Storia

Published on Settembre 24th, 2021 | by Massimo Campi

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Il centenario dell’Avus

Cento anni fa veniva inaugurata la pista alle porte di Berlino che fu teatro di vittorie, record e tragedie – di Carlo Baffi

Avus è l’acronimo di Automobil Verkehrs und Ubungs-Strasse, che tradotto dal tedesco significa “strada per il traffico e per le prove delle automobili”. Un circuito mitico ubicato in Germania nei pressi di Berlino, il cui nome al pari del Nurburgring, di Monza, Spa e Indianapolis  evoca pagine leggendarie del motorsport. Un tracciato particolare anche per il suo disegno, se vogliamo anche banale, caratterizzato da due lunghi rettilinei autostradali paralleli divisi da uno spartitraffico ed uniti da due curve inclinate. Una pista che il prossimo 24 settembre taglierà il prestigioso traguardo dei cento anni; venne infatti inaugurata quel giorno del 1921. Le origini però risalgono ancora più indietro,  nel lontano 1907, quando il Kaiserlicher Automobilclub pensò di realizzare un circuito con un duplice scopo. Quello di disputare gare automobilistiche e testare vetture stradali.

Tutto ciò per dare un forte impulso all’industria del settore. Il progetto ebbe una lunga gestazione e prese corpo due anni dopo con lo studio di un’autostrada lunga 10 chilometri formata da due carreggiate che doveva transitare attraverso la vasta foresta del Grunewald situata vicino a Berlino (oggi è un quartiere della metropoli tedesca). Alle estremità si trovavano la Nordkurve, dove appena dopo era situata la linea di partenza e nella parte opposta, la Sudkurve. L’impianto andava da Charlottenburg a Nikolassee. Il progetto era ambizioso, ma la carenza di fondi ritardò ancora i lavori che partirono solo nel 1913. Con lo scoppiò del primo conflitto mondiale la costruzione subì un ulteriore rallentamento e vennero impiegati i soldati russi fatti prigionieri dalle truppe del Kaiser. Nel ’20, malgrado la Germania fosse sull’orlo della bancarotta, il cantiere ripartì a pieno ritmo grazie al supporto finanziario fornito da Hugo Stinnes. Un politico ed imprenditore tedesco che operava nell’ambito dell’edilizia e dell’industria elettrica e dell’acciaio. Il percorso fu finalmente completato il 19 settembre dell’anno successivo. Nel fine settimana, tra il 24 e 25 settembre, in concomitanza col Salone Internazionale dell’Automobile, ebbe luogo l’inaugurazione ufficiale della pista, celebrata con una serie di gare automobilistiche con macchine di diverse classi. Si contarono circa 200 mila spettatori assiepati sulle tribune e lungo un percorso di 19,573 chilometri. Ad imporsi furono i piloti di casa: Christian Riecken al volante di una NAG, Franz Horner su Benz e Fritz Von Opel al volante della vettura omonima spinta da un motore a quattro cilindri da 2,3 litri, che fece segnare la media record di 128,84 km/h. Pochi giorni dopo, il circuito venne aperto anche al pubblico dietro il pagamento di un pedaggio di dieci marchi. Era nata la prima autostrada dell’era moderna.

