Formula 1

Published on Luglio 2nd, 2024 | by Massimo Campi

0

ADRIAN NEWEY, “THE GENIUS”   (PRIMA PARTE)

Testo, foto e disegni di PAOLO D’ALESSIO

Da domenica 5 maggio, quando si è presentato per l’ultima volta al muretto box della Red Bull, Adrian Newey è diventato l’uomo più ricercato della Formula 1. Lance Stroll lo vorrebbe all’Aston Martin, per fare definitivamente decollare il team anglo-canadese e dopo le ultime stagioni sottotono della Mercedes anche Toto Wolff gli fa una corte spietata. Per non parlare della Ferrari, che potrebbe essere l’ultima, prestigiosa, destinazione del genio inglese, per concludere in bellezza una carriera coronata da 13 titoli mondiali piloti e 12 costruttori. Per saperne di più bisognerà probabilmente attendere alcuni mesi, anche in considerazione del fatto che fino ad Aprile 2025 Newey dovrà rispettare il periodo di “gardening”, imposto dal regolamento. In attesa di quella data analizziamo quelle che sono state le pietre miliari della plurivittoriosa carriera del “genius”, il tecnico più titolato nella storia della Formula 1. L’indiscusso mago dell’aerodinamica.

1988: MARCH – JUDD 881 

Nato a Stratford-upon-Avon, città natale di William Shakespeare, Newey si laurea in ingegneria aeronautica e ingegneria aerospaziale dalla Università di Southampton nel 1980. Appassionato di automobilismo fin dall’infanzia, nel 1980 inizia a collabortare col team di Emerson Fittipaldi, per poi passare alla March, che lo dirotta al programma Indy, dove progetta la 85C, che nel 1985 vince il titolo CART con Al Unser, e si ripete l’anno dsuccessivo con Bobby Rahal.

Dopo queste brillanti affermazioni, nel 1988 Adrian Newey approda al team March-Leyton House, Newey, dove ottiene il ruolo di direttore tecnico e firma la sua prima monoposto di Formula 1: la March-Judd 881. Una monoposto che, fin dalle prime uscite, cattura l’attenzione degli addetti ai lavori per la sua conformazione aerodinamica: come si può vedere nella vista laterale e nella vista in pianta, il posto di guida è ulteriormente avanzato, rispetto alle altre vetture e le fiancate laterali sono rastrematissime, in corrispondenza del retrotreno. Non solo: alla vigilia della nascita delle prime monoposto con muso rialzato (introdotte in Formula 1 dalla Tyrrell, nel 1990), nel 1988 Newey è il primo a “scavare” la parte bassa della scocca, per aumentare la portata d’aria che si incunea sotto il fondo piatto e va poi ad investire il profilo estrattore posteriore. Altra caratteristica della March Judd 881 gli ampi alettoni anteriori, che assicurano un buon carico sull’asse anteriore, senza penalizzare troppo la vettura sul dritto. Nel 1988, ultimo anno dell’era turbo, la vettura di Capelli e Gugelmin è probabilmente la migliore vettura aspirata del lotto, pur disponendo del non potentissimo V8 Judd.

1992: WILLIAMS - RENAULT FW14B 

 

Le sospensioni attive vengono introdotte per la prima volta in Formula 1 sulla Lotus 99 del 1987. Ayrton Senna vince un paio di gare ma a fine stagione il responsabile tecnico del team, Gerard Ducarouge, le accantona, ritenendole troppo complesse da mettere a punto. Così di sospensioni attive non se ne sente più parlare fino al 1992, quando tornano prepotentemente alla ribalta grazie al binomio Williams-Renault e ad Adrian Newey, che nel frattempo si è trasferito alla Williams. Patrick Head, braccio destro di Frank Williams, e Newy sono convinti assertori di questo dispositivo e la Williams-Renault FW14/B viene espressamente progettata in funzione del loro utilizzo. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, l’utilizzo di “sospensioni attive”non influisce tanto sul comportamento dinamico della vettura, quanto sulla sua aerodinamica. La possibilità di controllare costantemente l’altezza e l’inclinazione della monoposto rispetto al suolo, mediante una serie martinetti e attuatori idraulici, controllati da apposite centraline elettroniche, ripristina di fatto un effetto suolo simile a quello che si otteneva ai tempi delle wing-car con le famigerate minogonne. Questo anche se le Formula 1 del 1992 sono strutturalmente molto diverse, rispetto alle vetture degli anni ‘80, dotate di profili alari laterali e minigonne. La superiorità tecnica della Williams nel biennio 1992/93 è talmente netta che, così come era accaduto con la Lotus 78, si viene a creare una netta frattura tra le monoposto anglo-francesi e il resto del gruppo. Anche perchè, oltre alle già citate sospensioni, la Williams FW 14/B può contare su un bilanciatissomo telaio, su un’eccellente profilatura aerodinamica e su un 10 cilindri Renault unanimemente ritenuto il migliore motore da corsa degli anni ‘90.

