasiliano si misura soprattutto con la forza degli avversari con cui si deve confrontare: Alain Prost, “il professore” il grande rivale, l’unico che riesce a metterlo in crisi, quattro titoli mondiali; Nigell Mansell, “leone di Inghilterra” un titolo mondiale; Nelson Piquet, “lo zingaro”, l’avversario più odiato, tre titoli mondiali; ed una serie di giovani piloti che finiscono con il futuro “Kaiser” Michael Schumacher, l’uomo pronto a rilevare l’ambito scettro dopo il tragico weekend di Imola 1994.
Michael “Kaiser” Schumacher
Formula Tre 1990, una annata di grandi campioni con Italia, Inghilterra e Germania che hanno alcuni giovani pronti a diventare le stelle del futuro: tre nomi su tutti: Alessandro Zanardi, Mika Hakkinen e Michael Schumacher. Soprattutto il tedesco ed il finlandese che corre in Inghilterra, quando si incontrano fanno scintille e presto si ritroveranno nella massima formula. La pista di Spa Francorchamps diventa il teatro preferito del tedesco, un debutto nella massima formula che fa subito notizia quando entra nell’abitacolo della Jordan lasciata libera da Gachot e mette tanti piloti esperti in riga con un giro da urlo in prova nel 1991. Passa solo un anno, intanto trova il modo di litigare con Magic Ayrton che capisce di avere a che fare con l’unico pilota del suo calibro pronto a rubare lo scettro del migliore.
Di nuovo a Spa arriva la prima vittoria complice un meteo che mette in crisi tutte le strategie dei grandi team, ma permette ai piloti dalla guida sopraffina di emergere. Ayrton e Michael in fondo hanno molti punti in comune, implacabili con gli avversari, senza nessuna remora verso chiunque. Ma sono però mentalmente diversi nei fallimenti: il brasiliano è sempre stato convinto di essere il migliore di sempre, non ha mai ammesso uno sbaglio, cercando sempre capri espiatori nel prossimo, nella squadra, nella monoposto; diametralmente opposto il tedesco, vero uomo squadra, esigentissimo con i tecnici ed i meccanici dietro le quinte, ma sempre pronta a difendere il team anche quando commette gli errori più grossolani come a Silverstone 1999 che, senza freni esce di pista rompendosi una gamba dando addio al titolo mondiale. Tra i tanti campioni, spesso con molte bizze caratteriali, Shumacher è stato amato soprattutto dai suoi meccanici che lo hanno conosciuto come semplice uomo disposto a condividere tanti momenti con chi lavorava per ottenere i risultati.
Dopo Imola 1994 diventa il nuovo pilota di riferimento della massima formula, principale caratteristica, oltre ovviamente alla grande velocità ed alla preparazione fisica, è la ferocia verso gli avversari. Il tedesco sarà il vero cannibale della massima formula, un pilota senza mezze misure, senza risparmiare manovre spesso al limite, a volte molto oltre!. Il primo mondiale, con la Benetton nel 1994 arriva proprio con una manovra oltre il limite, vittima Damon Hill, sbattuto contro un muro in Australia. Per una sorta di legge del contrappasso anche il possibile primo mondiale con la rossa sfuma per un’altra manovra simile, ma questa volta sulla Williams c’è Jaques Villeneuve, molto più scaltro di Hill che ribatte alla grande portandosi a casa il mondiale. Poi il tripudio rosso, con il Kaiser di Kerpen che porta alle stelle il cavallino rampante sempre con la sua guida da grande cannibale con ritmi di gara insostenibili da tutti i suoi avversari. Le grandi vittorie di Shumi sono spesso nate nella seconda metà delle gare, quando tutti i suoi possibili avversari iniziano a cedere alla stanchezza mentre il tedesco, forte della sua preparazione fisica e della grande concentrazione, incrementa il ritmo della competizione a suon di giri record. Sette titoli mondiali, 91 vittorie su 306 partenze con 155 podi, 68 pole position e 77 giri veloci fanno di Schumacher un pilota insuperabile fino a quando non arriva Lewis Hamilton.
“Michael Schumacher in fondo è un uomo ammalato di velocità e del rischio” questa è la considerazione di alcuni giornalisti con il Kaiser che vive spesso la sua esistenza in una sorta di totale concentrazione senza mai avere una soglia di rischio. Una concentrazione che, in alcuni casi, ricorda quella del suo predecessore Ayrton Senna, accompagnata però da una forte dose di cattiveria verso l’avversario. Per Michael poco importa dove si trova in classifica, quando vede una monoposto davanti alla sua entra in una specie di trance ossessiva fino a quando non riesce a sopravanzare chi gli sta davanti, alcune volte senza valutare i rischi che corre e che fa correre. Una dimensione mentale che continua anche fuori dalle piste fino a quel tragico 29 dicembre 2013, dove una caduta apparentemente innocua sugli sci gli cambia definitivamente la vita.
Lewis Hamilton, il nuovo recordman
Sette titoli come Kaiser Shumi, ma più vittorie mondiali. Lewis Hamilton ha sbancato tutte le previsioni, ribaltato le classifiche, alzato l’asticella della storia. Rispetto ad alcuni suoi illustri predecessori però bisogna anche considerare la grande superiorità tecnica dei mezzi che ha pilotato nelle ultime stagioni. Una situazione sicuramente favorevole per ottenere il record di successi, ma un mezzo superiore deve essere anche pilotato al meglio ed in questo Lewis si è sempre distinto come il migliore. Ha demolito nobili compagni di squadra come Fernando Alonso, mentre Nico Rosberg è stato l’unico che è riuscito a batterlo, a parità di mezzo, nel 2016 per poi ritirarsi da campione imbattuto. Una lezione che ha presto somatizzato l’inglese e da quel momento più nessuno è riuscito a scalfire la sua superiorità di guida.
Lewis è un pilota simbolo del suo tempo, veloce e tecnologico in pista, personaggio da social fuori dall’abitacolo. I numeri lo proiettano in cima alle classifiche con nuovi record da battere, nuove sfide per i piloti del futuro. Ma in questa formula uno sempre più in crisi di ascolti e di consensi, ormai distante dalla realtà di un mondo in crisi a causa della situazione sanitaria che tiene lontano il (poco) pubblico dagli spalti la domanda sorge spontanea: che immagine rimarrà del campione inglese? Molto probabilmente, oltre per i numeri, e la velocità in pista, verrà ricordato per i suoi vestiti, i tatuaggi, le pettinature, lo stile da rapper, i messaggi sulle magliette, le lotte contro il razzismo, una immagine in cui si identificheranno alcuni giovani degli anni 2000. Un nuovo stile, fatto soprattutto di immagine, sicuramente diverso da tanti suoi predecessori che hanno scritto molte pagine di storia di questi 70 anni.
Illustrazioni © Carlo Baffi