Storia

Published on Novembre 18th, 2024 | by Massimo Campi

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Dal quattro al dodici cilindri, i motori Porsche ad aria

 

Nella storia del motorsport la tecnica motoristica ha sempre avuto una importanza primaria. Potenza ed affidabilità sono sempre stati gli elementi primari nei motori da competizione e tra le case che hanno sempre avuto una vocazione sportiva si è sempre distinta la Porsche. Nata nel dopo guerra, la tecnica della casa tedesca si basa inizialmente su quella della Volkswagen, con il 4 cilindri boxer della 356 raffreddato ad aria. La Porsche, con le sue evoluzioni ha continuato fino agli anni ’90 del secolo scorso ad utilizzare ed affinare propulsori con il raffreddamento ad aria, realizzando unità da sei a sedici cilindri, sempre boxer e sempre distinti dalla grossa ventola di raffreddamento. Unità che sono state impiegate nelle corse, spesso vincenti, con potenze mostruose nell’era dei propulsori sovralimentati.

Nasce la 356

Le prima vettura Porsche nasce nell’agosto 1947 a Gmund im Karten, nella Carinzia austriaca, dove lo Studio Porsche si era trasferito in seguito ai bombardamenti alleati sulla Germania, in una vecchia segheria, i progettisti: Ferdinand Porsche, appena liberato dalla prigionia, suo figlio FerryKarl RabeErwin Komeneda e il carrozziere Frederich Weber si ritrovarono per mettere giù il progetto di una vettura sportiva sulla base della meccanica del Maggiolino, progettato qualche anno prima proprio dallo stesso Ferdinand Porsche. La 356, il nome deriva dal numero di progetto dello Studio Porsche, debutta ufficialmente nello stand Volkswagen al Salone di Ginevra del 1949 dove vengono esposte due vetture, una coupé e una cabriolet, dopo un accordo maturato tra la casa tedesca e la piccola fabbrica. Il primo motore, un quattro cilindri derivato da quello del Maggiolino, è di 1.1 litri, ma ben presto arriva la versione nuova di 1.300 cc. Nel 1952 la Porsche recupera l’officina di Stoccarda e aprono la nuova fabbrica di Zuffenhausen. Dopo  l’avvio delle linee di produzione debuttava il motore typ 527 di 1488 cc, capace di 60 cv con albero a gomiti su cuscinetti a rulli che ben presto viene sviluppato nella versione Super che sviluppa una potenza di 70 cv. La 356 viene continuamente sviluppata e nella versione più spinta, la 356 SC il quattro cilindri vanta una potenza di 95 cv ed ha l’albero a gomiti equipaggiato con contrappesi di bilanciamento, mentre il rapporto di compressione è aumentato a 9,5ː1 e l’alimentazione è composta da due carburatori Solex per bancata. Fedele alla sua indole sportiva, nel reparto corse di Zuffenhausen nascono diverse versioni da competizione come la 356 Carrera, la 365 Speedster del 1955 divenuta famosa con James Dean. Attorno al 4 cilindri boxer nasce la 550 Spyder pensata per le competizioni su strada molto in voga all’epoca. Il propulsore Typ 547, è il 4 cilindri boxer di 1.498 cm³ (85 x 66 mm) raffreddato ad aria con quattro alberi a camme in testa. Progettato e sviluppato da Ernst Fuhrmann è dotato di un complesso sistema di distribuzione composto da 9 alberi, 14 coppie coniche e 2 cilindriche. Il raffreddamento ad aria è composto da ventola a doppia entrata posta sopra il basamento. Alla prima prova al banco sviluppa una potenza di 112 cv ad un regime di rotazione di oltre 7.000 giri, ed al massimo dello sviluppo si arriva alla potenza di oltre 180 cv.

