Storia

Published on Giugno 23rd, 2017 | by Massimo Campi

0

F.3 1967: benzina, gomme e giù il piede

Nel 1967 cambia il mondo delle gare di F.3 con la tragedia di Caserta

Anni ’60, si correva con poco, si correva con tutto, bastava qualche soldo, una macchina, un carrello, benzina gomme e ….tanta passione. Si correva ovunque, sicurezza zero, purtroppo alcune volte si moriva, per niente, per disattenzione per inesperienza. Un gruppo di giovani, di piloti, di duri. Ogni domenica una sfida, e qualche volta volavano anche i cazzotti. Chi staccava per ultimo era un vigliacco, che non metteva “giù il piede” solo una … pippa (o qualcosa di ben meno scrivibile)!

Formula tre, una palestra di vita, un ring, dove chi riusciva a sopravvivere, senza farsi troppo male, spesso emergeva. Qualche nome: Ronnie Peterson, Francois Cevert, Clay Ragazzoni, Silvio Moser, Emerson e Wilson Fittipaldi, Ernesto e Vittorio Brambilla. Erano anni in cui la parola sicurezza era solo un concetto astratto, macchine piccole, però veloci e quindi pericolose, ma anche circuiti inesistenti, si correva ancora tra le case. La F.3 era un piccolo grande circo, con piloti, soprattutto giovani che si volevano divertire. Una macchina, un carrello, quattro gomme ed un po’ di benzina e via, verso l’avventura.

Le F.3 erano vetture molto semplici: un telaio in tubi, una carrozzeria in lamiera, gli alettoni erano ancora da venire, un quattro cilindri di 1.000 cc di una vettura di serie, un po’ elaborato e con un solo carburatore per limitare la potenza. In alcune gare c’erano anche 100 piloti iscritti, soprattutto a Monza, e via con tre – quattro batterie al cardiopalma per conquistare l’ambito posto nella finale, la gara vera. Piloti duri, sanguigni, che non avevano remore a darti una ruotata, ed il pubblico in piedi, sugli spalti, a tifare per quello che staccava per ultimo! Poi arrivò giugno 1967, e tutto cambiò nel giro di due settimane. In quel mondo di “piedi pesanti” e due dita di pelo sullo stomaco arrivarono le tragedie e si capì che anche quel mondo doveva cambiare per adeguarsi ai tempi.

MF3-67_byweb

Monza, 4 giugno, XVI Coppa dell’Autodromo Boley Pittard corre con una Lola. Sullo schieramento la sua vettura prende fuoco. Il serbatoio della benzina è fissato male, ha una perdita, il meccanico non è riuscito a ripararla bene in tempo per la finale… tanto non ci sono problemi per qualche goccia che si perde! Ma al via la benzina va sul motore rovente, partono le fiamme. Nessun problema, Pittard ingrana la prima, è un duro, parcheggia la vettura nel prato avvolta dalle fiamme e scende. Sembra niente di particolarmente grave, diverse ustioni, quelle sicuramente, ed i medici lo trasportano al pronto soccorso. Dopo una settimana del pilota inglese rimarrà solo il ricordo. “Il problema era il vestiario” – ricorda Alberto Colombo che correva in F850 – “nessuno indossava la tuta ignifuga, Pittard ne aveva una in nylon che si incollò alla pelle. L’inglese non morì tanto per la gravità ustioni, ma per intossicazione, per mancanza di traspirazione della pelle. Lo conoscevo abbastanza bene, eravamo andati in ospedale a trovarlo, chiese una aranciata, poi chinò la testa sul cuscino e smise di respirare”.

