Personaggi

Published on Febbraio 8th, 2023 | by Massimo Campi

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Jean Pierre Jabouille, “Monsieur Turbo”.

 

Testo ed illustrazione di Carlo Baffi – Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto – Massimo Campi

Ripercorriamo la carriera del pilota francese che portò al debutto la Renault in F.1 e che condusse gran parte dell’evoluzione del propulsore sovralimentato della Règie.

Ebbe l’onore di aver firmato il primo successo di una vettura spinta da un motore turbo in Formula Uno, la Renault. Era il 1 luglio 1979 a  Digione sede del Gran Premio di Francia, nonché la corsa di casa per il popolare costruttore francese e pure per il pilota in questione. Parliamo di Jean Pierre Jabouille, parigino nato il 1 ottobre 1942, che ci ha lasciato il 2 febbraio scorso all’età di ottant’anni, mentre era ricoverato in una clinica d’oltralpe. Il suo fu un risultato storico, che paradossalmente passò in secondo piano complice il duello leggendario tra la Ferrari di Gilles Villeneuve e la Renault di Renè Arnoux che animò i giri finali. I due (che erano grandi amici) fecero il diavolo a quattro per aggiudicarsi il secondo posto e nel dopo-gara l’attenzione dei media fu tutta per loro. Negli anni a venire, tutti si sarebbero ricordati di quella battaglia e non della prima vittoria di un propulsore sovralimentato. Quasi una beffa per Jabouille, il quale non riuscì mai a capacitarsi di questo fatto che lo contrariò parecchio, al punto da tenere il broncio per qualche mese, come rivelò Arnoux. Il lunedì successivo, l’Equipe pubblicò in copertina l’immagine del vincitore titolandola “Renault: le triomphe historique”, ma l’interesse dei lettori si concentrò sull’ultima pagina in cui compariva la sequenza fotografica dei sorpassi tra Gilles e Renè.

Eppure Jabouille aveva strameritato di salire sul gradino più alto del podio. Partito dalla pole al fianco del compagno Arnoux, venne fulminato alla prima curva dalla 312T4 di Villeneuve, ma non si perse d’animo e lo lasciò sfogare. Non dimentichiamoci che la rossa era molto efficace su tutti i tracciati, tant’è che avrebbe conquistato il mondiale piloti con Jody Scheckter e pure quello costruttori. Il francese mise in atto la sua strategia rifacendosi sotto e dopo un sorpasso andato a vuoto complice un doppiato, infilò il leader alla 44esima tornata delle 80 previste, sfruttando tutta la potenza del turbo 1500. Una manovra compiuta sulla finish line e salutata da un boato del pubblico locale. “Alla partenza – raccontò il vincitore – ho fatto un po’ pattinare le ruote e Villeneuve mi ha sorpreso. Quando l’ho visto andare in testa, ho capito che avrei dovuto attendere senza aver fretta, Villeneuve avrebbe lamentato un problema di gomme ed è quello che poi è successo. Avrei potuto attaccarlo subito, ma non avrei finito la corsa.” Jabouille temeva anche un calo fisico per via della gestione di una macchina potente come la RS02 su una pista assai impegnativa, tant’è che uscito dall’abitacolo lamentava dolori alla gamba destra per lo sforzo esercitato sul pedale del freno. Ma poco importava alla luce del risultato ottenuto, che per il direttore generale della Regie, Bernard Hanon, valeva quanto un titolo mondiale.

L’impresa ripagava tutto il team dopo tre anni di duri sacrifici (26 gare in cui non erano mancati i momenti difficili) e notevoli investimenti sul progetto del turbo compressore, ritenuto dai tecnici Renault, la nuova frontiera del motorsport. Era la prima affermazione nella massima serie del costruttore d’oltralpe e dello stesso Jabouille che poteva così scrollarsi di dosso una scomoda etichetta che lo considerava soltanto un buon collaudatore. Un salto di qualità per quel parigino molto colto, figlio di un architetto, che nel tempo libero amava dipingere quadri. Un’iniezione di fiducia che gli permetteva di essere ottimista già sull’immediato futuro, ovvero il G.P. di Gran Bretagna a Silverstone:”…avversari permettendo, sulla veloce pista inglese, le nostre macchine dovrebbero essere favorite.” Invece andò diversamente e l’avrebbe spuntata la Williams-Cosworth con Clay Regazzoni, confermandosi come nuova forza emergente. Jabouille finì ko per l’ennesimo cedimento del turbo, a differenza di Arnoux che giunse secondo. Al termine di quella stagione che salutò la Ferrari campione, la Renault chiuse solo sesta con Arnoux nono e Jabouille tredicesimo, tra i piloti. Nei 15 appuntamenti in calendario, malgrado le 4 pole, Jean Pierre si ritirò ben dieci volte andando a punti solo a Digione.

