Published on Agosto 25th, 2023 | by Massimo Campi
0G.P. d’Italia 1953 – 13 settembre 1953
Di Carlo Baffi
Quando il Campionato del Mondo di Formula Uno fa tappa a Monza per l’ultima corsa della stagione, il titolo 1953 è già stato assegnato. L’ha conquistato con una gara di anticipo Alberto Ascari, figlio del grande Antonio, campione automobilistico del primo dopoguerra, scomparso in un incidente nel corso di una competizione a Monthlery in Francia nel 1925, mentre pilotava la mitica Alfa Romeo P2. Una macchina schierata dalla scuderia diretta da Enzo Ferrari, che il piccolo Alberto conobbe sin da bambino quando era al seguito del genitore. Ascari, che ha le corse nel Dna, s’è riconfermato Campione al volante della Ferrari 500 F2. Un trionfo andato in scena il 23 agosto sul tracciato stradale di Bremgarten a Berna, dove ha vinto il Gran Premio di Svizzera. Per “Ciccio” come lo chiamano simpaticamente gli addetti ai lavori ed i tifosi, s’è trattato della quinta affermazione stagionale in otto gare disputate. Ha monopolizzato il mondiale grazie anche ad una superiorità schiacciante della sua rossa. Come l’anno prima, a Maranello hanno puntato ancora sulla 500 F2, la vettura spinta da un motore 4 cilindri in linea da 1984,85 cm cubi, caldeggiato dall’ingegner Aurelio Lampredi. Aveva fatto il suo debutto nel G.P. di Modena nel settembre del ’51 ed aveva subito trovato il successo proprio con il milanese. La classifica piloti vede Ascari primo con 34,5 punti, Farina (suo compagno in Ferrari) a 24 e Juan Manuel Fangio (Maserati) a 20,5. Quest’ultimo, campione nel 1951, è reduce dalla vittoriosa partecipazione al 1° Gran Premio Supercortemaggiore svoltosi sul circuito di Merano, a bordo dell’Alfa Romeo “disco volante”. Il 24° Gran Premio d’Italia oltre ad archiviare la stagione, segna la fine del regolamento tecnico della Formula 2 applicato in Formula 1. Una scelta introdotta nel 1947 per spronare i costruttori a realizzare motori da corsa aspirati che ha favorito il trionfo dei 4 cilindri. Chiusa un’era se ne apre una nuova e dal ‘54 sarebbero entrati in vigore propulsori da 2500 centimetri cubi di cilindrata. Malgrado il campionato sia virtualmente finito, il G.P. italiano conserva sempre un suo fascino, anche perché ripropone l’ennesimo capitolo del derby modenese tra Ferrari e Maserati. Inizialmente si paventa una defezione del marchio col Tridente, ma alla fine il proprietario Adolfo Orsi torna sui propri passi assicurando la presenza delle sue vetture, malgrado non sia in grado di schierare il nuovo modello. Nelle prove ufficiali del venerdì, sotto un cielo che via via va rasserenandosi, Ascari è il più rapido, seguito da Farina, Fangio il cui tempo è stato eguagliato da Gigi Villoresi e dalla quarta rossa di Mike Hawthorn. La seconda sessione del sabato è nuovamente testimone del confronto tra il neo iridato e Fangio. A spuntarla è “Ciccio” girando in 2’02”7 contro il 2’03”2 dell’argentino, terzo è Farina con 2’08”9 che chiude la prima fila. Subito dietro al terzetto scatteranno Marimon (Maserati), Villoresi e Hawthorn: due Maserati nella morsa di quattro Ferrari. Poco prima della chiusura delle prove, Fangio è protagonista di un brutto incidente mentre si accingeva ad affrontare la Curva Grande posta al termine del rettilineo. Lanciato a circa 180 km/h (6500 giri), per l’esplosione della gomma posteriore sinistra montata male, la sua Maserati sbanda mettendosi di traverso e dopo un testa coda s ferma ai bordi della pista. Fortuna vuole che in quel frangente non sopraggiungessero altre vetture ed il sudamericano se la cava con un grande spavento. La domenica, prima della partenza del Gran Premio fissata per le ore 15, che sarà data dall’Onorevole Giulio Andreotti, Segretario del Consiglio del Ministri, è d’obbligo la commemorazione di Tazio Nuvolari, il mitico “Mantovano Volante” spentosi un mese