Published on Agosto 27th, 2023 | by Massimo Campi
0G.P. d’Italia 1963 – 8 settembre 1963
Di Carlo Baffi
Quando venne fondata nel 1952 da Anthony Colin Bruce Chapman, un 35enne inglese laureato in ingegneria strutturale con la passione per i motori, nessuno si sarebbe immaginato che quell’azienda col nome un po’strano, sarebbe divenuta una leggenda dell’automobilismo. Il suo debutto in Formula Uno ebbe luogo nel ‘58 al Gran Premio di Monaco e da lì iniziò la scalata ai vertici del Circus. Parliamo della Lotus. Dopo tre secondi posti consecutivi nel mondiale costruttori dal 1960 in avanti, la scuderia con sede in un maniero del XV° secolo a Ketteringham Hall nella contea di Norfolk, è divenuta il team di riferimento del mondiale 1963. Ciò grazie ad uno dei tanti colpi di genio in campo tecnico del suo vulcanico fondatore. Nel ’62, Chapman aveva progettato la Lotus 25 costruita sul rivoluzionario telaio monoscocca, permettendo a Jim Clark di contendere il mondiale alla B.R.M. di Graham Hill fino all’ultimo appuntamento. Erano le premesse per la supremazia dell’anno successivo. Malgrado avesse esordito con un ottavo posto a Monte Carlo nella prima gara dell’anno, Clark aveva poi inanellato quattro affermazioni di fila e sbarcava a Monza nella veste di leader della graduatoria piloti con 20 lunghezze di vantaggio sul secondo, John Surtees, driver molto quotato della Ferrari. Idem per quanto concerne il mondiale costruttori, con la Lotus largamente prima rispetto alla B.R.M. ed il Cavallino.
Una stagione ormai segnata, in attesa che l’aritmetica incoronasse Jim Clark. Queste sono dunque le premesse del 34esimo Gran Premio d’Italia, settima prova delle dieci stabilite dal calendario. Ma ad animare i giorni precedenti la corsa è la decisione di variare il tracciato iniziale comprendente lo stradale e l’anello di alta velocità, per un totale di 10 chilometri. Una decisione fulminea, resa pubblica solo il venerdì dopo che gli iscritti hanno girato sull’intero percorso, dettata da sopravvenute complicazioni tecniche. La Commissione Provinciale di Vigilanza non ha dato il benestare per la mancanza di protezioni in alcuni spazi del tratto veloce (si parla di una decina di metri). Questa la motivazione ufficiale. Una grana che sarebbe risolvibile con l’interdizione al pubblico, oppure con la messa in sicurezza in tempi stretti dell’area in questione. Va ricordato che l’Autodromo è stato di recente migliorato in tema di sicurezza con vari lavori. Ad esempio sul rettilineo della finish line, la pista è stata divisa in due da un muretto preceduto da un guard-rail che delimita la zona di decelerazione per le vetture che devono fermarsi ai box. A questo si aggiungano importanti misure di sicurezze proprio a tutela del pubblico per una spesa intorno ai 400 milioni di lire. Detto questo, s’è invece preferito andare in una direzione diversa. In realtà le ragioni sono altre e riguardano il fondo delle curve sopraelevate apparso sensibilmente peggiorato. Le sconnessioni dell’asfalto fanno si che le monoposto siano sottoposte a ripetuti saltellamenti e sollecitazioni, con pericolose conseguenze sulle parti meccaniche. A patire questo fenomeno sono in particolare le scuderie d’oltre Manica ed i loro piloti che sollevano parecchie critiche fino a rifiutarsi di correre sul “banking”. Non a caso qualche giornale d’oltre Manica titola “Bandito il muro della morte!”