Trascorsero cinque anni e l’11 luglio del ’26, l’Avus fu il teatro del primo Gran Premio di Germania. Complice la scarsità di vetture Grand Prix, gli organizzatori aprirono ad altre macchine dividendo i partecipanti in tre classi a seconda della cilindrata e facendoli partire a scaglioni ogni 2 minuti. Dapprima la classe D (2L-3L), poi la classe E (1,5L-2L) ed infine la classe F (1,1L-1,5L). A trionfare fu l’idolo locale Rudolf Caracciola su Mercedes M72/94, che percorse i 20 giri in 2 ore 54 minuti e 17,8 secondi. Precedette Christian Riecken su NAG e  Willi Cleer su Alfa Romeo RLSS. Il giro più veloce venne siglato da Ferdinando Minoia su OM865, ritiratosi non solo per problemi tecnici. Il milanese era sconvolto dall’incidente di cui fu testimone diretto al settimo giro. Questa corsa infatti, passò alla storia proprio per gli eventi drammatici che la caratterizzarono. Il primo si verificò alle vigilia nel corso delle prove coinvolgendo la Chiribiri 1500 cmc pilotata da Luigi Platè con il coequipier Carlo Cattaneo. A causare la tragedia fu una manovra irresponsabile di Wilhelm Heine che imboccò il raccordo dei due rettilinei, posto a Grunewald, invertendo la marcia. Il tedesco non si avvide dell’arrivò della Chiribiri che lo centrò in piena velocità. Se Platè, pur essendo sbalzato fuori dalla vettura per parecchi metri se la cavò con alcune fratture, Cattaneo morì all’istante. Il giorno della gara invece, una poggia insistente sommata ad un asfalto insidioso e con parecchie ondulazioni, rese ancor più difficile la guida dei piloti. Durante il settimo passaggio il teutonico Adolf Rosenberger perse il controllo della sua Mercedes che slittò e piombò fuori strada contro una cabina dei cronometristi, uccidendone uno e ferendone gravemente altri due. Danni fisici anche per Rosenberger ed il suo meccanico.

Quanto successo fece sollevare non poche critiche sulla pericolosità del circuito, complici le velocità molto elevate ed il Gran Premio di Germania dal 1927 si trasferì su un’altra pista di recente costruzione, ma non certo meno pericolosa di quella berlinese: il Nurburgring. Questa però scelta che non ebbe ripercussioni sul futuro dell’Avus, sul quale l’attività sportiva proseguì con record di velocità ed altre manifestazioni di grido. Una di queste fu senza dubbio l’Internationale Adac Avus Rennen, che via via acquistò sempre più importanza. Una kermesse con una gara principale ed altre di supporto. La prima edizione fu organizzata il 2 agosto del 1931 e salutò la vittoria di Rudolf Caracciola su Mercedes Benz SSKL. L’anno dopo fu ancora una Mercedes a regolare la concorrenza quella pilotata da Manfred von Brauchitsh. Nel ’33 però, le monoposto tedesche rimasero a bocca asciutta per la doppietta delle Bugatti T54, con il grande Achille Varzi primo davanti al polacco Stanislaw Czaykowski e all’Alfa Romeo di Baconino Borzacchini. Le vetture del Biscione, gestite dalla Scuderia Ferrari si sarebbero rifatte il 27 maggio del 1934, grazie all’impresa di Guy Moll, che s’aggiudicò la corsa percorrendo i 15 giri in un’ora 25’ e 3”, alla media record di 205,24 km/h. Il francese tanto stimato da Enzo Ferrari precedette la vettura gemella di Varzi e l’Auto Union di Momberger (solo terza), poi le Maserati di Howe e Nuvolari, che stoicamente corse con una gamba ingessata. Era reduce da un grave incidente subito il mese prima sul circuito di Alessandria dove finì contro un albero, procurandosi una leggera commozione cerebrale e più fratture alla gamba sinistra. Ad uscire delusa da quella corsa fu la Casa degli Anelli che nel marzo di quell’anno, proprio ad Avus, aveva siglato il record dell’ora con Hans Stuck coprendo 217,106 chilometri sulla Type A. Ma il primato di Moll sarebbe stato polverizzato nella quinta edizione dell’Avus Rennen.

