Published on Novembre 12th, 2015 | by Bruno Brida
0Seat vittima sacrificale del gruppo Volkswagen
Lo scandalo delle emissioni truccate che sta travolgendo il gruppo Volkswagen, i cui danni economici si prospettano astronomici, potrebbe avere la prima vittima sacrificabile nella Seat, acronimo di Sociedad Española de Automóviles de Turismo.
La Vw aveva acquisito la Seat esattamente trent’anni fa per un duplice obiettivo: aumentare la quota di mercato nell’Europa meridionale; tagliare i costi dislocando parte della produzione in un Paese economicamente più conveniente. Tra l’altro, la Spagna ha rappresentato la prima espansione della Volkswagen al di fuori della natia Germania.
Purtroppo, l’operazione si è rivelata una vera e propria palla al piede per il gigante di Wolfsburg. Negli ultimi sette anni la Seat ha accusato perdite per 1,39 miliardi di euro, di cui 40 milioni solo nel terzo trimestre di quest’anno. In ottobre, le vendite della Seat sono scese del 2,7%, facendo scivolare la Seat al quinto posto nella classifica dei marchi automobilistici presenti sul mercato spagnolo.
Ora, con la prospettiva, anzi con la certezza, di dover pagare miliardi per i danni provocati dal dieselgate, la nuova (si fa per dire!) governance che fa capo al Ceo ex-Porsche Matthias Mueller ha deciso di disfarsi di tutti i pesi inutili o facilmente sacrificabili. Si comincerà a fermare la produzione dei modelli con la redditività peggiore come, guarda caso, Alambra e la city car Mii della Seat. Poi seguiranno altri tagli.
Ovviamente, tra i lavoratori del grosso complesso Seat di Martorell, ad ovest di Barcellona, comincia a serpeggiare una forte preoccupazione sul futuro occupazionale.
A livello istituzionale la Germania sta cercando di limitare quanto più possibile la caduta di credibilità a livello internazionale. Ed ecco che la Kraftfahrt-Bundesamt (KBA), quella motorizzazione civile tedesca che era stata accusata di essere stata troppo subalterna ai interessi della Volkswagen, oltre a verificare le emissioni dei modelli del gruppo di Wolfsburg, ha deciso di sua iniziativa di estendere le indagini a 23 Case automobilistiche tedesche e straniere (tra cui anche Fiat-Chrysler), sospettate di manipolazioni in merito alle emissioni di ossidi di azoto.
Gli esiti di questa indagine allargata non sono stati ancora ufficializzati, ma la solita “gola profonda” ha già fatto trapelare indiscrezioni secondo cui che stati accertati numerosi casi di emissioni allo scarico “molto, molto al di sopra dei valori consentiti”. Evidente il tentativo della Germania di coinvolgere nello scandalo il maggior numero di concorrenti esteri della sua industria simbolo.
Chi comanda in Volkswagen?
Ma chi comanda veramente alla Volkswagen? Difficile dare una risposta perché il gruppo ha sempre avuto una governance intricatissima che probabilmente potrebbe essere stata una delle causa del pasticcio-truffa delle emissioni truccate.
Il Fatto Quotidiano del 10 novembre ha cercato di districare questa matassa. “I poteri in conflitto sono almeno tre: gli azionisti, a caccia di profitti e dividendi; i lavoratori, che vogliono conservare i posti di lavoro e il livello dei salari e la Regione della Bassa Sassonia (che è anche azionista), con politici che cercano di essere rieletti”.
“Gli azionisti sono composti da tre blocchi principali: le famiglie austriache Porsche e Piëch, con il 52,2% del capitale, il fondo sovrano del Qatar (17%) e la Regione Bassa Sassonia (20%), l’azionista principale fino allo scandalo del 2005 (bonus da 1,9 milioni di euro pagato all’allora direttore del consiglio di fabbrica Klaus Volkert in cambio del consenso del sindacato sulle strategie aziendali, ndr)”.
“A prima vista il 52,2% sembrerebbe essere più che sufficiente per esercitare il controllo. Ma non è così. All’interno del Consiglio di Sorveglianza, l’organo di direzione “politica” e di controllo nel sistema di siedono venti membri: dieci nominati dal sindacato unico dei metalmeccanici Ig Metall e altri dieci dal capitale. Di questi – continua il quotidiano – quattro rappresentano le famiglie Porsche e Piëch, due il fondo del Qatar e altri due la Bassa Sassonia. Il nuovo presidente, Hans Dieter Pötsch, è stato direttore finanziario del gruppo fino al mese scorso ed è considerato vicino alle due famiglie. Manca all’appello un solo scranno, occupato dall’amministratrice delegata della banca svedese Seb, Annika Falkengren. L’unica che dovrebbe essere indipendente, almeno sulla carta. Seb è però la banca di riferimento di Scania, il produttore di veicoli industriali che fa parte del gruppo Volkswagen”.