. L’utilizzo della sola pista stradale non comporta alcuna modifica della distanza complessiva ferma sui 494,500 km, si riduce però quella sul giro singolo (5,75 km), che a sua volta potrebbe condizionare i valori in campo. Per esempio, sarebbe penalizzata la scelta della Ferrari che intende montare sul nuovo autotelaio del modello 64, il collaudato e potente motore V6 a sei cilindri. Un’idea maturata tra i tecnici di Maranello dopo i test svolti sul circuito brianzolo la settimana precedente. A fronte della cancellazione dell’alta velocità le rosse non potrebbero sfruttare tutta la potenza del loro propulsore. Enzo Ferrari, pur potendo imporre la sua volontà (del resto è la corsa di casa), non interviene. Si limita a sottolineare il grave ritardo con cui si è giunti alla risoluzione del problema e che le sue macchine sono competitive su entrambe le piste. Un’indifferenza manifestata anche per voce del direttore sportivo della Rossa Eugenio Dragoni durante il meeting della Commissione Sportiva. Che il “Drake” faccia buon viso a cattivo gioco? Sarà, ma le sue parole trovano conferma nelle prove ufficiali del sabato. John Surtees plurititolato campione delle due ruote passato alle auto, compie una serie di passaggi velocissimi in cui demolisce in modo ufficioso il record del tracciato passando da 1’38”5 a 1’38”, scendendo fino a 1’37”3 alla media di 212,744 di media. Per il Cavallino è la pole! L’anno prima, sempre nelle prove, Clark chiuse il giro sulla Lotus in 1’40”3. Ebbene “Big John” è stato più rapido di ben tre secondi, a riprova che il cocktail tra la versione ’64 e il V6 è azzeccata. Il tutto per la gioia del Commendatore presente in circuito. A detta delle cronache dell’epoca gira raggiante tra i suoi uomini fingendo di non prestare attenzione ai tempi annunciati dallo speaker. Alle spalle del ferrarista si piazza il Campione del Mondo in carica Graham Hill (B.R.M.) col tempo di 1’38”5 davanti a Clark, Ghinter (B.R.M.) e Dan Gurney sulla Brabham-Climax: la scuderia creata nel ’62 dal pilota australiano Jack Brabham. Al sesto posto c’è Lorenzo Bandini sulla seconda Ferrari. Il promettente 28enne emiliano, in forza a Maranello per le gare di durata e come collaudatore, ha già corso in F.1 sotto le insegne del Cavallino nel 1962 ed ha iniziato la stagione ’63 al volante di una B.R.M. della Scuderia Centro-Sud di Mimmo Dei. S’è distinto anche nell’ultimo G.P., quello di Germania segnando il terzo miglior crono in qualifica, per poi ritirarsi a seguito di un incidente. Una corsa in cui la Ferrari ha trionfato con Surtees, ma ha perso Willy Mairesse, il secondo driver, vittima di un pauroso schianto in cui subisce gravi ferite alle braccia. Per cui causa l’indisponibilità del belga, Ferrari promuove Bandini sulla Rossa in vista di Monza. Alle 15:30 della domenica scatta la gara e Surtees non facendosi sorprendere mantiene il comando imponendo un ritmo indiavolato. Nemmeno Clark riesce a tenere quel passo. Il sogno di assistere alla vittoria ferrarista svanisce alla tornata 17 (quando si dice la cabala). Il britannico rallenta, abbandona per un guasto al motore cedendo la testa allo “scozzese volante”, seguito da Hill, Gurney, Ginther, Ireland e Bandini a cui è stata affidata la Ferrari ’63 (il modello utilizzato da Surtees al Nurburgring). Tutte le speranze della Scuderia modenese sono riposte in questo giovane, che dal 30esimo degli 86 passaggi attacca salendo quarto e continua a spingere confidando in un ricongiungimento con il trio dei battistrada. Il pubblico lo sprona con il tifo, finché al 37esimo giro un problema meccanico pone fine alla rimonta di Lorenzo. Uscite di scena le Ferrari, la battaglia si restringe ai primi tre che stanno lottando col coltello fra i