Il 26 maggio del 1935, davanti a quasi circa 300 mila persone (il tutto esaurito era ormai un classico), ai gerarchi nazisti e sotto una pioggia incessante, le macchine teutoniche tornarono al successo. Fu una sorta di derby tra le “Frecce d’Argento” della Mercedes e dell’Auto Union, che schierò tre dei suoi quattro modelli, con la carrozzeria a coda lunga. In palio c’era la supremazia in pista e su strada. L’evento prevedeva due batterie di cinque giri ed una finale di dieci. Se Stuck su Mercedes e Caracciola su Auto Union prevalsero nelle due eliminatorie, la prova conclusiva fu invece appannaggio dell’italiano Luigi Fagioli. A bordo della Mercedes W25, il marchigiano percorse la distanza di 196,562 km in 49’13”.2. Un trionfo conseguito alla media record di 238,500 km/h, che stabiliva il nuovo primato della pista. Dietro Fagioli, si piazzò l’ottima Alfa Romeo bimotore del monegasco Louis Chiron e l’Auto Union di Achille Varzi, giunto al traguardo con le gomme distrutte. Quel giorno sarà ricordato anche per il debutto di un giovane pilota tedesco di assoluto talento destinato ad una luminosa carriera: Bernd Rosemeyer. Un 25enne che si era distinto insieme a Paul Pietsch, nelle selezioni effettuate dall’Auto Union al Nurburgring. Le ripetute pressioni di Rosemeyer sull’allora direttore sportivo Willi Walb, convinsero i vertici della casa di Chemnitz ad affidargli una monoposto di tipo B contrassegnata dal numero quattro. Nella prima manche, mentre Stuck prese il comando, Rosemeyer scattato dalla prima fila, ingaggiò subito un lotta serrata con Fagioli, ma al terzo giro  gli esplose un pneumatico alla Nordkurve. Malgrado procedesse in piena velocità, riuscì a controllare il mezzo e a prendere la via dei box; dopodichè si ritirò e rimanendo così escluso dalla finale. Un esordio non certo felice per Rosemeyer, ma la tenacia dimostrata gli valse la conferma per il Gran Premio di Germania al “Ring” in programma due settimane dopo.

Nel ‘36, l’Avus subì un  un’importante restiling, si dice anche per volere di Adolf Hitler, capo supremo della nazione e l’attività agonistica si fermò. La più importante modifica interessò la Nordkurve, la cui inclinazione venne portata a ben 43 gradi sulla cui sommità non vi era alcuna protezione: solo una linea bianca che segnalava ai piloti la fine della pista. Una curva che metteva i brividi, da affrontare almeno a 200 chilometri orari (nei rettilinei si toccavano i 350), che venne pavimentata con mattoni clinker. Un tipo di asfalto che purtroppo avrebbe aumentato notevolmente i rischi in caso di maltempo. Con la nuova ristrutturazione, il colpo d’occhio era di grande impatto. L’autodromo s’era trasformato in un vero e proprio anfiteatro del motorsport. Accanto all’imponente tornante sopraelevato spuntava l’edificio della direzione gara con la sua torre cilindrica la cui architettura molto spartana e squadrata seguiva lo stile imposto dal regime nazista. Le competizioni tornarono così l’anno seguente ed il 30 maggio del 1937, andò in scena la sesta Avus Rennen, con gli spalti gremiti in ogni ordine di posto. I prezzi più alti, intorno ai 25.20 e 20.20 per scendere ai 10.20 Reichsmark, riguardavano le tribune della parte nord. Trai i Le tribune della zona sud e quelle situate lungo i rettilinei costavano dai 9.20 e 8.20 Rm. Decisamente più popolari i biglietti per i posti in piedi all’interno del circuito: dai 4.10 a 1.60 Rm. Il programma era identico a quello di due anni prima, così come i protagonisti erano ancore i bolidi con la carrozzeria argentata. Presenti anche i vertici politici, con in testa il Ministro della Propaganda del Reich Joseph Goebbels accompagnato da Frau Madga, la sua influente consorte. Le sette tornate delle prime due batterie salutarono il successo dei teutonici Caracciola e Von Brauchitsch su Mercedes, ma a conquistare la finale fu il loro connazionale Hermann Lang, sempre su una monoposto della “Stella a Tre Punte”, che coprì gli otto passaggi in 35’392, alla media-record di 250,34 km. Alle sue spalle giunsero le monoposto dai “Quattro Anelli” di Ernst von Delius e Rudolf Hasse (anch’essi tedeschi). La prima vettura “straniera” fu la Maserati dell’ungherese Laszlo Hartmann. Ma a far notizia fu la prestazione in prova di Rosemeyer che in prova stabilì il record ufficioso sul giro superando la velocità di oltre 284 km orari. In gara raggiunse i 276,400, superati dai 279,858 di Von Brauchitsh. Con la sua Auto Union, Rosemeyer avrebbe superato il muro sensazionale dei 400 all’ora il 25 ottobre di quello stesso anno sull’autostrada Francoforte-Darmstadt. Una località in cui l’asso di Lingen avrebbe trovato la morte pochi mesi dopo, nel gennaio del ’38, mentre s’accingeva a migliorare il proprio primato. Pare fosse lanciato intorno ai 432 all’ora ed una raffica di vento provocò la sbandata e la conseguente uscita di strada. L’improvvisa scomparsa di questo campione lasciò un enorme vuoto nella scuderia di Chemnitz, dove inizialmente si pensò ad un clamoroso ritiro dalle competizioni: idea che fu poi accantonata per non lasciare il monopolio ai rivali di Stoccarda. Però la fine della formula dei 750 chili, portò alla realizzazione di vetture completamente diverse. Nel 1938 l’Avus Rennen si svolse in  tono minore ed oltre alla consuete gare motociclistiche a fare da corollario si esibirono delle vetture sport con le Bmw 328 in cui si affermò Kurt Illmann alla media di 154 km/h.