Dal quatto cilindri della 356 al sei cilindri della 911

All’inizio degli anni ‘60 la 356 cominciava a mostrare i segni dell’età, in Porsche decidono la sostituzione con un nuovo modello di serie, dotato di una estetica più moderna e di un nuovo motore che possa garantire prestazioni adeguate alla concorrenza. Al salone di Francoforte del 1963 viene presentata la Porsche 911 con il nuovo sei cilindri, sempre boxer e sempre raffreddato ad aria. Il propulsore già adotta soluzioni che rimarranno per decenni nella tecnica delle vetture tedesche come la distribuzione monoalbero comandata a catena, la lubrificazione a carter secco, le testate e le canne cilindro singole con le camere di combustione emisferiche. Bielle ed i supporti di banco sono dotati di bronzine Il sei cilindri boxer della prima 911 ha una cilindrata di due litri, ottenuta con un alesaggio di 80 mm e una corsa di 66 mm. La potenza è già di 130 cv a 6.100 giri/min. I tecnici tedeschi applicano quanto di meglio offre la tecnologia dell’epoca I cilindri nella versione base di questo motore sono in ghisa, con canna integrale, i pistoni sono fusi in lega di alluminio e silicio. L’albero a gomiti poggia su sette perni di banco e comanda due catene duplex a rulli che azionano gli alberi a camme per il comando delle valvole e le due pompe dell’olio che assicurano la lubrificazione all’intero propulsore. Il circuito di lubrificazione prevede una pompa di mandata e una di recupero, entrambe a ingranaggi. Il basamento fuso in lega di alluminio e silicio, è realizzato con due parti simmetriche, unite attraverso il piano verticale longitudinale.

Il sei cilindri boxer della 911 sarà il capostipite per tutta una serie di versioni successive, con cilindrate e prestazioni sempre maggiori che equipaggeranno modelli da competizione di grande successo, sia nelle versioni aspirate che in quelle sovralimentate, sempre mantenendo inalterato lo schema costruttivo di base. L’evoluzione, attraverso i vari decenni, arriva con le teste bialbero a quattro valvole, raffreddate ad acqua per le motorizzazioni da competizione più spinte. Tra i principali miglioramenti negli anni si assiste ad una continua evoluzioni dei materiali e dei trattamenti termici. I cilindri in ghisa sono stati sostituiti da quelli prodotti dalla Mahle, denominati “Biral”, con canna in ghisa incorporata, mediante pressofusione, in una struttura fittamente alettata in lega di alluminio con un peso complessivo inferiore di circa il 25%. Nella 906  da competizione del 1966 vengono impiegati i nuovi cilindri Cromal, in lega di alluminio con canna cromata, mentre le bielle sono in titanio; sono poi arrivati i cilindri con riporto Nikasil, sulla 911 RS Carrera 2,7 nel 1972. La cilindrata nel corso degli anni è passata a 2,2 litri nel 1969, poi a 2,4 e a 2,7 litri, dal 1973 al 1977, per poi aumentare a 3,0 litri, e successivamente a 3,2 e infine di 3,6 litri nelle versioni aspirate. Le diverse cubature sono state ottenute aumentando il diametro dei cilindri, la corsa o entrambi. Per tutta la lunga storia del sei cilindri boxer raffreddato ad aria l’attività di ricerca e di sviluppo tesa a migliorarne le prestazioni è stata intensa e continua; con l’aumento delle prestazioni la Porsche ha adottato pistoni forgiati con il raffreddamento, oltre all’aria, realizzato con getti di olio, emessi da appositi ugelli.

Dal sei all’otto ed al sedici cilindri, una moltitudine di motori ad aria per le competizioni.