prima nella sua casa dopo una lunga malattia. Un momento toccante che tutto l’Autodromo segue in un profondo silenzio. Il poleman gode dei favori del pronostico e l’esito della sfida appare scontato. Ma la gara da disputarsi sulla distanza di 504 chilometri (80 giri) regalerà emozioni appena sin dallo start. Ascari e Farina sono lestissimi a scattare, mentre Fangio esita e viene sopravanzato dal connazionale Onofre “Pinocho” Marimon, che transita secondo al termine del primo passaggio. Fangio si ripiglia aggiungendosi al terzetto di testa, dove i concorrenti sono raggruppati in una decina di metri. Più distanti li seguono Moss, Villoresi, Hawthorn e Trintignant. Ascari cerca di allungare, mentre alle sue spalle è piena bagarre con Farina che dopo esser tornato secondo, arretrata quarto superato anche da Fangio. Allora l’iridato del ’50 sfodera l’orgoglio ed alla decima tornata è primo, Ascari non ci sta e i due si scambieranno la leadership nelle tornate successive. Intanto gli argentini non demordono, si fanno sotto e Fangio diventa una delle principali insidie per Ascari. E’ un susseguirsi di sorpassi sul filo dei 250 all’ora, per l’entusiasmo dei tanti spettatori presenti sulle tribune. Al giro 39 Ascari, Fangio e Farina transitano addirittura in linea sul traguardo. Proprio uno spettacolo degno del “Tempio della Velocità”. Al 46esimo passaggio, la gara perde uno dei suoi principali protagonisti, è Marimon, il trent’enne allievo di Fangio, costretto a tornare ai box per riparare il radiatore dell’olio colpito da un corpo estraneo: una sosta di circa 6 minuti in cui approfitta per sostituire le ruote posteriori prima di ritornare in battaglia, seppur ampiamente attardato. Superata abbondantemente la metà della corsa, il ritmo inizia a calare. Il trio di testa avendo doppiato tutti i rivali, inizia a salvaguardare la meccanica delle auto, in particolar modo l’impianto frenante. E’ ovvio che la vittoria si deciderà in uno sprint finale tra questi tre grossi calibri, tutti Campioni del Mondo. Si arriva così all’ultima tornata. In prossimità dell’ultima curva, dagli spalti posti sulla finish-line si scorge una nuvola di polvere da cui sbuca la Maserati di Fangio seguita dalla Ferrari di Farina ad un centinaio di metri. Manca Ascari! Che gli sarà mai accaduto? Il ferrarista, dopo aver infilato il capofila Farina sul rettifilo opposto al rettilineo d’arrivo, ha affrontato deciso la Curva del Porfido (l’attuale Parabolica), ma trovatosi davanti il doppiato Marimon ha frenato bruscamente, manovra che su un asfalto reso scivoloso dai detriti, ha causato una sbandata della Rossa verso l’esterno. Farina subito dietro, e stato abilissimo ad evitare istintivamente la collisione dirigendosi sul prato e nel frattempo Marimon urtava Ascari: gara conclusa per entrambi. Una situazione rocambolesca che ha finito per favorire Fangio, il terzo incomodo:” Vidi tutta la scena da poco più di tre metri – racconterà Juan Manuel – Mi aggrappai al volante e strinsi disperatamente alla mia destra, all’interno della curva mentre davanti a noi si profilavano minacciose altre macchine più lente. Non so ancora come trovai un pertugio per superare quel groviglio, mentre il testa-coda di Farina sollevava una coltre di polvere. Filai veloce verso il traguardo inseguito da Farina rientrato in pista per miracolo.” Secondo è Nino, terzo Villoresi, a seguire Hawthorn e Trintignant. C’era pure una particolare attenzione per altri due portacolori di Maranello, sono Alberto Maglioli e Piero Carini, partiti dalle retrovie. Ai due è stata affidata la nuova Ferrari 553F2; ma se il primo si piazza ottavo, il secondo si ritira. La Maserati coglie così il suo primo successo stagionale e primo della sua avventura nella categoria regina. Mentre il 42enne fuoriclasse di Balcarce torna sul gradino più alto del podio rompendo un digiuno di quasi due