L’imminente scoppio della seconda guerra mondiale causò un’inevitabile interruzione delle corse automobilistiche per lungo tempo. Al termine del conflitto, della Germania non restava che una montagna di rovine. Berlino era un cumulo di macerie e l’impianto dell’Avus era inutilizzabile per i danni bellici subiti e a complicarne la rinascita fu la divisione del paese in blocco occidentale ed orientale, visto che la zona di Nikolassee faceva parte del settore controllato dai sovietici. Per rivedere i bolidi sfrecciare sul tracciato berlinese si dovette attendere il 1 luglio del 1951 in cui scesero in pista monoposto di F.2 e F.3. I rettilinei vennero accorciati e la lunghezza del circuito ridotta a 8,3 chilometri. Le potenti monoposto della neonata Formula Uno si esibirono all’Avus nel Gran Premio di Berlino, non valido per il mondiale, il 19 settembre del 1954: il G.P. Germania era rimasto al Nurburgring. Le Mercedes erano tornate a dominare la scena con il modello W196 e monopolizzarono il podio alla media di oltre 213 chilometri orari. Karl Kling ebbe ragione sul grande Juan Manuel Fangio ed Hans Hermann. Cinque stagioni dopo la Formula Uno tornava a far capolino nell’autodromo berlinese sede del Gran Premio nazionale: era il 2 agosto 1959. Le potenti monoposto della Stella Tre Punte s’erano ritirate dalle competizioni dopo aver mietuto trionfi e per la lotta al titolo c’erano in lizza l’australiano Jack Brabham con la Cooper e l’inglese Tony Brooks sulla Ferrari. La scuderia di Maranello s’era ritrovata orfana del campione del mondo uscente Mike Hawthorn, scomparso in un incidente stradale a gennaio. Malauguratamente, il prologo della manifestazione venne funestato da un terribile schianto in cui perse la vita Jean Behra. Il 38 enne francese, ingaggiato dalla Ferrari per il ’59 e che aveva lasciato Maranello dopo poche gare in polemica con la scuderia, s’era iscritto ad Avus al volante di una Porsche. Decise di partecipare anche ad una gara di contorno riservata alle vetture sport. Si trattava di un impegno dettato dalla sua grande passione per le competizioni senza grossi. La pioggia però rese l’asfalto molto scivoloso e durante un sorpasso a Von Trips, sul muro della Nordkurve, Behra uscì di strada. La sua  Porsche decollò volando oltre la pista ricadendo capovolta all’esterno del tracciato accanto ad un palo e prese fuoco. Inutili gli immediati soccorsi al pilota nizzardo, che morì sul colpo davanti agli occhi della giovane moglie accorsa sul luogo della tragedia.

