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giovedì 20 Marzo 2025

Alessandro Alunni Bravi: sulle ali della passione

 

Di Carlo Baffi

Quando un sogno diviene realtà. Ripercorriamo la carriera di Alessandro Alunni Bravi, che da bimbo appassionato di motorsport ha raggiunto un ruolo di vertice nell’Alfa Romeo F1 Team Stake.

Il nome “Alfa Romeo”, o il simbolo del “Biscione”, oppure anche il “Quadrifoglio verde”, suscita da sempre particolari sensazioni negli appassionati di automobilismo, in primis quello sportivo. Ricordi indelebili che ci riportano agli anni ’20 con le leggendarie imprese delle rosse costruite a Milano negli stabilimenti del Portello vicino al quartiere della Cagnola. Vetture che hanno dominato la scena fino ai primi anni 50, conquistando le prime due edizioni del neonato Campionato del Mondo di Formula Uno. Tanti mostri sacri si sono succeduti al volante di quei fantastici bolidi, da Antonio Ascari padre di Alberto, al mitico Tazio Nuvolari, per arrivare a Nino Farina ed al pentacampione Juan Manuel Fangio. Dopo un ritorno nel Circus dal 1979 all’85 senza risultati eclatanti, l’Alfa Romeo è tutt’oggi presente in F.1 nella veste di title sponsor della scuderia elvetica Sauber, un accordo comprendente una cooperazione commerciale e tecnologica, ufficializzato nel 2015 da Sergio Marchionne, il numero uno del gruppo FCA scomparso prematuramente nel 2018. Da quest’anno, alla guida del team con sede ad Hinwil nel Cantone Zurigo, insieme al Ceo Andreas Seidl siede Alessandro Alunni Bravi col ruolo di Team Representative, assunto da quando nel dicembre scorso l’ex A.D. e Team Principal Frederic Vasseur è passato alla Ferrari. La brillante avventura di Alunni Bravi, umbro, classe 1974, nasce dalla forte attrazione nei confronti di motori e pistoni manifestata sin dalla giovane età.

“Non è la passione che è nata in me – attacca il manager – è una passione che ho scoperto all’interno della mia famiglia in maniera spontanea ed in un contesto ambientale favorevole. Ho avuto la fortuna di crescere a Passignano sul Trasimeno (Comune in provincia di Perugia) dove si trova la Coloni (la storica scuderia italiana, fondata da Enzo Coloni che ha mietuto successi nelle categorie addestrative e gareggiato anche in F.1), la cui sede era situata a meno di un chilometro da casa mia. Fin da ragazzo ho potuto conoscere il motorsport ad altissimi livelli vivendolo in prima persona e sognando ad occhi aperti. Mio padre è sempre stato un grandissimo amante di corse. Insieme ad un amico acquistò una piccola monoposto, una Formula K 850 che montava il motore della Fiat 850 con mono-cilindro ad un solo carburatore. Nel frattempo però aveva avviato una sua attività aprendo un negozio di riparazione di elettrodomestici e non avendo il tempo di correre vendette la vettura a Coloni che la provò inizialmente sulla salita che da Tuoro porta al Valico dei Gosparini: un tratto che fu sede storica delle prove speciali del Giro d’Italia automobilistico. Enzo cominciò così, passando poi al turismo ed alle monoposto con successo. Nei fine settimana, andavamo con mio papà al vicino circuito di Magione e ciò contribuì in modo determinante ad alimentare il mio interesse per le gare.”

E’ mai sceso in pista?

“Si. Quando ho compiuto 18 anni, insieme a mio padre, provando a correre nel Campionato Italiano Prototipi. Allora, più che per la F.1, nutrivo un grande interesse per le gare endurance. Proprio a Magione uno degli eventi più importanti era la “Pasqua del Pilota” in cui la categoria regina era quella con i prototipi del Gruppo 6 con le Osella motorizzate Bmw. Rammento le sfide molto combattite dei primi anni ’80 tra “Gimax” (al secolo Carlo Virginio Franchi ndr.) , Lella Lombardi, Giorgio Francia e Michele Di Gioia, che avrebbe costruito l’Autodromo del Levante a Binetto, il quale era al volante di una Lola bianca, l’unica tra le tante Osella. Quelle macchine spinte dai 4 cilindri in linea Bmw derivati dai motori della M1 utilizzati anche dalle monoposto di F.2, rappresentavano un contesto impressionante soprattutto per il rumore che producevano. Inoltre seguivo pure le corse in salita organizzate nella nostra regione come la “Gubbio-Madonna della Cima”, piuttosto che la “Salita della Castellana” ad Orvieto; oppure la “San Giustino Bocca Trabaria” e il Passo dello Spino nei pressi di Sansepolcro. Nomi che forse per gli appassionati di oggi, o per quelli che seguono il motorismo ad alto livello diranno poco, ma che per me hanno rappresentato il cosiddetto “humus” di passione che mi ha permesso di coltivare un sogno particolare: quello di unire la mia professione di avvocato in cui mi riconosco tuttora, con l’amore per le competizioni automobilistiche. In quei giorni non avrei mai pensato di raggiungere questo obiettivo.”

