Published on Gennaio 24th, 2023 | by Massimo Campi
020 anni fa ci lasciava l’Avvocato Agnelli
Testo ed illustrazione di Carlo Baffi – Immagini ©Massimo Campi
Sono trascorsi già due decenni dalla morte dell’uomo, divenuto grazie al suo carisma il faro della Fiat, della Juventus e della Ferrari.
Era la mattina del 24 gennaio 2003, un venerdì, quando si diffuse la notizia della scomparsa di Giovanni Agnelli, meglio conosciuto come Gianni, o più comunemente come “l’Avvocato”. All’età di 81 anni, si spense nella sua dimora di Torino dopo una lunga malattia. Parliamo di una figura carismatica a livello internazionale nel mondo economico, politico ed anche sportivo. Il suo nome era indissolubilmente legato alla Fiat fondata dal nonno, il Senatore Giovanni Agnelli nel 1899. L’Avvocato aveva preso il timone della casa automobilistica torinese nel ’66 dall’allora Presidente Vittorio Valletta, ormai ultraottantenne e da li in poi si occupò in prima persona della gestione societaria. Ma Agnelli divenne pure un personaggio di riferimento nello sport grazie alle sue due grandi passioni, la Juventus e la Ferrari. Passioni dominanti, alle quali si aggiungevano la vela e lo sci. Se l’amore per la Zebra venne ereditato dal padre Edoardo, mancato prematuramente quando Giovanni aveva solo 14 anni, l’attrazione per il Cavallino Rampante prese corpo sul finire degli anni ’60. Per la precisione domenica 22 giugno 1969, quando durante il fine settimana del G.P. d’Olanda, sui maggiori quotidiani comparve la notizia del raggiunto accordo tra Fiat e Ferrari. Il comunicato, stilato il giorno prima, recitava testualmente:” In seguito all’incontro del Presidente della Fiat, Gianni Agnelli con l’ingegner Enzo Ferrari, è stato deciso nel preminente intento di assicurare alla Ferrari Automobili continuità e sviluppo e che il rapporto di collaborazione tecnica in atto con la Fiat si trasformerà entro l’anno in partecipazione paritetica.” L’impegno del costruttore piemontese era del 50%, la gestione del reparto corse rimaneva nelle mani di Ferrari, mentre la parte industriale passava alla Fiat il cui obiettivo era quello di potenziare la produzione e la distribuzione delle berlinette Ferrari e delle Dino 246. Per il “Drake” era il raggiungimento di un importante obiettivo, che garantiva stabilita economica e grandi prospettive future per la sua fabbrica. Già dai primi anni ’60, con la Ferrari divenuta un’icona vincente dell’automobilismo mondiale, il Grande Vecchio guardava molto avanti cercando di consolidare la sua posizione sul mercato. La produzione di auto stradali richiedeva l’impiego di grossi capitali e per un piccolo costruttore di provincia come lui era inevitabile appoggiarsi a spalle forti per non soccombere e potersi così occupare solo di corse, la sua vera vocazione. Ferrari iniziò così a flirtare con la Ford, ma dopo laboriose trattative l’affare sfumò quando era giunto in dirittura d’arrivo. A Torino però qualcuno non era rimasto insensibile ai messaggi lanciati dal “Drake”: era per l’appunto l’Avvocato. Nel gennaio del 1965, Gaudenzio Bono presidente della Fiat, si recò in visita a Maranello gettando le premesse del futuro matrimonio. Del resto Agnelli non aveva mai nascosto un’ammirazione per il Grande Vecchio:” …ogni volta che lo incontro mi è di stimolo, di incoraggiamento e addirittura di conforto nel vedere che a novant’anni si può ancora essere in gamba come lui.” La riunione tra i due ebbe luogo poco prima di Natale e Ferrari ribadì la volontà di avere campo libero nel settore sportivo, un punto sul quale il “Signor Fiat” si trovò d’accordo. Il dado era tratto. Fecero seguito incontri con i vertici delle due società e ad aprile il contratto venne praticamente stilato. Il 18 giugno 1969, Ferrari si mise al volante di una 330 beige e si diresse a Torino. Insieme a lui c’era l’autista Dino Tagliazzucchi, che però si limitò al ruolo di passeggero. Una volta arrivato in Corso Marconi, Ferrari raggiunse l’ufficio di Agnelli salendo a piedi ben otto piani, dato il suo pessimo rapporto con gli ascensori. Secondo la stampa dell’epoca, la cifra sborsata dalla Fiat orbitava intorno ai 2 miliardi e 150 milioni di lire. Le clausole avrebbero previsto inoltre che il 50% detenuto da Ferrari sarebbe stato acquistato per il 40% dalla Fiat alla morte del Commendatore, mentre il restante 10% sarebbe andato in eredità al figlio Piero (il primogenito Dino, era scomparso nel ’56). Per Ferrari era una sorta di rivincita sul passato. Quando aveva vent’anni s’era recato proprio nel capoluogo sabaudo per chiedere alla Fiat di essere assunto, ma gli venne risposto picche.
