Formula 1

Published on Novembre 15th, 2024 | by Massimo Campi

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F1 Indianapolis 2005: Formula caos!

 

Di Carlo Baffi

Sul popolare catino dell’Indiana, il Gran Premio degli Stati Uniti vide in gara solo sei delle venti monoposto iscritte al mondiale, complice un problema alle gomme fornite dalla Michelin.

La Formula Uno si appresta a correre negli Usa dopo il recente round di Austin. Dal Texas si passa al Nevada nelle strade di Las Vegas, la capitale del gioco d’azzardo. Alla storia del Circus si aggiungerà una nuova pagina scritta negli States, l’ennesima delle tante da quando la massima serie sbarcò oltreoceano agli inizi del ‘900. Tra le edizioni del Gran Premio a stelle e strisce, ce n’è una in particolare che viene ricordata per il cosiddetto “Michelin gate” che condizionò l’intero weekend. La memoria corre al 2005 ed a raccontarci i fatti è Manfredi Ravetto l’allora direttore commerciale della Jordan Grand Prix.

Ci troviamo nell’Indianapolis Motor Speedway ed è venerdì 17 giugno, quando nel corso della 2^ sessione delle prove libere, Ralf Schumacher sbatte violentemente contro il muretto alla curva 13, quella in pendenza che immette sulla finish-line. A causare l’incidente è un problema alla gomma posteriore sinistra della sua Toyota. Il pilota è indenne, ma precauzionalmente viene sostituito da Ricardo Zonta per gli altri due giorni.

“Inizialmente si pensò che il cedimento del pneumatico fosse stato causato da un detrito – attacca Ravetto – ma presto si diffusero altre notizie: trapelò che nel compound della Michelin ci fossero parecchie gomme con segni di stress. Quello che pareva un piccolo problema si trasformò in poco tempo in un vero e proprio tsunami che investì il gommista francese. Noi, come Jordan, eravamo tranquilli dal momento che insieme alla Ferrari ed alla Minardi montavamo le Bridgestone. Il responsabile della casa nipponica ci aveva assicurato che la tenuta non avrebbe avuto alcun problema. Probabilmente la carcassa era strutturata in modo diverso rispetto a quella delle Michelin, che seppur molto competitive soffrivano ad Indy. Nella serata tra venerdì e sabato qualcuno cominciò ad ipotizzare di non disputare il Gran Premio e c’era pure chi, tra le scuderie gommate Bridgestone, si diceva d’accordo. A quel punto, di fronte ad un pericolo simile, entrò in gioco Bernie Ecclestone (il patron del Circus – ndr.), il quale pensò subito alle conseguenze economiche: dai diritti televisivi non pagati dalle emittenti, al rimborso dei biglietti venduti. Da qui il suo verdetto categorico, secondo cui la gara andava assolutamente corsa.”

Quindi cosa accadde?

“Prese il via una lunga fase, in cui tecnici e meccanici si occuparono di preparare le prove e le qualifiche del sabato, mentre i rispettivi management si isolarono affrontando il problema. Forte delle rassicurazioni ricevute dai nipponici feci osservare ad alcuni dei nostri tecnici, che se la Michelin aveva costruito delle gomme non idonee per Indianapolis con il conseguente cedimento strutturale, che colpa ne aveva la Bridgestone e le scuderie che utilizzano le sue coperture? Gli altri potevano utilizzare le Bridgestone per questa gara. Il problema riguardava loro (la Renault, la Toyota, la McLaren, la Bar-Honda, la BMW-Williams, la Red Bull e la Sauber – ndr.), che però non potevano rivolgersi ad un altro fornitore per motivi contrattuali. Resta il fatto che non era colpa nostra.”

Dopodiché al sabato ci fu la pole di Jarno Trulli su Toyota…

“Si, col verdetto delle qualifiche che confermò le alte prestazioni delle Michelin. Facevano solo un giro e andavano in crisi, ma erano sicuramente le più veloci. La prima vettura gommata Michelin era la Ferrari di Michael Schumacher piazzatosi quinto, mentre Jordan e Minardi si ritrovarono agli ultimi quattro posti.

A questo punto però, spuntò la proposta della Michelin di introdurre di una chicane prima dell’ultima curva, quella incriminata. In questo modo le macchine erano costrette a rallentare percorrendola senza problemi, per poi accelerare in uscita.”

Quale fu la vostra reazione?

“Beh, di fronte al pericolo di non correre, o di essere da soli in pista decidemmo di accettare. Ci pensò la Fia però a chiudere la questione, stabilendo che il circuito non era omologato con l’aggiunta della variante, per cui la proposta venne bocciata. La domenica ci presentammo in circuito con tanti punti interrogativi. Sembrava che la Minardi non volesse correre. Addirittura, il suo proprietario Paul Stoddart fece circolare la voce che ci fosse un accordo per far correre la Ferrari da sola, ipotesi impossibile e non vera. Sta di fatto che all’ora prestabilita tutti i concorrenti si presentarono sulla griglia, tutte le vetture presero posto sulle rispettive piazzuole evitando così implicazioni giuridiche. In questo scenario si percepì chiaramente che Ecclestone voleva che il 34° Gran Premio degli Usa fosse corso. Di conseguenza quando vedemmo buona parte delle macchine rientrare ai box dopo il giro di formazione, non nego che ci venne un po’ di acquolina in bocca, in quanto fiutammo un facile bottino di punti.”

La corsa scattò con davanti le Ferrari di Michael Schumacher e Rubens Barrichello..

“Subito dopo c’era la nostra prima vettura con Thiago Monteiro, poi la Minardi di Albers, la seconda Jordan di Narain Karthikeyan ed a chiudere l’altra Minardi di Friesacher. Appena dopo il via, Karthikeyan superò Albers alla prima curva, dopodiché lo schema era chiaro, due Ferrari, due Jordan e due Minardi. Gioco forza impartimmo l’ordine tassativo di mantenere le posizioni e non prendere alcun rischio. Per noi era un’occasione irripetibile da non sprecare.”

Il Gran Premio fu vinto dalla Ferrari e le polemiche si moltiplicarono…

“Il tutto si riversò contro la casa del Bibendum, che oltre alla figuraccia dovette rimborsare gli spettatori. Nel vedere rientrare molte macchine, i tifosi rimasero dapprima sorpresi e poi s’infuriarono. Qualcuno lasciò le tribune e purtroppo volarono pure delle lattine in pista. La contestazione fu molto acceso. Noi lasciammo l’impianto in tarda serata, con tanto di riprogrammazione di voli per il rientro in Europa. Il rischio di ricevere qualche cheeseburger addosso era reale, perché il pubblico era parecchio risentito.”

Tornando alla corsa, la Jordan si portò a casa un bel risultato.

“Altroché! Terzo Monteiro davanti a Karthikeyan, la cui vettura è ora di mia proprietà. Fu l’ultimo podio nella storia della Jordan. A corollario dell’intera vicenda c’è un aneddoto curioso che riguarda Monteiro. Lasciò la pista frettolosamente con indosso ancora la tuta gialla innaffiata di champagne, portandosi dietro il trofeo del terzo classificato che per contratto spettava al team. Nella successiva trasferta in Francia, gli chiedemmo notizie della coppa e lui ci disse di averla dimenticata a casa e che ci avrebbe portato una copia. Eh no! Semmai il contrario. La storia si trascinò a lungo, con Monteiro che si scordò nuovamente il trofeo e poi ci disse che non glielo fecero imbarcare sull’aereo. Per farla breve quella coppa non l’abbiamo mai vista e posso supporre che si trovi nel salotto della casa di Thiago.”

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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