Perché?

“Perché dopo la breve esperienza di un anno tra i prototipi iniziai l’università intraprendendo un percorso professionale classico di tutti gli avvocati. Mi laureai in giurisprudenza e feci un praticantato molto serio in uno studio legale che seguiva sia il ramo penale che civile. Inoltre ero assistente alla cattedra di diritto di procedura civile alla facoltà di giurisprudenza di Perugia, oltre che assistente di istituzioni di diritto privato e diritto civile, presso la cattedra di economia e commercio, sempre a Perugia. A tutto questo si sommò la collaborazione con una rivista di diritto civile, redigendo quelle si chiamano note a sentenza. Uno dei miei primi lavori riguardò un famoso verdetto del giudice americano Jackson risalente al 2001, pronunciato sull’abuso di posizione dominante da parte di Microsoft, relativo all’installazione automatica di Internet Explorer in tutti i computer aventi Windows come sistema operativo. Fui il primo a commentarla in Europa e ciò rappresentò un passo significativo nel mio percorso accademico e post-universitario. Insomma una carriera classica il cui destino però è stato deciso da alcuni piccoli dettagli che giorno dopo giorno delinearono un determinato percorso.”

Ce li può indicare?

“Nello studio dell’avvocato Gerardo Gatti dove svolgevo la pratica legale lavorava un collega ed amico, Enrico Rosi Cappellani, il quale era giornalista del settimanale “Autosprint”, per il quale seguiva varie categorie come la Formula Opel Lotus e la Formula Renault. Ricordo che nel ’94 disputai la mia ultima gara nel campionato prototipi e mi ero allontanato dalle piste un po’ dispiaciuto per non aver proseguito l’attività agonistica anche per ragioni economiche. Ebbene fu proprio Cappellani a riportarmi in autodromo chiedendomi di seguirlo, aiutandolo a redigere le classifiche delle gare per poi inviarle via fax in redazione a San Lazzaro di Savena. Ricordo che raccoglievo pure le tante interviste ai piloti nel post-gara e poi le sbobinavo. Quella fu la mia prima gavetta. Mi recavo sui campi di gara senza alcuna pretesa e da lì iniziai a scrivere.”

Su quali testate?

“Per il mensile “Vroom” che trattava il karting, per il quale proposi una rubrica intitolata “Dal kart alla monoposto”, attraverso la quale intendevo approfondire i passi che un giovane doveva affrontare per approdare al professionismo. Dopodichè collaborai con “Paddock” dove seguivo la F.3 italiana e la F.3000 Internazionale, approdando poi a “Rombo” e ad “Autosprint”, per i quali ero inviato al seguito del mondiale di F.1. Però tutto avvenne casualmente, in quanto la mia professione principale era quella di legale che mi garantiva un reddito per non pesare sulla mia famiglia. E col mestiere di giornalista potevo permettermi le vacanze con l’allora fidanzata che in seguito divenne mia moglie. L’obiettivo finale era comunque di crescere professionalmente e di far conoscere in pista il mio ruolo sviluppatosi a poco a poco nel ruolo di consulente legale di piloti e team curandone i contratti sia per la parte sportiva che per quella commerciale nelle sponsorizzazioni. Fortunatamente nel paddock, si innescò un passa parola positivo che mi fece acquisire clienti sempre più importanti anche in ambito internazionale, fino alle società di gestione e di management come la nota “CSS Stellar”ed ai promotori che organizzavano campionati. Furono combinazioni favorevoli che mi fecero entrare nel mondo del motorsport come professionista specializzato, riducendo di conseguenza i miei impegni forensi.”

