Personaggi

Published on Ottobre 23rd, 2022 | by Massimo Campi

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Circus in lutto: si è spento Mateschitz.

Carlo Baffi

Il fondatore della Red Bull è morto a seguito di una rapida malattia che ha posto fine ad una vita contrassegnata da importanti successi in campo commerciale e sportivo.

“E’ una giornata dura. Quello che quest’uomo ha fatto per la mia carriera e per la mia vita non potrò mai dimenticarlo. E domani cercheremo di renderlo fiero di noi.” Sono le parole con cui Max Verstappen ha reso omaggio a Dietrich Mateschitz rispondendo alla domanda rivoltagli di Danica Patrick nel ruolo di intervistatrice, al termine delle qualifiche del Gran Premio degli Stati Uniti in cui s’è piazzato terzo. La prima domanda dell’ex pilota americana ha riguardato ovviamente la scomparsa del proprietario della Red Bull Racing e dell’Alpha Tauri, nonché fondatore dell’azienda produttrice della popolare bevanda energetica. Una triste notizia che ha fatto calare un velo tristezza sul paddock di Austin che nella giornata di venerdì aveva appreso della morte di un altro manager di spicco della Formula Uno, il 93 enne Aleardo Buzzi. Parliamo dello storico presidente della Philip Morris che lanciò nel motorsport il marchio Marlboro nei primi anni ’70, quando i grandi tabaccai iniziavano ad investire ingenti capitali nei Gran Premi. Per quanto concerne invece il decesso di Mateschitz, l’ufficializzazione è giunta a ridosso delle qualifiche. In verità gli addetti ai lavori erano a conoscenza della sua patologia che l’ha stroncato velocemente all’età di 78 anni. Da qualche mese, l’imprenditore austriaco non era più apparso in pubblico, anche se preferiva non mettersi molto in mostra. Aveva disertato pure il Gran Premio d’Austria al Red Bull Ring, circuito di sua proprietà. Mateschitz è stato sicuramente una figura di spicco nell’ambito dello sport in particolare delle discipline legate ai motori, entrando nel gotha della Formula Uno. Grazie alla sua capacità di vendere idee all’avanguardia, creò un impero che lo lanciò ai vertici delle classifiche tra gli uomini più ricchi del pianeta. Era nato il 20 maggio del 1944, guarda caso sotto il segno zodiacale del toro (quando si dice il destino),a Sankt Marein im Murtzal un piccolo paese nella regione austriaca della Stiria da genitori di origine croata. Dopo essersi laureato a Vienna in economia, intraprese una luminosa carriera nel settore del marketing in cui si rivelò un genio allo stato puro lavorando inizialmente per aziende del calibro di Unilever e Procter & Gamble, per poi essere nominato nel 1979 direttore marketing della Blendax. Una casa tedesca specializzata nella vendita di prodotti per l’igiene personale. Un ruolo che lo portò a viaggiare per il mondo facendo spesso tappa in Asia dove nel 1982 venne a conoscenza di una bibita tonificante a base di taurina che era molto di moda, capace di ritemprarlo dopo le lunghe tratte aeree. Una vita alla lunga stressante, al punto che la prospettiva di fossilizzarsi in questa direzione lo indusse a cambiare direzione. La bevanda in questione si chiamava “krating daeng” che nella lingua locale significa “bufalo d’acqua”. Fu proprio allora che a Mateschitz s’accese la lampadina e pensò di commercializzare quel prodotto in occidente. Prese quindi contatto con un licenziatario della Blendax, Chaleo Yoovidhya il quale vendeva bibite ricostituenti nel sud-est asiatico e col quale raggiunse presto l’accordo. Grazie ad un investimento reciproco pari a 500 mila dollari crearono una società di cui entrambi detenevano il 49% delle quote, mentre il 2% sarebbe andato al figlio dell’industriale tailandese. Era il 1984 e la grande avventura prese il via. Mateschitz si occupò della commercializzazione del prodotto studiando il nome, il design della lattina e lo slogan. Elementi fondamentali che si rivelarono vincenti. Dal bufalo d’acqua si materializzarono due tori rossi intenti a caricarsi