CasF3_byweb600

Caserta, 18 giugno, XVII Coppa d’Oro Pasquale Amato. Sono solamente passate due settimane, l’ambiente è ancora scosso dal dramma di Pittard, ma nessuno sa che ora di sera sarà molto peggio. Il circuito, di 4.550 metri è un triangolo con tre curve ad angolo acuto e tre lunghi rettilinei. Le curve sono cieche, la visibilità è limitata dalle costruzioni che le delimitano. Il viale dove avverrà l’incidente, Via Mondo, è un budello limitato dal muro della ferrovia a sinistra, una sottostazione dell’Enel a destra, l’angolo di una casa, protetto da una balla di paglia, che spunta in pista restringendola a sei metri, ed il resto si snoda nei campi, con tanti pali della luce che delimitano il nastro asfaltato. Il piccolo circus di dannati approda a Caserta, ci sono tutti i campioni dell’epoca: Tino e Vittorio Brambilla con la Birel; Geki Russo con la sua Matra Ms5; Jurg Dubler e Beat Fehr, Manfred Mohr, Corrado Manfredini, Andrea De Adamich, Silvio Moser, con le Brabham; “Tiger” Romano Perdomi, Antonio Maglione, “Gero” con le De Sanctis, Clay Ragazzoni con la nuova Tecno. Il numero uno è Geki Russo, era considerato il migliore. Dominatore della F.Junior con tre titoli nel 1961, 62 e 63, Campione Italiano di F.3. nel ’64, aveva esordito in F.1. col Team Walker nel GP d’Italia del 1964 con una Brabham con il motore BRM. Non si era qualificato però, poiché dopo aver perso quasi l’intera qualifica del venerdì per problemi meccanici, il sabato era venuto a piovere e non era più stato possibile migliorare il tempo che gli avversari avevano colto sull’asciutto. L’anno dopo si era qualificato con una Lotus 25 che aveva visto giorni migliori e che lo aveva mollato per la rottura del cambio. Il suo terzo tentativo era stato più fortunato: nono con una Lotus 33 con un vecchio V8 Climax da 2400 cc nella nuova F.1 da 3 litri non era un risultato comunque da disprezzare. Intanto si era accasato all’Alfa Romeo dove con la nuova 33.2 tipo Fléron aveva partecipato, in quel ’67, alla Targa Florio, alla 1000 Km del Nurburgring ed alla 12 ore di Sebring, ma ancor prima era stato un punto di forza della squadra TZ dell’Autodelta e aveva corso con la nuova GTA 1600. In F.3. era passato alla Matra MS5, una monoposto ritenuta superiore alla concorrenza, dopo aver corso per molti anni con la De Sanctis.

GR_byweb

Giacomo Russo era nato a Milano nel 1937. Quando decise di cominciare a correre s’iscrisse col nome di “Geki” per tener la cosa nascosta ai genitori, soprannome che tenne anche quando la sua notorietà fu tale da non poter sfuggire alla famiglia. A quel tempo la parola sponsor ancora non esisteva e se volevi correre i soldi li dovevi guadagnare con i premi d’arrivo, che nella F.3 dell’epoca erano abbastanza consistenti e tutto il gruppo dei duri e dannati scendeva in pista con il coltello tra i denti pur di conquistare i premi in palio. Geki gestiva insieme al padre un noto ristorante a Milano, quindi, se non ricco, poteva tranquillamente essere definito benestante e ormai, alla soglia dei trent’anni, si poteva considerare un pilota professionista nel senso che correva per la fama e la passione, ma soprattutto per portare a casa il necessario ad affittarsi qualche scalcinata F1 per la gara di Monza.