Con i nuovi regolamenti sportivi entrati in vigore nel 1968, che limitava dei prototipi per il Mondiale Marche a 3 litri, nasce la Porsche 908, con il nuovo propulsore 8 cilindri boxer, sempre raffreddato ad aria. L’unita di 2,994 cc sviluppa una potenza di 320 CV nella prima versione, ma il propulsore verrà utilizzato per quasi una decina di anni con relativo incremento di potenza. Il passo successivo è la realizzazione della Porsche 917, presentata nel 1969, la nuova arma per la conquista del titolo Mondiale Marche, che diventerà la vettura da corsa più famosa della casa tedesca. Il motore è composto dall’unione di due monoblocchi del motore 6 cilindri boxer di 2.2 litri montato sulla Porsche 911 R, ottenendo un 12 cilindri boxer con cilindrata di 4.494cm³, montato in posizione centrale longitudinale, che sviluppa una potenza di 520cv a 8.000 giri al minuto. Il raffreddamento ad aria è simile a quello della 908, con il ventolone posto sopra il basamento. Nel 1970, per combattere la concorrenza della 512S Ferrari la cilindrata aumenta a 4.907 cc che consente una potenza di 580cv; nel 1971 arriva per la versione LH e K un nuovo propulsore di 5 litri, da 630 cv a 8.500 giri/min. Per il 1972 vengono abolite le vetture sport di cinque litri, la 917 non può più correre nel Campionato Mondiale e la Porsche decide di conquistare notorietà dall’altra parte dell’Atlantico correndo nella serie Can-Am americana che consentiva propulsori senza nessuna limitazione e monte premi molto ricchi. Nasce la 917/10, derivata dalla 917K con una carrozzeria in versione spider ed il 12 cilindri boxer, sempre ad aria munito di sovralimentazione mediante turbine KKK che garantiscono una potenza di oltre 850 cv. A Zuffenhausen si studiano progetti alternativi prima di sviluppare la tecnologia del turbo e nasce anche la 917PA un’ulteriore versione della 917 spyder dotata di un motore da 16 cilindri a V ottenuto dall’unione di due monoblocchi dell’8 cilindri boxer da 3 litri della 908. Il V16 viene realizzato in diverse versioni con cilindrate che vanno da 6 litri con 770 CV a 7,2 litri con 880 cavalli. La versione da 6,6 litri, che sviluppava 750 CV a 8.000 giri/min, fu installata su di una 917PA e si dimostrò estremamente affidabile durante le prove, ma il 12 cilindri sovralimentato al suo stadio iniziale di sviluppo si era già dimostrato superiore al 16 cilindri e la 917/16 venne ben presto accantonata.

Un dominio schiacciante in America

La 917/10 gestita dal Team Penske domina il campionato Can Am 1972 con George Follmer e la versione successiva è la 917/30 che nel 1973 vince tutte le gare ed il campionato con Mark Donohue. Il 12 cilindri boxer viene incrementato nella cilindrata, passando da 5 a 5,4 litri, sempre dotato di turbocompressori, uno per bancata, e raffreddamento ad aria. La potenza subisce un notevole incremento, giungendo a toccare il valore, in assetto da qualifica, di 1.580cv a 7.800 giri/min. ma in gara, la 917/30 viene depotenziata a circa 1.200/1.300cv per salvaguardarne l’affidabilità. I valori di coppia arrivano a toccare i 1.112 Nm a 6.400 giri/min. ed il tutto fa volare la 917/30 ad oltre 400 km/h. La vettura pesava solo 817 Kg e accelerava da 0 a 100 in 1,9 secondi, a 160 in 3,9, a 320 in 10,9, e nel 1975, sul Talladega Speedway in Alabama, della lunghezza di 4,28 km, Mark Donohue e la 917/30 infransero il record di velocità in circuito, compiendo un giro alla elevata media di 355,923 km/h. Il record rimase imbattuto per quattro anni.

Il sei cilindri diventa Turbo.

Finita l’era delle potenti 917, si ritorna allo sviluppo del sei cilindri boxer ad aria della 911. Alla 1000 Km di Monza del 1974, sui nastri di partenza c’è una nuova vettura, la Porsche 911 Carrera RSR Turbo 2.2, un vero laboratorio viaggiante che viene iscritta come prototipo per mancanza di una versione granturismo stradale, mentre i clienti sportivi corrono abitualmente con la versione aspirata Gruppo 4. I regolamenti dei prototipi FIA limitano la capacità del motore a 3 litri per gli aspirati, mentre i motori sovralimentati non possono superare i 2.200 cc e non consentono al turbo una pressione superiore a 1,4 bar, in casa Porsche realizzano il sei cilindri di 2.143 cc per soddisfare le normative. Il motore della 911 Carrera Turbo RSR è del tipo 911/76, sempre raffreddato ad aria e sovralimentato con una turbina KKK, utilizza pistoni e camme speciali, un albero motore forgiato, bielle in titanio ed  un monoblocco in magnesio che viene sostituito con una  versione in alluminio per la 24 Ore di Le Mans. Il tutto sviluppa una potenza di circa 450 CV a 8000 giri/min con un rapporto di compressione 6.5:1 che garantisce una velocità massima di circa 300 orari e accelerazioni record: 0-100 Km/h in 3,2 secondi e 0-200 Km/h in 8,8. Il cambio è a cinque marce diretto sull’asse di trasmissione.