l’uno contro l’altro all’interno di un cerchio giallo. Il nome fu quello di “Red Bull” e lo slogan recitava “Ti mette le ali”, facendo leva sulle proprietà rivitalizzanti del prodotto, che rispetto a quello iniziale divenne effervescente. Da qui in avanti il progetto andò sempre in crescendo, anche se non mancarono i problemi. La questione era legata agli ingredienti contenuti nei 25 centilitri di quella lattina dal colore blu e argento venduta a 2 Euro, prezzo non certo economico per quegli anni. Oltre alla caffeina (in misura doppia rispetto alla Coca Cola), c’era la sopracitata taurina, un amminoacido che troviamo nella carne, nel latte materno e nelle uova. Ebbene secondo alcuni studi fatti, questa sostanza era potenzialmente in grado di creare patologie su soggetti affetti da problemi cardiaci ed epilessia. Per contro dalla factory sostenevano gli effetti benefici della taurina stessa ed anche se il gusto dell’energy drink non era dei migliori, magari non dolce come la Coca Cola, l’obiettivo era quello di migliorare la resistenza, la concentrazione e lo stato emotivo nell’individuo. I dubbi e i sospetti però rimasero e non ci furono grandi smentite da parte dei produttori. Quasi a seguire una pianificata strategia di mercato, secondo la quale anche le “leggende” che circolavano intorno alla bibita (qualcuno la paragonò quasi ad una droga) alimentassero il desiderio nel pubblico di assaggiarla. In pratica ne aumentavano il fascino! Nel 1987 la Red Bull sbarcò in Austria per poi invadere i mercati di Ungheria, Regno Unito e Germania. Premesse che in breve tempo fecero decollare le vendite in tutta Europa. In poco più di un decennio furono raggiunte le cifre record, di 4,2 miliardi di lattine vendute, di cui un miliardo solo negli Usa, per un fatturato di circa 5.175 miliardi di dollari. Il prodotto si dimostrò in grado di garantire grandi margini di profitto che Mateschitz fu abile ad investire in attività capaci di garantirgli un’elevata visibilità. Il suo interesse si rivolse agli sport estremi che attraevano i giovani, i quali costituivano il target del suo prodotto ed il motorsport rappresentò il centro gravitazionale dei programmi: dalle moto alle auto. Non a caso venne messo sotto contratto l’ex pilota di F.1 austriaco Gerhard Berger col ruolo di ambassador. In seguito, le sponsorizzazioni si allargarono anche al mondo del calcio, con i New York Red Bulls, il Red Bull Salisburgo ed altre squadre. Ma la passione per i motori aveva da sempre ammaliato Mateschitz e non parliamo solo di quella legata alle piste, bensì anche al volo. Era nota la sua importante collezione di aerei d’epoca ospitati nel celeberrimo Hangar 7 presso l’aeroporto di Salisburgo. Una costruzione dall’architettura avveniristica in vetro in cui si possono ammirare vari modelli tra cui quelli della pattuglia acrobatica dei Flying Bulls ed il celebre DC-6 appartenuto al maresciallo Tito, con cui lo stesso Mateschitz amava spostarsi. Ma torniamo all’automobilismo e più precisamente nel 1994 quando la Red bull divenne sponsor e poi proprietaria della scuderia svizzera Sauber F1. Un matrimonio che s’incrinò nel 2001, complice una differente veduta sulla scelta dei piloti; se Peter Sauber puntava sul giovane finnico Kimi Raikkonen, Mateschitz era orientato sul brasiliano Enrique Bernoldi. I risultati diedero ragione a Sauber e se in un primo tempo la Red Bull cedette le azioni del team elvetico al Credit Suisse cercando di acquistare la Arrows dove Bernoldi aveva trovato un volante, successivamente proseguì a sponsorizzare la Sauber fino al 2004. E qui arriviamo ad una tappa cruciale nella storia di Mateschitz, il quale compì il grande passo rilevando la Jaguar, ossia la ex Stewart Grand Prix. Dopo quattro stagioni con risultati molto al di sotto delle aspettative, la squadra di proprietà della Ford venne messa in vendita, contravvenendo l’impegno di restare nella massima serie sino al 2007 (di conseguenza avrebbe dovuto pagare una penale