E fu la svolta?

“I passi successivi mi videro ricoprire il ruolo di team manager per Coloni nella F.3000 Internazionale nel biennio 2002-2003 ed in quella stagione Pasquale Lattuneddu, allora uomo di fiducia di Bernie Ecclestone, mi chiamò per gestire la seconda edizione del Gran Premio di Cagliari della Euro 3000 Series con le annesse gare di supporto. Un’avventura proseguita nei due anni seguenti sempre come general manager del “Rally Italia Sardinia” in Costa Smeralda, unico round italiano del Campionato Mondiale Rally. Uno steap fondamentale che mi mise a contatto innanzitutto con la Federazione Internazionale, con ISC (International Sportsworld Communicator) la società di David Richards, con i costruttori e che aumentò la mia visibilità all’interno del paddock dal momento che ero anche il direttore delle società di Lattuneddu che organizzavano gli eventi. E proprio grazie a queste esperienze nel 2006 ottenni da Ecclestone la “entry” come 13esimo team della Gp2 Series per la Trident Racing, la scuderia di Maurizio Salvadori, il manager di Gianmaria Bruni e del popolare cantante Eros Ramazzotti. Una squadra appena nata in cui occupai la carica di Team Principal e Managing Director. Fu un’altra esperienza basilare che mi diede la possibilità di lavorare per Mauro Sipsz (fondatore della N.Technology ndr.) come consulente legale per quanto concerne la gestione dell’ultimo periodo di vita della Formula Masters. Per due anni e mezzo non mi limitai solo ad un ruolo manageriale, ma pure come liquidatore della categoria in questione. Contemporaneamente operavo anche per la N.Technology, impegnata nel WTCC e che nel 2009 presentò la sua candidatura come 11esima compagine del mondiale F.1, insieme ad altre realtà, approfittando della finestra aperta dall’allora Presidente Fia Max Mosley incentrata sul cost-cap. Non fummo selezionati, però in quella fase entrai in contatto con Nicholas Todt (figlio di Jean, team principal Ferrari e futuro Presidente Fia). Lavorai per la sua società, la All Road Management di Ginevra: furono sei anni molto formativi ed importanti. Gestivamo quattro piloti del Circus, quali Felipe Massa, Pastor Maldonado, James Calado (tester e terzo pilota di Force India) e Jules Bianchi. Curavamo anche l’aspetto legale di altri piloti di F.1 e seguii la nascita della Art Grand Prix come costruttore nel karting che portò all’acquisizione di Birel, il secondo maggior produttore di kart sul mercato ed alla costituzione di Birel-Art. Inoltre come avvocato dell’Automobile Club de l’Ouest curavo la parte contrattuale del campionato WEC (World Endurance Championship di cui Nicholas Todt era l’agente esclusivo) tenendo i rapporti tra l’organizzazione ed i nuovi circuiti come il Bahrain, il Messico ed il Brasile. Conclusa questa esperienza decisi di mettermi in proprio costituendo una mia società di management. I primi clienti furono Christian Lundgaard, Stoffel Vandoorne, Bruni e Robert Kubica che in quel momento aveva concluso l’esperienza nei rally. Fu una bellissima avventura che vide Robert tornare in F.1 dopo tanti anni di assenza e malgrado i postumi del grave incidente subito nel febbraio 2011 (Rally Ronde di Andora in Liguria ndr).”

Ed arriviamo al capitolo Sauber. Come nacque?

“Durante la mia collaborazione con Todt, avevo conosciuto Frederic Vasseur, socio di Nicholas alla ART, il quale mi chiese di seguirlo in Sauber. Iniziai il 1 luglio 2017, dapprima come general counsel e poi come membro del board delle società del gruppo svizzero. Continuai la mia carriera ad Hinwil, due anni fa divenni managing director e con il passaggio di Vasseur alla Ferrari fui nominato team representative in aggiunta ai ruoli precedenti.

Una scalata continua…

Definirei questo mio percorso inusuale, in quanto caratterizzato da molteplici e diverse esperienze, toccando diversi aspetti della gestione di una scuderia. Oggi un team di F.1 si fonda su una struttura molto complessa che conta un organico minimo di 500 persone. Ho sempre operato con umiltà e determinazione, la stessa che in vent’anni di duro tirocinio e lo dico senza arroganza, mi ha permesso di partire da Passignano sul Trasimeno ed arrivare ad Hinwil.”