La Porsche è pronta a produrre la prima granturismo stradale sovralimentata. L’esperienza racing, prima con la 917 Can Am, poi con la Carrera 911 RSR Turbo serve a realizzare la nuova 911 Turbo, serie 930 stradale, prodotta dal 1975. La vettura tedesca è dotata del sei cilindri boxer motore di 2994 cm³ con basamento in alluminio e cilindri in Nikasil, iniezione meccanica e sovralimentato con turbocompressore. La potenza sviluppata era di 260 CV, che permette alla 911 Turbo 3.0 di scattare da 0–100 km/h in 6,5 secondi e raggiungere i 251 km/h di velocità massima.

Il sei cilindri vince a Le Mans

Dal 1976 la FIA introduce il nuovo regolamento basato sul regolamento “Silhouette”, ovvero vetture derivate dalle granturismo di serie che corrono nel Gruppo 5. La casa tedesca, sempre merito dell’esperienza accumulata dalla Carrera 911 Turbo 2.2, realizza la Porsche 935, una vettura da competizione Gruppo 5, derivata dalla Porsche 911/930 turbo stradale. Progettata da Norbert Singer la 935 è inizialmente equipaggiata con  il sei cilindri boxer di 2.850 cc, sovralimentato con un singolo turbo KKK che eroga una potenza di 560 cv con la pressione del turbo  regolata a 1,2 bar, mentre quando la pressione raggiunge 1,5 bar la potenza è di 630 cv nella configurazione per le gare sprint.

Per la versione 1977 della 935 i tecnici di Zuffenhausen installano il motore Typ 930/78, con due turbine più piccole al posto della grossa turbina originaria, il tutto per ridurne il ritardo di risposta senza sacrificare la potenza massima, di 630 CV a 8.000 giri/min col rapporto di compressione invariato a 6,5:1. Nel 1978 la Porsche realizza la nuova 935 “Moby Dick” con il 6 cilindri boxer  portato a 3,2 litri e dotato di testate bialbero a quattro valvole per cilindro raffreddate ad acqua. Il propulsore è quello della Porsche 936 che corre nel campionato Prototipi con la potenza di circa 750 CV a 8200 giri/minuto in condizioni di gara. È la massima espressione del flat six ad aria ufficiale, in seguito lo sviluppo della vettura passa attraverso le squadre semiufficiali Kremer, Loos e Joest, ed una 935K3 del Team Kremer con il sei cilindri che sviluppa oltre 800 cv coglie la sognata vittoria nella 24 Ore di Le Mans 1979 con l’equipaggio composto da Bill e Don Wittington e da Klaus Ludwig. Intanto la Porsche ufficiale con la 936 era già riuscita a trionfare nella maratona francese del 1976 con Jacky Ickx e Gijs Van Lennep, prima vettura turbo a conquistare la vittoria a Le Mans. Il sei cilindri di 2,2 litri raffreddato ad aria, montato nella 936, erogava circa 520 CV a 8000 giri/min, con una pressione di sovralimentazione di 1,2 bar. I boxer turbo della casa di Stoccarda hanno vinto ben 14 volte a Le Mans, tra il 1976 e il 1998.

La 959 è la massima espressione del flat six in versione stradale.

Il top della produzione di serie è raggiunto con la Porsche 959 che monta il sei cilindri doppio turbocompressore da 450 cv a 6500 giri/min, presentata come prototipo nel 1985 e poi prodotta in circa 300 esemplari. Questa vettura straordinaria aveva la trazione integrale e si è imposta tanto nella Parigi/Dakar quanto nella sua classe a Le Mans. Il sei cilindri della 959 ha teste a quattro valvole con raffreddamento ad acqua, soluzione impiegata su svariati motori da corsa già negli anni settanta con i cilindri che continuavano ad essere raffreddati ad aria.

Con il costante aumento delle prestazioni e rientrare nei sempre più severi limiti di emissione è stato sempre più difficile mantenere il raffreddamento ad aria e le testate a due valvole per cilindro per i motori delle vetture stradali. Le sollecitazioni termiche erano sempre più elevate e l’adozione delle quattro valvole per cilindro, con un modesto angolo di inclinazione, passaggi per l’aria in grado di assicurare una adeguata refrigerazione nella zona tra le valvole di scarico e la candela, non era infatti possibile. L’inevitabile progresso rendeva indispensabile il passaggio al raffreddamento ad acqua e la storia dei motori Porsche con raffreddamento ad aria termina nel 1998 con l’apparizione della nuova generazione di boxer a sei cilindri refrigerati a liquido.

Immagini © Massimo Campi

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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