Di Carlo Baffi
Nello scontro finale tra Senna e Prost in Giappone, il pilota senese della Benetton si aggiudica un Gran Premio carico di tensioni e polemiche.
E’ stata la sua prima ed unica vittoria in Formula Uno, ma fu sicuramente speciale per il contesto in cui ebbe luogo. Quando salì sul podio, Alessandro Nannini esibì in mondovisione il suo sorriso spontaneo per aver regalato una gioia a se stesso ed al suo team, la Benetton-Ford. La scuderia legata al popolare maglificio di Ponzano Veneto aveva rotto un’astinenza lunga oltre tre anni. La sua ultima affermazione risaliva al 12 ottobre dell’86, quando Gerhard Berger s’era imposto in Messico regalando il primo trionfo alla scuderia di anglo-italiana.
Clima diametralmente opposto nel box McLaren-Honda dove regnavano i musi lunghi e volavano fendenti sotto la cintola. Come anticipato, quello di Suzuka il 22 ottobre 1989, fu un successo andato in scena in un quadro molto particolare, ovvero la faida rusticana tra i due piloti della compagine dominatrice di quelle stagioni. Primattori il francese Alain Prost ed il brasiliano Ayrton Senna. Quando il Circus fece tappa a Suzuka mancavano ancora due round alla fine ed Alain guidava la classifica con un margine di 16 punti su Ayrton, il quale era obbligato a vincere a tutti i costi per tenere aperta la contesa. Sabato 21 ottobre siglò la sua 12^ pole stagionale, rifilando più di un secondo e sette decimi al rivale.
Nannini s’era piazzato sesto ad oltre 3” dal poleman e sarebbe scattato tre le due Williams-Renault di Patrese e Boutsen. In partenza Prost fu più lesto di tutti insediandosi al comando, Senna però non si perse d’animo e diede inizio al suo inseguimento. Logicamente l’attenzione di tutti era calamitata da questi due giganti e da un grande dubbio: quando Ayrton avrebbe raggiunto Alain, cosa sarebbe successo? Poco importava di quello che stavano facendo gli altri e pazienza se Nannini s’era intanto portato alle spalle dei due fighters. La risposta arrivò al 47° dei 53 giri in programma. Il brasiliano lanciò il suo attacco alla chicane del “triangolo Casio”, quella che immette sul rettilineo d’arrivo. Raggiunto Prost, Senna si buttò all’interno, ma il francese resistette e le due monoposto bianco rosse entrarono in contatto agganciandosi e fermandosi. Prost convinto che la gara fosse finita e di esser diventato campione uscì dall’abitacolo. Ayrton invece ripartì facendosi spingere dai commissari e tornò ai box per sostituire il musetto danneggiato, sfruttando il minuto di vantaggio su Nannini divenuto il leader provvisorio.
Ripartì col coltello fra i denti, inseguì la Benetton del capofila e dopo due passaggi la passò alla solita variante per poi involarsi verso il traguardo da vincitore. Tutto ciò mentre Prost si era avviato ai piedi verso il suo garage. Dunque mondiale riaperto? Solo per poco, anzi pochissimo, perché su Senna si sarebbe abbattuta la scure della direzione gara: venne infatti squalificato per la manovra nella fase di ripartenza. Il paulista fu ritenuto reo di aver tratto vantaggio dalla spinta dei commissari che gli consentirono di rimettere in moto la sua MP4/5. Inoltre era rientrato in pista dalla via fuga non percorrendo la chicane sopracitata: un’azione vietata dal regolamento. Prima della premiazione, i marshalls bloccarono Ayrton e gli comunicarono la decisione. Nannini salì così sul gradino più alto del podio insieme a Patrese e Boutsen vincendo di fatto la gara.
Alessandro non nascose la sua euforia per il risultato conseguito. Aveva corso con 38 di febbre e sofferto sia in gara che nel post mentre attendeva la sentenza dei commissari dopo l’appello presentato dalla McLaren. Una volta giunta la conferma del trionfo, la moglie Paola (in dolce attesa) urlò tutto il suo entusiasmo dal muretto box.
“Non potevo tenere dietro Senna in quegli ultimi due giri – raccontò Nannini – e poi non volevo rischiare di perdere il secondo posto con un incidente. Puntavo a conquistare il podio e quando mi hanno segnalato che ero primo a con una decina di secondi su Senna, ho guardato lo specchietto. In due tornate mi ha raggiunto. Il suo sorpasso è stato corretto, non ho chiuso la traiettoria perché non era il caso di rompere le scatole ad un pilota che lottava per il mondiale.” Stremato dalla fatica, il toscano si sarebbe poi rifugiato in hotel dopo un leggero malore.