Una volta la Formula 1 rappresentava l’apice della carriera di un pilota, anche se non di tutti. Vi si arrivava in età matura, dopo un lungo tirocino nelle categorie inferiori. Ovviamente, anche a quel tempo non tutti i piloti approdati alla Formula 1 erano dei campioni, ma di certo ognuno di loro aveva maturato la giusta esperienza con vetture di potenza crescente.
La moderna Formula 1 sembra aver perso ogni senso della misura. Dopo aver sbandierato per anni ai quattro venti di essere il massimo della tecnologia automobilistica, che quindi richiede gente esperta nell’abitacolo, dopo poco più che ventenne Daniil Kvyat si è affannato a dichiarare in diverse interviste estive che i Gran Premi sono ancora “cose” da “cavalieri senza paura”, ecco che dal magico cilindro del circus salta fuori l’ingaggio come pilota ufficiale della Toro Rosso per la stagione 2015 del 17enne olandese Max Verstappen, figlio di quel Jos che tra il 1993 ed il 2003 ha fatto parte del carrozzone di Mr. Ecclestone (due podi in 106 GP, 17 punti in totale).
E tutti a tessere le lodi del ragazzo, come Helmut Marko, eminenza grigia di Red Bull e Toro Rosso, che si è affrettato a dichiare che “Max ha tutte le doti di un vero campione”. Come lo avrà capito dal momento che il ragazzo, dopo una promettente esperienza kartistica, ha debuttato agonisticamente nello sport automobilistico solo quest’anno?
D’accordo ha vinto otto delle 27 gare dell’Euro di Formula 3 (tre gare per ogni appuntamento), ma queste prestazioni sono sufficienti per fare di un 17enne un pilota in grado di gestire in sicurezza ed esperienza bolidi da 900 CV? Quali manovre di marketing si celano dietro l’operazione? Soprattutto, è morale mandare allo sbaraglio un ragazzo così giovane?
Forse la Formula 1 ha passato il segno della decenza anche in questo caso.