Attualità Uno dei dealer americano travolti dal dieselgate

Published on Novembre 6th, 2015 | by Bruno Brida

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Volkswagen: alle origini del dieselgate … e non solo

Ogni giorno che passa aumentano i guasti provocati dal dieselgate che ha per protagonista la Volkswagen.

Dopo aver negato ostinatamente, il 3 novembre il gruppo tedesco è stato costretto a rivelare di aver riscontrato “anomalie anche sulle emissioni di CO2”, confermando implicitamente che in circolazione c’è un certo numero di vetture a benzina irregolari (dovrebbero essere circa 98mila) che si aggiunge ai circa 11milioni di diesel coinvolti in quello che è ormai noto come dieselgate.

Ieri, dopo che il governo tedesco aveva annunciato che tutti i modelli del Gruppo sarebbero stati sottoposti a controlli, la Volkswagen ha bloccato, “volontariamente” come sottolineato in in suo comunicato stampa, la vendita del suv Vw Touareg e dei modelli Audi A6, A7, A8, Q5 e Q7, mentre la divisione nordamericana di Porsche ha deciso il blocco , sempre “volontario”, delle vendite negli States ed in Canada della Cayenne diesel anno modello 2014, 2015 e 2016. Una conferma che il veleno del dieselgate si estende pure ai motori di maggiore cilindrata, anche benzina.

E’ notizia di oggi che la Volkswagen stia richiamando oltre 92mila veicoli negli Usa per problemi ai freni che riguarderebbero Passat, Golf, Jetta e Beetle anno modello 2015 e 2016 con motori 1.8 e 2.0 turbobenzina e che abbia “consigliato” i suoi dealer statunitensi e canadesi di bloccare la vendita di tutte queste vetture presenti nei loro stock. Una settimana fa aveva richiamato quasi 59mila vetture top di gamma  per problemi alla linea di bassa pressione dei motori.

Le conseguenze del dieselgate per il costruttore di Wolfsburg, fino a metà di settembre scorso simbolo della tecnologia automobilistica mondiale ed orgoglio dell’industra tedesca, si stanno facendo pesanti non solo nel Nordamerica ma anche in Europa, con una perdita del 2,7% nelle immatricolazioni nei cinque Paesi principali (Germania, Gran Bretagna, Francia ed Italia), a fronte di una crescita del mercato tutte marche del 2%.

L’ultima tegola, in ordine di tempo, sul Gruppo arriva da Moody’s, che ha declassato il rating di Vw da A3 ad A2, con le conseguenze che l’azienda pagherà di più il denaro che chiederà ai finanziatori per far fronte agli astronomici guasti provocati dal dieselgate: multe, risarcimenti, class action, …

Orgoglio ed avidità

A questo punto ci si chiede perché la Volkswagen abbia deciso di barare scientemente. Il quotidiano britannico The Economist ha cercato di trovare una spiegazione.  Alla base di tutto c’è stato il desiderio incontenibile di diventare numero uno al mondo.

Il gruppo era da tempo ossessionato dall’obiettivo di superare la Toyota  come primo costruttore d’auto, nonostante i suoi prodotti più venduti non garantissero grandi guadagni: il margine di profitto era di appena il 2%.

Per centrare l’ambizioso obiettivo l’azienda doveva aumentare la sua quota di penetrazione sul mercato statunitense (il più grande dopo quello cinese), che era modesta.

La soluzione sembrava a portata di mano e a basso prezzo. Gli americani amano i Suv, ed il gruppo ne ha di prestigiosi (ad esempio, la serie Q dell’Audi). L’unico problema è che sono quasi tutti diesel, una motorizzazione molto popolare in Europa, ma guardata con diffidenza negli Usa.

Pagina pubblicitaria della Volkswagen su un giornale Usa.

Pagina pubblicitaria della Volkswagen su un giornale Usa.

Il rimedio? basta convincere i clienti degli States con una massiccia campagna pubblicitaria che questa motorizzazione assicura prestazioni elevate, con bassi consumi e con basse emissioni. Ed i risultati si stavano già vedendo: il diesel rappresenta solo l’1% del mercato statunitense, ma l’anno scorso metà di questa quota era saldamente in mano alla Volkswagen.