 

1996-97: WILLIAMS - RENAULT FW18/19

 

Dopo un paio di stagioni sottotono, dominate dalla Benetton di Michael Schumacher, motorizzate Ford e Renault, nel biennio 1996/97 le monoposto costruite nelle officine di Grove tornano a dettare legge in Formula 1, con i modelli FW18 e FW19. Gli sforzi prodotti dai motoristi francesi per miniaturizzare le masse radianti e ottimizzare il raffreddamento del loro V10, consentono ad Adrian Newey di disegnare una macchina con pontoni laterali sempre più piccoli e rastremati. Ma la soddisfazione maggiore per il geniale tecnico inglese arriva dalla constatazione che, non solo le sue vetture dominano in pista, ma diventano una sorta di “format”, un modello di riferimento per tutto il Circus. A partire dalla Ferrari, che abbandonate le voluminose forme della F310, la prima rossa spinta da un motore a 10 cilindri, nel 1997, si converte allo stile Williams. Le somiglianze tra la FW18/19 e la F310 B del 1997 (l’ultima Ferrari progettata da John Barnard, prima di lasciare Maranello) sono talmente evidenti da meritarle il soprannome di “Williams in rosso”. Le affermazioni in pista non si traducano però in una promozione a direttore tecnico del team, saldamente nelle mani di Patrick Head. Così, a fine stagione ‘97 Adrian Newey divorzia con la Williams e firma per la McLaren di Ron Dennis.

1998/99: McLAREN MERCEDES MP4/13 

 

Preoccupata dalle prestazioni raggiunte in Formula 1 e di fronte all’impossibilità di stravolgere i circuiti, in vista del mondiale 1998 la Federazione decide di modificare i regolamenti, per rendere più sicure le monoposto e al tempo stesso più incerte e combattute le gare. Questi meritevoli intenti si traducono in una serie di provvedimenti che stravolgono forma e dimensioni delle monoposto. Le carreggiare vengono ristrette di 10 centimetri per lato e soprattutto la F.I.A decide di mettere al bando le gomme “slick”, rimpiazzandole con gomme “scanalate”: quelle anteriori hanno tre profondi solchi, che diventano quattro sull’asse posteriore. Tanto per cambiare chi meglio di tutti interpreta le nuove regole è Adrian Newey, passato nel frattempo dalla Williams, alla McLaren. Se esteriormente la MP4/13 non si discosta eccessivamente dalla macchina del 1997 (musetto alto ed appuntito, fiancate più piccole e più rastremate, grandi deviatori di flusso dietro le sospensioni anteriori), i segreti  vincenti della stella d’argento si celano tutti sotto la carrozzeria e si tratta di segreti destinati a far scuola ed essere ripresi dalla concorrenza nelle stagioni a venire. A partire dalla questione “zavorra”. Newey è infatti il primo progettista a rendersi conto che, per assettare correttamente una vettura con carreggiate strette e gomme scanalate, occorre avere una macchina decisamente sottopeso. In questo modo è possibile spostare la zavorra lungo l’asse longitudinale della monoposto, a seconda delle necessità e delle caratteristiche del circuito da affrontare. Per ottimizzare ulteriormente il bilanciamento del mezzo, Newey fa ricorso a sospensioni contrattive, che consentono alle McLaren si salire sui cordoli, senza scomporsi. Questo cinematismo prevede l’uso di ammortizzatori verticali all’avantreno e un terzo ammortizzatore orizzontale, per controllare il rollio e beccheggio, mentre sull’asse posteriore si conservano le classiche molle elicoidali. Ultimo segreto vincente del progetto MP4/13 il 10 cilindri Mercedes. Per la prima volta nella storia della Formula 1 un motore da Gran Premio (che eroga 800 CV) pesa meno di 100 chili. Il risultato è possibile grazie all’utilizzo di materiali particolarmente sofisticati, come il berillio, che trasformano i propulsori delle Formula 1in motori usa e getta, che non possono più essere revisionati dopo l’impiego in un week-end di gara. Piaccia o meno, questa è la Formula 1 dei Grandi Costruttori.

 

1994: LA TRAGEDIA DI IMOLA 

 

Al termine della stagione 1993, per calmierare le prestazioni delle monoposto “attive”, la FIA modifica i regolamenti e mette al bando ogni forma di aiuto elettronico sulle monoposto, a partire dal controllo della trazione e sospensioni attive. Per contenere il sensibile calo della deportanza, Newey interviene soprattutto sulla conformazione aerodinamica della vettura, progettando un retrotreno innovativo, con triangolo inferiore della sospensione e semiasse contenuti in un unico elemento, assimilabile ad un profilo alare. La guidabilità della Williams FW16 pè critica e lo stesso Ayrton Senna manifesta una certa preoccupazione riguardo alla sicurezza delle snuove monoposto. Parole profetiche, che verranno purtroppo confermate dall’incidente di Imola, che costa la vita al campione brasiliano. Una macchia indelebile nella carriera di Adrian Newey che      nel volume autobiografico “Come costruire una macchina da corsa” scriverà ”…sono stato uno dei responsabili del team che ha disegnato la FW16 e, indipendentemente dal fatto che la colonna dello sterzo sia stata la causa dell’incidente, cosa che non credo, devo ammettere che si trattasse di una pessima modifica.

 

 

 

 

 

Tags: ,


About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



Back to Top ↑