Archiviato quel brutto ricordo, Ferrari aveva aperto un nuovo capitolo nella storia del Cavallino, i cui frutti si sarebbero visti negli anni a venire. Nel 1974 a Maranello prese corpo una rivoluzione copernicana che concentrò l’attività sportiva sul mondiale di F.1. L’ultimo titolo piloti risaliva al 1964 con l’inglese John Surtees. Il ruolo di Direttore Sportivo fu affidato a Luca di Montezemolo, un giovane manager molto vicino alla famiglia Agnelli. In quella stagione la Rossa tornò ai piani alti del Circus sfiorando il mondiale con Clay Regazzoni e dall’anno dopo ebbe inizio l’epopea trionfale delle monoposto della serie T, progettate da Mauro Forghieri con cui Niki Lauda e Jody Scheckter si laurearono Campioni del Mondo (due l’austriaco ed una il sudafricano). In occasione del titolo di Lauda nel ’75, l’Avvocato parlò di un successo dell’industria italiana nel mondo e sottolineò:” Per noi la Ferrari è un fatto soprattutto sentimentale, se le siamo vicini oggi è perché abbiamo sempre creduto in ciò che significava questo nome per la tradizione automobilistica italiana. L’ingegner Ferrari ha avuto fiducia in noi e noi in lui anche nei momenti meno felici.” E purtroppo gli anni difficili sarebbero ritornati e durati a lungo. Dal 1980 e buona parte degli anni ’90, la Ferrari andò incontro ad un periodo alquanto parco di soddisfazioni. Nel 1982 la 126C2 era molto competitiva tant’è che vinse il mondiale costruttori, ma un crudele destino si accanì contro i piloti del Cavallino. Gilles Villeneuve perse tragicamente la vita nelle prove del G.P. del Belgio a Zolder e Didier Pironì fu vittima di un tremendo incidente alla vigilia del G.P. di Germania ad Hockenheim che gli stroncò la carriera. Nel frattempo la vecchiaia minava sempre più la salute del Drake che seppur combattivo non aveva più lo smalto dei tempi migliori. Con la morte del “Grande Vecchio” avvenuta il 14 agosto del 1988 a Modena, l’assetto dell’azienda cambiò inequivocabilmente. La Fiat acquisì l’88% della Ferrari ed entrò nella gestione del reparto corse. Agnelli era ben consapevole che occorreva risollevare le sorti di una leggenda che non poteva certo finire. Ecco quindi che il 15 novembre del ’91, dopo un consiglio di amministrazione straordinario, Luca di Montezemolo tornò a Maranello con pieni poteri al posto del Presidente Piero Fusaro.