Se ripercorriamo questa lunga storia, c’è un momento particolare che le ha fatto capire che aveva svoltato?

“Si nel 2006, in occasione del debutto come Team Pincipal di Trident Racing nel campionato GP2. La serie era sorta nel 2005 e prevedeva un numero limitato a 12 squadre. Noi entrammo come tredicesima l’anno dopo. Era la nostra prima stagione in assoluto, i piloti scelti erano l’esperto Bruni e Andreas Zuber, un giovane austriaco di talento. Avevamo costruito un progetto ambizioso in soli due mesi partendo da zero senza aver mai corso in altre categorie ed io non avevo alcuna esperienza come Team Principal. Dopo il primo appuntamento a Valencia, vincemmo gara 2 del round successivo ad Imola con Bruni. In quell’annata ottenemmo tre affermazioni e fummo protagonisti. Li ho capito che quella poteva essere la mia strada, o comunque quella che avrei voluto fare.”

Ed in famiglia come sono stati vissuti i primi anni di questa professione?

“Se dovessi trovare una parola che riassume questi vent’anni, direi con grande pazienza, perché le famiglie di chi lavora nel motorsport fanno grandissimi sacrifici. Mia moglie Annalisa ha mandato avanti la casa da sola, dal momento che io ero sempre molto impegnato nei viaggi. Quando vivevamo ancora nel nostro paese d’origine, io lavoravo a Milano, poi mi trasferii in Sardegna e successivamente a Monte Carlo insieme a Sipsz ed Angelo Codignoni. Ed infine ci siamo spostati insieme a Ginevra. All’inizio c’era ovviamente un po’ di scetticismo tra i parenti, perché avevo una brillante carriera universitaria sia come assistente, sia come collaboratore di uno studio legale importante di Perugia; città con una grande tradizione giuridica. Mi occupavo di cause importanti, visto che Perugia aveva una competenza funzionale su tutti i reati riguardanti i funzionari pubblici e giudiziari del Tribunale di Roma. Per cui da un lato c’era una solida certezza basata su fondamenta quali una laurea, un titolo di avvocato conseguito al primo esame di Stato ed uno studio blasonato. Dall’altro si prospettava un’avventura senza certezze in un mondo difficile da comprendere all’esterno, che pareva un salto nel vuoto dettato dalla passione e non dalla razionalità. Questa situazione con tante incognite, la interpretai sempre come un dovere di dimostrare che avevo intrapreso un percorso lavorativo lungo senza una famiglia alle spalle che vantasse una tradizione nel motorismo. Ed oggi sono un professionista di alto livello che si sta togliendo delle soddisfazioni anche maggiori di quelle che avrei conseguito facendo l’avvocato di provincia.”

Passiamo alla storia recente. Quando nel dicembre scorso Vasseur ha lasciato la Sauber, qual è stata la sua reazione di fronte alla nuova mansione proposta?

“Pensai di non esserne all’altezza, perché ritengo Fred un serio professionista di altissimo livello. Sarei arrogante se dicessi di aver pensato di ricoprire quel ruolo con le stesse capacità, le stesse competenze e la stessa esperienza di Fred. Però Andreas Seidl, la proprietà del gruppo e mi riferisco all’attuale proprietario e ad Audi, mi hanno espresso la loro fiducia affidandomi questa responsabilità. Vidi quindi che alle mie spalle c’erano persone che mi reputavano adatto a coprire quel ruolo e così accettai. Realizzai che quest’anno avrebbe significato molto per una mia ulteriore crescita professionale. Per cui testa bassa e lavoro duro ogni giorno con grande rispetto nei riguardi di tutte le persone che lavorano insieme a me. Sempre animato da quella tenace volontà di fare bene il mio compito.”

Ci descrive il suo ruolo di Team Representative?