salatissima). Fu allora che Mateschitz si fece avanti sborsando l’importo simbolico di un solo dollaro, a fronte di un finanziamento di circa 400 milioni di dollari, circa 320 milioni di Euro, per supportare l’attività del team per i restanti tre anni, con il nuovo nome di Red Bull Racing. Un business accolto favorevolmente dal padrino del Cricus Bernie Ecclestone, che aveva intuito le potenzialità del nuovo marchio. Ed i fatti confermarono le premesse. Come logico la nuova realtà avrebbe pagato nel breve termine i cosiddetti problemi di gioventù, ma poteva contare su una struttura che andava consolidandosi attorno a figure di grande caratura: dal giovane ed emergente team principal Christian Horner, ad Helmut Marko. Un ex-pilota divenuto il gran consigliori dello stesso Mateschitz, chiamato a dirigere una filiera che iniziò a selezionare e crescere supportando i giovani talenti nelle categorie addestrative, il tutto con grande severità e determinazione. Più tardi si aggiungerà al gruppo il più quotato tecnico dell’intera F.1, il geniale Adrian Newey, tutt’oggi impegnato a sfornare idee che rendono le sue monoposto quasi imbattibili. Nel frattempo il manager austriaco acquistò pure un secondo team, l’italiana Minardi che dal 2006 sarebbe scesa in pista come Scuderia Toro Rosso, mantenendo la sua sede sempre a Faenza. Da sottolineare anche l’innovativa attività promozionale dell’intero gruppo che calamitò l’attenzione da parte dei media. Nella moderna “Energy Station”, la mega hospitality di entrambe le scuderie, il paddock poteva incontrare piloti, tecnici e gustare diversi tipi di cucina frutto dell’opera di chef di fama internazionale che si alternavano ad ogni gara. A ciò si aggiunsero attrazioni singolari come quelle legate ad un gemellaggio col Festival cinematografico di Cannes in concomitanza col Gran Premio di Monte Carlo. Nel 2005 durante il lancio del film “La vendetta dei Sith” terzo episodio della seconda serie della saga di Guerre Stellari, nella pit lane fecero la loro comparsa l’autore George Lucas accompagnato da alcuni personaggi in costume ed i meccanici del team indossarono i costumi delle truppe d’assalto imperiali. L’anno dopo fu la volta di “Superman returns” che coincise con il primo podio della Red Bull, a siglarlo fu lo scozzese David Coulthard che si presentò sul palco dei principi col mantello rosso del popolare supereroe kryptoniano. Naturalmente anche la livrea della monoposto era in tema con il lungometraggio. Altra grande trovata fu il “Red Bulletin”, un magazine stampato con la tecnologia digitale sui campi di gara e distribuito gratuitamente nel paddock. Un giornale che raccontava il mondo della F.1 con un taglio giornalistico inedito dove non mancava sarcasmo ed umorismo, aspetti che allora parevano quasi un’eresia in un microcosmo alquanto ingessato. Oggi la rivista si trova nelle edicole, pubblicata in varie lingue e non è più focalizzata solo sul motorsport, bensì anche sui fenomeni di costume. Infine non va dimenticato il sopraindicato Red Bull Ring. Trattasi del vecchio tracciato di Zeltweg, che la Red Bull acquistò nel 2004 dopo che era caduto in disgrazia. L’intervento di Mateschitz fu assai provvidenziale e dopo il restyling, l’Austria potè contare su un impianto modello che tornò a riospitare la F.1. Insomma tante iniziative che contribuirono a diffondere l’etichetta di un gruppo che non era legato al settore dell’automotive. E qui i ricordi vanno a ritroso in un arco di tempo tra gli anni ’80 e ’90, quando un’azienda italiana si affacciò in F.1, dapprima come sponsor e poi come costruttore: la Benetton, l’impresa tessile di Ponzano Veneto. Per il Circus si trattò di una realtà originale proprio per il suo nuovo tipo di comunicazione fatta anche di colore ed entertainment. Una strategia a cui seguirono anche i successi in pista sotto la gestione dell’eclettico Flavio Briatore, che culminarono con i due titoli mondiali del nuovo fenomeno Michael Schumacher. Dai