Il fatto che i diesel Vw fossero omologati secondo le normative Ue molto meno restrittive di quelle statunitensi è stato allegramente aggirato con l’installazione di una software Bosch che modifica automaticamente  il funzionamento del motore quando questo viene sottoposto a verifiche, in modo che il valore delle emissioni dei famosi ossidi di azoto NOx sia nella norma.

Certo, il gruppo tedesco aveva competenza tecnica e disponibilità finanziaria per far sì che le loro vetture rientrassero negli standard richiesti in modo regolare, ma solo accettando un compromesso che non sarebbe piaciuto molto alla clientela d’Oltreoceano. Infatti, una delle tecnologie utilizzate dalla Vw per ridurre gli NOx è quella del ricircolo dei gas di scarico, tecnologia che penalizza efficienza e potenza dei propulsori.

Classifica delle vendite 2014 dei cinque principali gruppi automobilistici mondiali

Classifica delle vendite 2014 dei cinque principali gruppi automobilistici mondiali.

A questo punto o si riprogettavano i motori adottando la moderna e molto più costosa riduzione catalitica selettiva (dove gli NOx vengono abbattuti grazie ad una reazione chimici con l’ammoniaca) oppure si barava. I dirigenti di Wolfsburg hanno scelto la via più facile ed economica, accecati dal loro desiderio di diventare il gruppo numero 1 al mondo, cosa è che successa nel primo trimestre 2015 quando sono riusciti a superare per quantità di vendite la Toyota, dove averla tallonata per tutto il 2014.

Ma perché questa follia che ha dato origina al dieselgate? Il giornalista Will Hutton ha una sua teoria. “La Volkswagen – ha scritto l’editorialista del quotidiano The Observer – ha abusato del sistema di cui faceva parte, è diventata un feudo autocratico in cui la sostenibilità ambientale è passata in secondo piano rispetto alla produzione. Una scelta apparentemente sostenuta dalla famiglia che controlla la maggior parte delle azioni e che non è stata sottoposta al giudizio degli altri azionisti, dei regolatori o dei consumatori. I vertici dell’azienda si retribuivano da soli e non dovevano rispondere delle loro azioni”.

“Perché un’azienda così nota – ha continuato Will Hutton – ha cercato di truffare le autorità statunitensi? Semplicemente perché c’erano chiari vantaggi dal punto di vista commerciale e produttivi … I dirigenti, i cui bonus sono legati alla crescita, all’occupazione e al profitto, potevano guadagnare una fortuna. I rischi non sembravano enormi”.

Voglia di minimizzare

Come sta reagendo la Germania allo scandalo che sta travolgendo il suo simbolo industriale principale? “Quel che è certo – ha scritto Hannes Kock su Die Tageszeitung – è che il ministero dei trasporti tedesco, il governo della Bassa Sassonia e la motorizzazione federale tedesca (Kba) stanno sostenendo il gruppo Volkswagen nel suo tentativo di limitare i danni. La politica e le istituzioni non sembrano molto interessate a far luce sull’accaduto perché non vogliono penalizzare la più grande azienda automobilistica tedesca. Per questo, nonostante stia misurando i valori reali delle emissioni dei veicoli diesel, la Kba non ha ancora annunciato quando saranno completati i controlli. Intanto, il ministro dei trasporti tedesco Alexander Dobrindt sta facendo pressione a livello europeo per permettere a Volkswagen e alle altre Case tedesche di continuare a superare i limiti delle emissioni”.

Insomma, anche la politica non sembra intenzionata a far chiarezza sulla questione in tempi tanto brevi, nonostante le dichiarazioni di maniera. Intanto, Toyota (che ha stabilimenti di produzione negli Usa) e GM ringraziano, sostenute anche dalla stampa americana che, come si dice, “non molla l’osso” sul caso dieselgate.

 

 

 

 

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About the Author

Laureato in ingegneria. Giornalista da oltre 40 anni nel settore motoristico, produzione e sportivo. Consulente della comunicazione. Esperienze: redattore di Quattroruote, caporedattore di Autoruore 4x4, caporedattore centrale della Gazzetta di Crema e della Gazzetta di Monza, direttore di Paddock.



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