“In Formula Uno, come nello sport guardiamo i titoli e pensiamo che questi racchiudano in maniera sommaria o riassuntiva varie funzioni, in realtà dipende molto dalle strutture dei team e dal loro modello organizzativo. Io sono Managing Director e curo varie business functions all’interno del gruppo e nel ruolo di Team Representative ho diverse responsabilità. La prima riguarda la gestione sui campi di gara con il promotore del Campionato di F.1 (Commercial Right Holder), ossia Stefano Domenicali ed il suo gruppo di lavoro. Poi ci sono i rapporti con la Fia relativi alla rappresentanza della squadra, della comunicazione e dei media. Curo i rapporti con la stampa, le televisioni e gli sponsor gestendo la parte commerciale del gruppo. A questo si aggiunge l’attività in pista suddivisa tra tre figure: oltre alla mia, c’è quella di Xevi Pujolar il nostro head of trackside engineering che supervisiona tutta la parte tecnica in pista e quella di Beat Zehnder il nostro sporting director, che si interfaccia con i commissari sportivi e chi governa il regolamento sportivo in gara. Il mio è un ruolo di gestione del team che in alcune squadre è concentrato sotto la figura del Team Principal. Da noi invece è diviso in tre, dove i ruoli sono ben coordinati. Io partecipo a tutti briefing tecnici, ho una relazione quotidiana con i piloti e sono a contatto con i loro managers. Per cui la mia attività ha molteplici sfaccettature all’interno di una struttura che vede tre persone lavorare insieme, dal muretto dei box al resto della scuderia. Infine frequento i “team principal meeting” dov’è presente la Fia, la F.1 ed i team principals delle altre scuderie.”

Come ha vissuto il suo primo Gran Premio in questa sua nuova veste?

“In modo molto normale. Sono sempre riuscito a superare l’aspetto emotivo. Se sei innamorato di questo sport devi in primo luogo abbandonare i panni dell’appassionato per vestire quelli del professionista. Riesco sempre ad avere un approccio freddo, calmo e razionale. Nella prima gara in Bahrain, anticipata dai test collettivi pre-stagionali, non ho vissuto particolari suggestioni, piuttosto avvertivo la responsabilità di iniziare col piede giusto, sia nella mia mansione che come squadra… soprattutto come squadra. L’attenzione e la concentrazione era tutta rivolta alla preparazione del weekend, cercando di gestire al meglio i momenti della gara e dimostrare che eravamo pronti ad affrontare questo campionato. L’unica sensazione particolare l’ho vissuta per pochissimi secondi a Monza mentre mi trovavo sulla griglia di partenza: suonavano l’inno di Mameli e nel cielo volavano le Frecce Tricolori. E’ stato un momento coinvolgente, in cui ho pensato a quando ero ragazzo e guardavo il G.P. d’Italia come il sogno dell’anno. Ovviamente, una volta terminata la cerimonia, l’attenzione è ritornata sull’obiettivo principale, ovvero quello di andare a punti con almeno una delle vetture. Diversamente dalle altre gare, a Monza regnava una tensione maggiore, tutto il team sentiva l’importanza di fare un buon risultato. Nei giorni precedenti avevamo presentato insieme ad Alfa Romeo la nuova “33 Stradale” ad Arese, creando ad hoc una livrea per la nostra monoposto ed in tribuna c’erano i nostri dipendenti. Di conseguenza era fondamentale aprire bene la seconda parte di questo campionato che per noi sarà determinante.”

Mancano sei round alla fine. Ad oggi qual è il bilancio del 2023?

“Finora è stata una stagione al di sotto degli obiettivi che ci eravamo prefissati, è inutile nascondersi dietro a scuse ed alibi. Nel 2022 abbiamo concluso al sesto posto, dopo aver beneficiato di un avvio di campionato molto positivo con quasi il 90% dei punti conseguito nei primi 5 Gran Premi. Poi nell’ultima parte dell’anno abbiamo combattuto faticando. Il nostro target del 2023 era quello di crescere. Finora non siamo riusciti a concretizzare alcune opportunità importanti che si sono presentate a causa di nostri errori e questo ci deve far riflettere e spronare a lavorare ancora più duramente nei prossimi appuntamenti. Dobbiamo aver fiducia nel nostro gruppo di lavoro e nei nostri piloti. Lotteremo con il coltello tra i denti contro Williams, Haas, Alpha Tauri, fino all’ultimo giro dell’ultima corsa ad Abu Dhabi.”

E se guardiamo al 2024, cosa si auspica?