anni. ” Difficilmente sarei riuscito a spuntarla con avversari di quel calibro – ammetterà Fangio tempo dopo – Ma la fortuna, quel giorno, rimase al mio fianco dopo avermi sbattuto la porta in faccia per tanti mesi.” Per “el Chueco” sarebbe stato il viatico verso la marcia trionfale del ’54, cominciata dapprima sulla la 250F del Tridente imponendosi in patria ed in Belgio. E proseguita poi (dal G.P. di Francia) sulla Mercedes W196 con la quale avrebbe ucciso il campionato totalizzando 6 affermazioni in 9 gare. Dunque un epilogo sfortunato per Ascari il quale avrebbe certamente voluto festeggiare il titolo in modo diverso. “Non avevo mai perso una gara negli ultimi metri – rivelerà Alberto – è una cosa che scotta, specie se penso di aver guidato la corsa negli ultimi 27 giri e prima per altri 32. Ma in quella curva c’era dell’olio o qualcos’altro che mi ha fatto sbandare.” Parole dalle quali emerge che la causa non fu solo la presenza di Marimon. Di certo “Cicco” non fu assistito dalla buona sorte, d’altronde quel giorno di settembre era il 13 ed il destino gli giocò un brutto scherzo proprio sul circuito di casa con cui aveva un rapporto particolare. Monza infatti avrebbe segnato la carriera di questo mostro sacro nel bene e nel male. Al termine quell’annata gloriosa, proprio quando il duo Ferrari-Ascari era un binomio invincibile ed indissolubile, arrivò il divorzio.
Di fronte all’offerta di circa 25 milioni di lire (elevabili a 30) all’anno per il biennio ’54-’55, Ascari sceglierà la Lancia, ma i risultati tradiranno le sue grandi aspettative. Il suo unico acuto sarà la vittoria nella 21^ Mille Miglia con la Lancia D24. Nel 1955 potrà finalmente pilotare la sospirata D50, ma dopo il ritiro al debutto in Argentina, Alberto sarà protagonista di un terribile volo in mare nel Gran Premio di Monte Carlo, mentre era primo ad una ventina di tornate dal termine. Guarda caso, il suo numero di gara era il 26, il doppio di tredici. Se la cavò con una frattura del setto nasale, contusioni varie e rientrò a Milano dopo esser stato dimesso dall’ospedale monegasco. Ma il destino era in agguato. Quattro giorni dopo, il “26” maggio, “Ciccio” perderà la vita nella sua Monza, in uno schianto alla Curva del Vialone (oggi variante Ascari) mentre era al volante di una Ferrari Sport 750 Monza del collega Eugenio Castellotti. Aveva chiesto di fare qualche giro, giusto per riprendere confidenza con la pista dopo lo spavento corso a Monaco. Nessuno avrebbe mai pensato che quelle tre tornate gli sarebbero state fatali. I motivi di quello schianto rimarrano sempre poco chiari, tante ipotesi e nessuna verità. Una tragedia avvolta nel mistero che si coniuga con un altro elemento, la superstizione. Una fisima mai nascosta da Ascari. Egli aveva una precisione maniacale per l’abbigliamento indossato durante le competizioni: stesse scarpe, pantaloni, maglietta azzurra fino all’inseparabile casco, pure questo di colore azzurro. Il giorno del dramma si fece prestare il casco, i guanti e gli occhiali da Castellotti, una decisione decisamente insolita che impressionò chi stava in pit-lane. Provava una forte avversione per il sale, i gatti neri e certi numeri, tra cui il fatidico 13. Se si contano le lettere che compongono “Alberto Ascari”, vediamo che sono proprio 13, così come quelle che formano “Antonio Ascari”. Senza contare che Alberto nacque il 13 luglio e morì il 26. Il suo fraterno amico Gigi Villoresi, presente in quella triste giornata monzese, dichiarerà di aver cercato di dissuadere Alberto a recarsi ai box, temendo di vederlo scendere in pista. Una premonizione? Chissà… Villoresi, racconterà inoltre che durante i primi mesi del ’55, “Ciccio” soleva ripetere: “sono trent’anni che mio padre non c’è più, io quest’anno non lo passo.” Alberto morì il medesimo giorno del padre ed alla stessa età di 37 anni. Coincidenze inquietanti.