Il grande equilibrio di mezzi portava a giocarsi la vittoria dieci-quindici piloti con le stesse probabilità di successo. Inoltre, in alcune gare, i cui montepremi erano particolarmente appetitosi, gli iscritti superavano le ottanta unità con pre-qualifiche, qualifiche, due batterie e la finale. E nessuno levava il piede!.
Spesso si assisteva a scorrettezze allucinanti, seguite poi da urla, minacce e magari qualche diretto di Brambilla che non mancava mai. Passata un’ora, passata la buriana ritornavano amici come prima e tutti pronti alla prossima corrida in pista. A Caserta la prima batteria vede la vittoria di Silvio Moser che precede nello spazio di un secondo Geki, Corti, Regazzoni e Mohr. La seconda batteria, più veloce, è vinta da Brambilla e solo Manfredini e Dubler restano nello spazio di un secondo dal Tino. Geki e Dubler si rendono autori di un paio di gravi scorrettezze, tanto che gli altri piloti ne chiedono l’esclusione dalla finale. Brambilla tenta di chiarire la situazione facendo roteare, come al solito, minacciosamente i pugni. Il Direttore di corsa convoca i piloti indagati, ma tutto finisce a tarallucci e vino con una tirata d’orecchi. Poi, prima del via, invita con l’altoparlante i contendenti a tenere un comportamento sportivo. Il G.P. di Caserta a livello d’organizzazione è purtroppo solo una sagra paesana: i commissari di percorso non hanno seguito alcun corso come la CSAI aveva stabilito con decreto dell’aprile dello stesso anno. Erano stati convocati tra gli appassionati una decina di giorni prima della gara e consideravano il loro compito come un’occasione per assistere alla corsa da una posizione privilegiata. Gli organizzatori si giustificarono spiegando che il decreto con l’obbligo di corsi d’addestramento per il personale in pista era sì stato deliberato due mesi prima, ma non ancora pubblicato nel bollettino ufficiale. La gara prende il via, animi un po’ esagitati, ma nulla di diverso rispetto alle altre gare. De Adamich e Cristiano Del Balzo, in arte “Gero”, rimangono al palo per varie noie al motore. A posteriori benediranno quel colpo di fortuna! Poi il dramma, che ha inizio al settimo giro. L’incidente non accadde in un momento, ma ebbe uno sviluppo di quattro giri, ognuno dei quali era percorso in circa 1 minuto e 40”. Iniziò con un contatto nelle retrovie tra le Brabham di Saltari e Fehr. Mentre l’italiano va a muro e rimbalza in pista lasciando il pilota ferito in modo lieve, lo svizzero finisce incolume la sua corsa nei campi. Sopraggiunge Foresti che, per evitare le vetture ancora in testacoda, frena, s’intraversa, colpisce il muro della ferrovia per poi rimbalzare in pista, fermandosi di traverso della strettoia cieca formata dallo spigolo della casa: siamo ancora al settimo giro. Ottavo giro, il gruppo di testa sopraggiunge ignaro perchè il commissario che dovrebbe essere lì, tal Palmieri, non c’è. Hanno circa due metri di spazio e viaggiano a 200 km/h. Brambilla, Maglione, Geki, Manfredini e Regazzoni ce la fanno. Dubler no, ma per sua fortuna termina illeso la corsa nel prato dopo aver colpito due pali della luce. Subito esce dalla vettura ed obbliga due militari in servizio a sgomberare la pista insieme a lui. Resta sulla carreggiata solo la vettura di Foresti, ma è spostata sulla sinistra. Resta anche molto olio e questo convince Fehr ad improvvisarsi segnalatore del pericolo: la generosità gli costerà la vita. Nono giro, Brambilla e Maglione passano, Manfredini, Regazzoni e Geki non ce la fa. Sbalzato dalla sua Matra che prenderà fuoco, finisce il volo contro il muro della sottostazione dell’Enel morendo sul colpo, e nel casino la vettura colpisce anche Beath Fehr che subisce la stessa sorte di Geki. Sopraggiungono Tiger, Saltari e Natili che finiscono nel mucchio. Tiger Perdomi finisce la corsa contro un palo, resta incastrato nel telaio della vettura che lo avvolge. Mentre Dubler tenta di spegnere la Matra di Geki pensando che il pilota sia ancora a bordo, Manfredini, Regazzoni, Saltari e Natili soccorrono Tiger. Verrà estratto dai pompieri solo mezz’ora dopo. Le immagini del romano incastrato che dirige le operazioni di soccorso sono trasmesse nel TG della sera. Ha fratture esposte alle spalle e le gambe, urla dal dolore, ma spiega ai vigili del fuoco come tirarlo fuori. Solo dopo sviene. La settimana dopo muore. Decimo giro, Brambilla e Maglione piombano nel mucchio. Non c’è più nessun varco ma la fortuna li assiste ed escono incolumi dalle macchine distrutte. Brambilla grida il suo disappunto. per la perdita della vettura. Arrivano anche Corti, Morh e Donnelly, ma arrivano adagio: il “commissario” Palmieri si è procurato un fazzoletto rosso e lo sventola ai lati della pista. Questa è la sommaria ricostruzione dell’epoca, anche se ci sono diverse versioni di alcuni particolari raccontati da vari piloti tra cui di Regazzoni, Dubler, Manfredini, Tino Brambilla e Natili.  Ognuno negli anni ha raccontato un pezzetto di questo complicato puzzle di 40 anni fa. Forse, come diceva spesso Enzo Ferrari è stato uno di quei casi in cui “l’emozione e la paura avevano preso il sopravvento sulla razionale percezione dei fatti”. Dal successivo G.P Lotteria a Monza verranno esclusi alcuni piloti tra cui spiccano i nomi di Regazzoni e Tino Brambilla, ma soprattutto non si correrà più su circuiti stradali improvvisati e senza nessuna sicurezza.

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email

Tags: , , , ,


About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



Back to Top ↑