maglioni si è così passati alle lattine, ma la filosofia non è cambiata di molto. Come per la Benetton, pure la Red Bull avrebbe raggiunto i grandi traguardi, grazie all’apporto di giovani campioni. La prima vittoria in F.1 è datata 2009 quando Sebastian Vettel portò al successo la RB5 motorizzata Renault nel G.P. della Cina. Il giovane tedesco, dopo due anni di tirocinio in Toro Rosso, si piazzò secondo nel mondiale gettando una premessa alle quattro corone mondiali conquistate dal 2010 al 2013, accompagnate da un altrettanto poker di titoli tra i costruttori. Un vero e proprio dominio che relegò molto spesso la concorrenza al ruolo di comprimari. Solo il cambio di regole che introdusse l’era dei motori turbo ibridi spezzò l’egemonia del team di Mateschitz e spalancò le porte del successo alla Mercedes con Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Ma a Milton Keynes non si persero d’animo. Perso Vettel emigrato alla Ferrari, dal vivaio spuntò un giovane olandese figlio d’arte destinato a bruciare velocemente le tappe, Max Verstappen. E proprio su questo ragazzo dal temperamento aggressivo Mateschitz, Horner e Marko decisero di puntare sul futuro. Venne promosso in Red Bull dalla Toro Rosso nel corso del campionato 2016 ed il 5 maggio al suo esordio nel G.P. di Spagna al posto di Daniij Kvyat (retrocesso a Faenza), centrò uno storico trionfo. Aveva solo 18 anni. Un’affermazione non certa figlia del caso, perché Max dimostrò presto le sue doti velocistiche, purtroppo accompagnate da incidenti figli della sua voglia di emergere, ma questo ci sta. La crescita prestazionale della squadra trovò un valido supporto anche sul fronte tecnico con la nuova power-unit fornita dalla Honda in sostituzione di quella griffata Renault. La sfida alle Frecce d’Argento era partita e dopo un lungo inseguimento si completò l’anno scorso, quando a conclusione di una lotta senza quartiere avvelenata da un mare di polemiche, Verstappen detronizzò Hamilton all’ultimo giro nel round finale di Abu Dhabi. A quella grande gioia di rivedere un proprio pilota Campione del Mondo, Mateschitz ha potuto assistere, seppur minato gravemente nella sua salute, al bis firmato da “Super Max” due settimane fa a Suzuka, col team prossimo a laurearsi campione fra i costruttori. Ora sono in parecchi a porsi il quesito sul futuro del gruppo. In passato, lo stesso Mateschitz aveva designato il figlio come suo successore alla guida del regno, ma sicuramente la mancanza di una figura eminente come la sua si avvertirà nel Circus e soprattutto nelle sue scuderie. Malgrado la Red Bull stia dettando legge in pista con ampio margine, è alle prese con un momento delicato. La grana legata allo sforamento del budget-cap è ancora aperta, con Milton Keynes nell’occhio del ciclone. I rivali auspicano il pugno duro della Federazione chiamata ad emettere un verdetto che ridia credibilità alla Formula Uno. Una sentenza che potrebbe condizionare le prestazioni delle monoposto anglo-austriache nelle prossime stagioni. C’è infine la questione relativa alla power-unit. Come si sa, dalla fine del 2021, la Honda non da più il suo apporto diretto e proprio Mateschitz, forse al fine di assicurare una continuità nel tempo viste le proprie condizioni, aveva promosso l’idea dell’accordo con la Porsche. Ma la presenza di un partner paritario non ha trovato il gradimento di Horner e Marko e l’unione è saltata. Il programma attuale prevede che le nuove unità motrici verranno realizzate nella sede inglese dalla Red Bull Powertrain in prospettiva 2026, quando entreranno in vigore i nuovi regolamenti. L’obiettivo della Red Bull è quello di diventare un costruttore a tutti gli effetti al pari di brand prestigiosi come Ferrari e Mercedes. Un sogno che sicuramente rientrava tra le tante ambizioni di Mateschitz. L’ennesima sfida a cui purtroppo non potrà partecipare.

 

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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