“Se andiamo a vedere, abbiamo finalità parzialmente diverse rispetto alla concorrenza. Da un lato in vista del biennio 2024-25 intendiamo migliorare le nostre prestazioni in pista. Di recente ha iniziato a lavorare ad Hinwil James Key, ex ingegnere McLaren divenuto il nuovo Direttore Tecnico. Abbiamo inoltre dato inizio ad un piano di reclutamento del personale sia sotto un profilo quantitativo che qualitativo in tutti i settori della nostra azienda, con lo scopo che questi tecnici forniscano un contributo immediato al fine di migliorare le nostre prestazioni in ottica 2024 e consolidarle per il 2025. Poi c’è il target più importante relativo al 2026 quando rappresenteremo il team Audi in F.1, producendo sia il motore che il telaio. E’ un challenge avvincente, ma sappiamo che dobbiamo perfezionare la nostra organizzazione espandendola al fine di essere i linea con quelle dei top-team, evolvendo i nostri processi interni ed investendo in tecnologia. Questo è un traguardo ambizioso ed al tempo stesso importante che potrà trasformare una scuderia indipendente in una casa costruttrice sotto un marchio titolato.”

Ha menzionato una livrea speciale. Sia a Zandvoort che a Monza, l’Alfa Romeo è scesa in pista con due grafiche celebrative. Come sono nate queste iniziative?

“Ho sempre prestato una particolare attenzione alla parte grafica delle vetture facendo molta attenzione ai dettagli. Ritengo che una livrea ed altri elementi stilistici di un team come l’abbigliamento ed il merchandising, permettono di avvicinarci ai nostri tifosi e di dialogare con loro attraverso messaggi diversi fornendogli un’idea chiara della nostra identità. Fa parte della comunicazione. L’anno scorso abbiamo lanciato un bellissimo claim per la nostra squadra che è “Get Closer”. Si tratta di una strategia non fine a se stessa, ma è il nostro modo di essere per relazionarci ai supporter e dar loro l’accessibilità a ciò che non è visibile nel mondo della F.1. Le livree rappresentano anche questo, sono un modo di dialogare e di esprimere la nostra personalità. Ogni livrea ha una storia a propria. La filosofia di quella di Zandvoort nasce da una art car realizzata da “Boogie”, un graffiti-artist, il quale ha declinato questo concetto anche su alcuni capi di merchandising, sulle tute dei piloti e tutto il resto inclusa la show-car dipinta dall’artista stesso che sarà messa all’asta attraverso il sito “F1 Authentics”. Il cui ricavato sarà destinato a “Save the Children” che è nostro charity partner. La livrea di Monza aveva invece lo scopo di celebrare la partnership con Alfa Romeo e quelle che sono le caratteristiche distintive che ci uniscono al Biscione ed al Gran Premio d’Italia. Per la Sauber, Monza è considerato un appuntamento speciale vista la vicinanza tra la nostra sede ed un tracciato che per l’Alfa è storicamente la sua casa. Per cui il miglior modo per rappresentare questo matrimonio, era quello di inserire una bandiera tricolore all’interno di una grafica che richiama lo stile italiano nel design e nel fashion. In vista di Las Vegas ed Abu Dhabi ce ne sarà una terza, di cui non svelo nulla, ma che celebrerà i sei anni di partnership con Alfa Romeo, presentando degli elementi distintivi che anticiperanno l’immagine del team per il 2024, in cui ci sarà un nuovo title-partner. Sarà una grafica che conclude una bellissima storia e che ne annuncia una nuova, che spero sia altrettanto avvincente.”

Un’ultima domanda. Ha un sogno nel cassetto?

“Certo, vedere crescere il mio bimbo.”

Magari farà il suo stesso lavoro…

“Spero di no.”

Per quale motivo? Preferirebbe che facesse il pilota?

“Assolutamente no e lui lo sa. Pratica il basket, un bellissimo sport. L’automobilismo può essere affascinante, ma al tempo stesso terribile. Purtroppo nella mia esperienza professionale ho vissuto momenti drammatici con Jules Bianchi e da quel momento non voglio che mio figlio si avvicini all’automobilismo. Può essere interpretato come un ragionamento un po’ egoistico ed infantile, ma sono un papà. Il mio sogno è vederlo crescere e magari se sono ancora qui fra molti anni, avrò la possibilità di fare il nonno e di raccontare tante storie ed aneddoti su questo pazzo mondo della Formula Uno.”

Questa Formula Uno le piace, o cambierebbe qualcosa?

“Mi piace tantissimo.”

 

 

Massimo Campi
Massimo Campihttp://www.motoremotion.it/
Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.

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