Un ribaltone necessario per assicurare a Torino un peso maggiore nella gestione della società. Seppur non semplice, era una grande chance per Montezemolo che ritornava alla corte della Rossa dopo 18 anni. Aveva abbandonato la carica di vice-presidente esecutivo della Juventus per rientrare a Maranello dove era iniziata la sua carriera di dirigente. Ed in quella circostanza, Agnelli rilasciò una battuta carica della sua originale ironia:” Vedremo cosa Luca saprà fare da grande.” E Luca ebbe poi modo di dimostrarlo. Il cammino non fu facile, ma a poco a poco iniziò a vedersi la luce in fondo al tunnel. Nel 1992 venne ingaggiato Jean Todt come responsabile del settore sportivo, uomo pragmatico e grande organizzatore. Ma per il salto di qualità occorreva anche un pilota con la “P” maiuscola. Non erano mancati i contatti con Ayrton Senna, che fu molto vicino a firmare il contratto propostogli dall’allora Direttore Sportivo Cesare Fiorio. Al volante della rossa c’era però Alain Prost nemico giurato di Ayrton, che dopo essersi alleato con Fusaro fece intervenire lo stesso Agnelli e l’intesa saltò. I colloqui erano però proseguiti tra Montezemolo ed il paulista, che si diceva orgoglioso di salire su una Rossa, a patto di vincere subito. Condizione assai improbabile che lo indusse a prendere tempo. Poi arrivò il dramma del 1 maggio ad Imola che cambiò le prospettive. Finchè nella primavera del ’95, durante una cena con l’Avvocato, Montezemolo fece il nome di Michael Schumacher. Ovvero l’astro nascente della F.1 del dopo Senna, fresco campione del mondo con la Benetton. Todt aveva già incontrato segretamente il tedesco il quale s’era detto disponibile a cambiare scuderia. Era in scadenza di contratto con la scuderia anglo-italiana e l’avventura col Cavallino poteva rappresentare l grande svolta. Certo il compito era tutt’altro che facile. I tanti sacrifici sarebbero stati ricompensati da un ingaggio record, che però necessitava dell’approvazione di Agnelli. La cifra si aggirava intorno ai 40 miliardi all’anno delle vecchie lire per due stagioni. Non a caso ad affare concluso l’Avvocato avrebbe commentato con sarcasmo:” Non ci è certo costato un tozzo di pane.” Superate le perplessità, la trattativa proseguì sino al suo compimento e a darne l’annuncio fu proprio Agnelli, giovedì 10 agosto 1995. Mentre sul circuito dell’Hungaroring stava per iniziare la tre giorni del Gran Premio d’Ungheria, a Villar Perosa (in provincia di Torino), la Juventus neo scudettata si apprestava a scendere in campo per disputare la prima uscita stagionale contro la formazione primavera. Un appuntamento tradizionale a cui presenziava sempre lo stato maggiore della Vecchia Signora. Alla guida di una Lancia Thema metallizzata, l’Avvocato giunse al centro sportivo quando mancava circa un quarto d’ora al fischio d’inizio.
Come ovvio venne subito circondato dai giornalisti che lo incalzarono con domande a 360 gradi, dallo sport, calcio ovviamente, allo scenario politico. Una di queste riguardò il futuro della Ferrari;”…prenderà Schumacher?” La risposta fu tanto immediata, quanto sorprendente:” Schumacher? Credo sia stato già preso.” Una notizia bomba che si propagò alla velocità della luce, al punto di cogliere di sorpresa la Ferrari stessa. Montezemolo stava trascorrendo una breve vacanza a Capri e tramite il suo portavoce si limitò a dare appuntamento ai media la settimana successiva. Agnelli invece andò oltre parlando del futuro dei piloti allora in forza al Cavallino, Jean Alesi e Gerhard Berger:” Per le qualità che possiede, Schumacher è un numero uno, si tratterà di vedere quale potrà essere la coppia più adatta.” Ed in merito alla convivenza di Alesi col campione tedesco aggiunse:”… mi sembra improbabile.” Prima di sedersi in panchina, a bordo campo, Agnelli lanciò pure un monito rivolto agli uomini di Maranello:” …di sicuro quando si ha Schumacher e non si vince, allora la colpa diventa loro.” Della serie, è ora che qualcuno si assuma le proprie responsabilità. Il mondiale piloti mancava dal ’79 ed insieme a Schumacher sarebbero stati ingaggiati anche alcuni cervelli che avevano costruito i successi della Benetton: parliamo di Brawn, Byrne e Stepney. Il fine era quello di disporre di un gruppo già affiatato, in modo da accorciare i tempi della riscossa. Fu una scommessa che alla lunga si rivelò vincente.