denti, scambiandosi la leadership. Clark sempre combattivo, ma al tempo stesso vigile ai suoi interessi di classifica marcia sornione: una tattica che si rivelerà vincente. Al 50esimo giro la nuova B.R.M. a telaio portante di Hill accusa la rottura della frizione finendo ko. E quattordici tornate dopo sarà la volta di Gurney tradito dall’impianto elettrico. Ormai solo al comando, Clark trasforma gli ultimi passaggi in una lunga passerella che non lo conduce soltanto sul gradino più alto del podio, bensì alla sua prima e meritatissima corona iridata. Jim firmerà anche il giro più veloce in 1’38”9. Al posto d’onore chiuderà Richie Ghinter ad 1 minuto e terzo sarà Bruce McLaren sulla Cooper-Climax. Dopo la premiazione Mister Chapman monta a cavalcioni della sua creatura verde-scura sormontata da una striscia gialla sulla parte anteriore. Colin è radioso, con una mano si regge al roll-bar, con l’altra alza il trofeo in segno di vittoria. Al posto di guida siede un sorridente Clark cinto da una vistosa corona di alloro. L’immagine sarà immortalata dai tanti fotografi presenti sul traguardo. A fine anno la Lotus farà suo anche il mondiale costruttori raggiungendo quota 54 e Clark s’imporrà altre due volte facendo salire a 7 i propri successi stagionali. La Brabham è seconda a 36, la B.R.M. terza a 29 e la Ferrari quarta a 26. Il bilancio finale del Cavallino è magro, conta soltanto una vittoria e due podi, ovviamente conseguiti da Surtees. E’ senza dubbio un’annata avara di soddisfazioni, ma va tenuto conto che la Rossa è alle prese con una profonda trasformazione. Tutto è partito dall’ottobre del 1961, quando nonostante la conquista dei titoli piloti e costruttori, Ferrari caccia in una sola giornata i suoi generali, tra cui il progettista Carlo Chiti. Il Commendatore parlerà di una “congiura di palazzo”, a fronte di una lettera galeotta scritta dagli epurati, che mal sopportavano l’assidua presenza in fabbrica ed in pista della signora Laura, moglie del capo supremo. Con il coraggio che lo contraddistingue, Ferrari promuove ai posti di comando le giovani leve di cui fa parte anche Mauro Forghieri, che diviene il responsabile del settore tecnico. Ma non è finita. Due anni dopo, il Cavallino è particolarmente attivo sul fronte commerciale e si profila un accordo con la Ford. Il Commendatore avverte il forte bisogno di appoggiarsi a spalle forti per non soccombere e anche per riprendersi la libertà di potersi occupare solo di corse in virtù del fatto che si è sempre sentito un costruttore e non un industriale. Il matrimonio col colosso dell’automobile americano pare concluso, quand’ecco che Ferrari manda tutto a monte con una sfuriata davanti agli emissari arrivati dagli Stati Uniti. A dar fuoco alle polveri è una clausola del contratto che prevede un’autorizzazione da Detroit qualora le spese superino il budget consentito di 10 mila dollari. A detta del “Drake” con quella cifra si combina ben poco in F.1 e l’attesa di un ok dalla casa madre significherebbe perdere terreno nei confronti della concorrenza. Dopo qualche anno si comprenderà che dietro quel rifiuto improvviso, “Patron Enzo” aveva gettato le basi per l’accordo con la Fiat, che sarà firmato nel giugno del ’69 a Torino. E’ una svolta epocale che proietta Maranello nel futuro. Nel frattempo la metamorfosi aveva dato i suoi frutti. Il mondiale 1964 aveva salutato la conquista sia del titolo piloti con Surtees, che di quello costruttori. Il Cavallino era tornato sul tetto del mondo, sconfiggendo quegli avversari che fino a dodici mesi prima parevano irraggiungibili.