A Long Beach non partì nemmeno causa uno schianto contro le barriere ad oltre 250 km/h avvenuto durante le prove libere in cui si procurò una lussazione al braccio. A provocare l’uscita di pista fu un cedimento meccanico, segno di una persistente fragilità dell’auto, che spiega un bilancio finale alquanto parco. Non a caso la Renault di quegli anni venne ribattezzata ironicamente “The yellow theapot”, ovvero la teiera gialla, sia per il colore della livrea, che per le enormi fumate bianche provocate dalle rotture del turbo che caratterizzarono le performances della monoposto fin dall’esordio avvenuto il 14 luglio 1977 a Silverstone. Col tempo il quadro della situazione migliorò un poco, ma senza un vero e proprio salto di qualità. Si consideri che il primo turbo a conquistare l’iride in F.1 sarebbe stato quello costruito dalla BMW, che nel 1983 portò al titolo Nelson Piquet sulla Brabham.

Nel 1980, la Renault fu la quarta forza del mondiale e Jabouille concluse ottavo (preceduto da Arnoux sesto), ma continuando ad essere perseguitato dai ritiri: ben 11 su 14 G.P. L’unica gioia si registrò in Austria il 17 agosto. Pure in quell’occasione, le Renault monopolizzarono la prima fila favorite dall’altitudine del circuito di Zeltweg, situato tra i monti della Stiria: fattore che esaltava la potenza del turbo. Beffate al via dallo scatto bruciante di Alan Jones sulla Williams (dominatore assoluto del campionato), i due transalpini lasciarono inizialmente spazio all’australiano cercando di salvaguardare i propri pneumatici, per poi sferrare successivamente l’assalto. Una volta davanti ed accumulato un vantaggio di 6”, amministrarono la gara con Renè davanti a Jean Pierre chiamato a coprire le spalle al capofila. L’obiettivo era quello di non compromettere l’affidabilità, ma ecco che al 21esimo dei 54 giri previsti, Arnoux si vide costretto a cambiare le gomme, spalancando la strada del successo al compagno. Anch’egli in crisi con le sue Michelin (era ormai sulle tele), grazie al proprio talento riuscì a concludere il Gran Premio, rompendo così un lungo digiuno. Jabouille non vedeva la bandiera a scacchi da Digione dell’anno prima. Un calcio alla sfortuna che ormai stava perfino minando la fiducia in se stesso. ”Ho fatto tutta la gara cercando di risparmiare le gomme – spiegava il francese –  specialmente quando ho visto Renè fermarsi a sostituirle. A 20 giri dalla fine pensavo proprio di non farcela, gli pneumatici erano al limite e temevo che potessero esplodere nelle lunghe curve con appoggio costante. Per problemi sulle anteriori, mettevo la vettura di traverso in entrata e poi acceleravo con le ruote dritte per evitare l’appoggio sulla gomma anteriore sinistra.