Dopo i primi successi nel ’96, Schumacher lottò per il titolo fino all’ultimo round nella stagione successiva e gli fu fatale una speronata ai danni del suo diretto avversario Jacques Villeneuve, il figlio di Gilles, che divenne campione. Una scorrettezza che oscurò un po’ la figura del teutonico (punito dalla Federazione Internazionale) che però si scusò dell’accaduto ed ebbe modo di rifarsi negli anni successivi. Il tanto sospirato titolo arrivò l’8 ottobre del 2000 grazie al successo di Schumi nel Gran Premio del Giappone a Suzuka. A tredici tornate dal termine (alla faccia della cabala), con il tedesco al comando davanti al suo rivale Mika Hakkinen sulla temibile McLaren Mercedes, l’Avvocato chiamò Montezemolo che si trovava nella sua dimora insieme ai familiari. “Luca stai tranquillo, io non ci penso più. E’ tutta la mattina che guardo il Gran Premio, ora spengo la televisione e mi leggo un articolo di Barbara Spinelli.” L’intenzione di Agnelli era quella di tranquillizzare il presidente della rossa che fremeva davanti allo schermo toccando tutti i talismani del caso e solo la calata della bandiera a scacchi provvide a scacciare fantasmi ed incubi. In Italia era l’alba e quel trionfo fu la materializzazione di un sogno inseguito per anni. “Un’impresa di grande valore sotto ogni profilo, molto più importante sia per il Paese che per la Fiat – fu il commento di Agnelli – nobilitata dalla forza dell’avversario (Hakkinen e la McLaren Mercedes).” In quel giorno l’Avvocato confessò tutta la sua ammirazione per Schumi:” L’ho sempre difeso anche nei momenti più bui. Sarà poco simpatico perché non parla l’italiano, ma ha qualità eccezionali.” E non mancò la classica battuta, ritornando sulle lacrime di Schumacher dopo il Gran Premio d’Italia:” E’ caduta una sua maschera. Quel pianto mi ha ricordato alcune pagine salgariane della fanciullezza: guarda c’è il Corsaro Nero che piange.” Ed in conclusione non mancò il doveroso ricordo al “Drake” ed allo stretto rapporto nato nel‘69. “Aver vinto ora il primo titolo mondiale dopo la morte di Enzo Ferrari, mi da una grande soddisfazione. E’ una missione compiuta, che naturalmente non finisce qui.” Parole profetiche quelle dell’Avvocato, perché da lì in poi si aprì un ciclo in cui il Cavallino dominò la scena fino al 2004. Schumi diventerò il “Kaiser” raggiungendo ben sette allori iridati. Un record! Agnelli fece in tempo a godersi i trionfi sino al 2002. E quando pochi giorni dopo il suo trapasso, la Ferrari presentò la nuova monoposto di F.1 per il 2003, in segno di riconoscenza questa venne battezzata con la sigla F2003GA. Il modello con cui il campione teutonico avrebbe messo le mani sulla sua sesta corona all’ultimo round, disputatosi ancora nel paese del Sol Levante; ebbe la meglio su Kimi Raikkonen per soli due punti. Quel giovane e talentuoso ed introverso finlandese che avrebbe ereditato da Michael il volante della rossa quattro anni più tardi, laureandosi subito Campione del Mondo. E quando, il 12 marzo del 2021 ricorse il centenario della nascita dell’Avvocato, venne realizzata presso il Museo Enzo Ferrari di Modena una mostra virtuale dal titolo “Gianni Agnelli e Ferrari. L’eleganza del mito”. Una rassegna alquanto originale, in cui per la prima volta furono esposte tutte le Ferrari personalizzate in stretta collaborazione con l’imprenditore piemontese. Un ulteriore riconoscimento al grande capo che non aveva mai fatto mancare il suo fondamentale ed autorevole appoggio al Cavallino.