A seguito del dramma, per motivi di sicurezza, la corsa prevista su una distanza di 60 giri pari a  498 chilometri, fu divisa in due parti di 30 tornate ciascuna, al fine di dar modo ai piloti di cambiare almeno una volta le gomme che si deterioravano facilmente per le velocità sostenute. Inoltre, al fine di ridurre ancor di più i rischi furono introdotte delle disposizioni secondo le quali allo sbandieramento delle bandiere gialle, o all’accensione di un semaforo del medesimo colore, i concorrenti non dovevano superare la linea bianca presente sulla sopraelevata nord. Sotto un cielo grigio, il Gran Premio fu una vera e propria marcia trionfale  del Cavallino che mise a segno una memorabile tripletta. Tony Brooks fu l’autentico mattatore firmando l’Hat Trick, ossia pole, vittoria e giro veloce in 2’04”.5, alla media di 240 km/h. Alle sue spalle tagliarono il traguardo altre due 246F1, quelle d Phil Hill e Dan Gurney, partiti rispettivamente sesto e quattordicesimo.  Brabham dovette invece ritirarsi per problemi alla trasmissione.

A fine stagione però “Black Jack” avrebbe messo le mani sulla corona iridata, precedendo Brooks. Quel Gran Premio di Germania fu in pratica l’ultimo evento clou dell’autodromo berlinese, che da li in poi andò incontro ad un lento declino. Le polemiche mosse per i rischi eccessivi non si placarono. Oltre alla recente disgrazia toccata a Behra, era ancora nella memoria collettiva il pauroso volo della Porsche 645 di Richard von Frankenberg nel 1956. Anche a lui fu fatale la sopraelevata nord, ribattezzata sinistramente “il muro della morte”, che si rivelò una rampa di lancio. Miracolosamente, il pilota e giornalista e tedesco fu sbalzato fuori dal veicolo e si salvo finendo su un albero. La macchina si distrusse a contatto col suolo e s’incendiò. Eventi che portarono inesorabilmente alla demolizione della Nordkurve, avvenuta nel 1967. L’Avus però continuò ad essere ancora sede di competizioni, dalle GT alla Formula 3 fino alle vetture da Turismo. A partire dai primi anni ’80, divenne sede fissa del popolare campionato DTM (Deutsche Tourenwagen Meisterschaft). Nel 1994 il nostro Stefano Modena conquistò le due gare in programma, con l’Alfa Romeo 155V6. Due anni dopo fu invece il connazionale Emanuele Pirro a salire sul gradino più alto del podio, aggiudicandosi gara 2 della Super Tourenwagen Cup con un’Audi A4. Intanto il layout del tracciato era stato ulteriormente ridotto: dai 4,8 chilometri dell’’89 ai 2,6 del ’92 ed al posto della curva nord erano state realizzate due chicane. Il 2 maggio 1998 sarebbe poi calato definitivamente il sipario.

Ultimo atto, il round del DTC (Deutsche Tourenwagen Challenge), nelle cui due manches prevalse la Opel Calibra 16V, del tedesco Stefan Kissling che ebbe così l’onore di essere l’ultimo “Re” dell’Avus. Oggi, di quel mitico autodromo, restano i rettilinei facenti parte dell’autostrada, le tribune in legno conservate come monumento storico e la palazzina della direzione gara con la torre di controllo divenuta sede di un motel-ristorante, chiamato ovviamente Avus. Probabilmente una meta per nostalgici di un automobilismo romantico ed affascinante.

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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