Era quasi impossibile continuare. Ho quindi diminuito il ritmo, ma quando Jones s’è fatto pericoloso negli ultimi tre giri ho guidato al massimo. Ancora due passaggi ed Alan mi avrebbe superato.” E circa il trend negativo, Jean Pierre sottolineava di non credere alla malasorte: “… i guasti che ho avuto finora avevano una spiegazione logica. Ho comunque sempre nutrito fiducia nella squadra e nel turbo. Resterò alla Renault anche la prossima stagione, col preciso obiettivo di vincere il mondiale.” Un atteggiamento positivo che malauguratamente non trovo le sperate conferme dalla pista, anzi. I guai culminarono nel Gran Premio del Canada, penultima prova in calendario. Era il 28 settembre, la corsa aveva già vissuto attimi di paura dopo una carambola allo start, quando alla 26esima tornata, Jabouille impattò contro le file di gomme posizionate davanti alle barriere. Il pilota restò imprigionato tra le lamiere e ci vollero oltre trenta minuti per estrarlo dalla Renault, dopodichè venne trasportato nell’ospedale di Montreal, dove gli venne riscontrata una duplice frattura alla gamba destra. Una sotto il ginocchio con lesione dei legamenti e l’altra alla tibia. All’origine dell’improvvista uscita di pista, si fecero due ipotesi: dal cedimento di una sospensione, alla rottura del braccio dello sterzo. L’infortunio tenne bloccato Jean Pierre per circa tre mesi e segnò inevitabilmente il prosieguo della sua avventura nel Circus. Lasciò la Règie, rinunciando così al sogno iridato in giallo, ma anche per il marchio transalpino la sorte non fu migliore. Jabouille si ripresentò in pista con la Ligier nell’aprile del 1981 per il G.P. d’Argentina in cui non si qualificò, così come a Monte Carlo. Non si classificò ad Imola, si ritirò a Zolder ed a Jarama dove fu appiedato da un guasto ai freni dopo 51 degli 80 giri previsti. La sua avventura in Formula Uno era così giunta al capolinea. In 49 Gran Premi, aveva ottenuto sei pole positions e solo due podi che coincidevano con i due successi. Un bottino che di sicuro non rendeva merito a questo driver le cui doti erano indiscutibili; si sa però che il destino non è sempre magnanimo. La promettente carriera di Jabouille, era cominciata nel ’66 con la Coppa Renault Gordini, per proseguire sia con le monoposto che con le vetture a ruote coperte. Mentre si cimentava nell’Europeo di F.2, aveva cercato di esordire nella massima categoria nel G.P. di Francia del luglio 1974 al volante di una Iso Marlboro motorizzata Cosworth, ma non si qualificò. Se in quella circostanza, Digione non gli fu amica, l’avrebbe ripagato ampiamente cinque anni dopo. Sempre sulla stessa vettura ritentò senza fortuna il mese successivo in Austria e guarda caso pure Zeltweg, l’avrebbe reso felice in seguito, in occasione del suo secondo trionfo. Il suo esordio nel mondiale ebbe finalmente luogo nel ’75 a Le Castellet su una Tyrrell-Cosworth dove da 21esimo si piazzò 12°.

L’anno dopo, Jabouille conquistò il titolo in F.2 e si mise in luce nella mitica “24 Ore di Le Mans”, a bordo della Renault Alpine A442 numero 19 siglando pole e giro veloce. E fu proprio allora che i vertici della Règie apprezzarono le qualità di qiesto pilota non più in erba, ma esperto grazie anche ad una laurea conseguita in ingegneria. Venne quindi scelto per portare avanti il programma F.1 concentrato sull’innovativo motore sovralimentato. Peccato che questa grande chance non raggiunse i traguardi prefissati. Lasciato il Circus, Jabouille si cimentò nelle gare endurance risultando nuovamente protagonista nella maratona della Sarthe, dapprima con la Sauber-Mercedes e poi con la Peugeot finendo a podio e scattando dalla pole. Appeso definitivamente il casco al fatidico chiodo, Jabouille ricoprì il ruolo dirigenziale per la casa del leone sostituendo Jean Todt, l’amico che a Digione l’aveva accolto nel parco chiuso congratulandosi per la vittoria. In veste di manager lavorò intensamente per l’ingresso di Peugeot in F.1 come motorista della McLaren. Una volta ritiratosi a vita privata, non mancò di varcare i cancelli del paddock richiamato dalla passione per carburatori e pistoni. In occasione del Gran Premio di Francia del 2019 al Paul Ricard, Jabouille si esibì a quarant’anni di distanza dal grande exploit sulla cara RS02 per la gioia del folto pubblico presente. Un bagno di folla che rappresentò un meritato tributo ad un pilota pioniere (come lo definì “L’Equipe”), il quale contribuì ad aprire le porte di una nuova era della Formula Uno.

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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