Personaggi

Published on Aprile 9th, 2021 | by redazione

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50 candeline per Villeneuve !

Il campione canadese, figlio del grande Gilles, taglia il traguardo dei cinquant’anni, con una carriera alle spalle ricca di soddisfazioni. Di Carlo Baffi.

E’ il 26 ottobre del 1997. Sul circuito di Jerez de la Frontera mancano 21 giri alla conclusione del Gran Premio d’Europa, ultimo round del campionato di F.1, quando Jacques Villeneuve sferra il suo attacco al leader della corsa, Michael Schumacher. In palio non c’è solo la vittoria in gara, bensì il titolo mondiale piloti. La battaglia fra i due contendenti giunge al suo epilogo alla curva “Dry Sac”. L’assalto della Williams-Renault del canadese sorprende il tedesco che  per difendersi chiude la porta. La collisione è inevitabile. Ma se Villeneuve prosegue il G.P., Schumi deve parcheggiare la sua Ferrari danneggiata nella sabbia e dire addio ai sogni iridati. Quella del ferrarista è una manovra scorretta vista in mondovisione, che potrebbe costargli una lunga squalifica, ma che alla fine verrà punita dalla Federazione Internazionale, con l’esclusione dalla classifica del mondiale piloti. “Schumi non si aspettava il sorpasso. Temevo che avrebbe reagito così, sapevo che avrebbe cercato di buttarmi fuori. Fortunatamente ha rotto la sua macchina.” Sono queste le parole pronunciate dal canadese al termine della sua marcia trionfale. E pazienza se nel finale è stato superato dalle McLaren-Mercedes di Hakkinen e Coulthard, l’importante era indossare la corona di Re del Circus. Quella che suo padre Gilles, aveva sognato di conquistare proprio con la Ferrari, ma che la tragedia di Zolder dell’8 maggio 1982 gli aveva negato.

Quel giorno il canadese non era accompagnato dalla famiglia, rimasta nella casa di Monte Carlo per festeggiare la cresima della figlia. In quella stagione il funambolo rosso aveva a disposizione una Ferrari molto competitiva ed avrebbe avuto ottime possibilità di laurearsi campione. Purtroppo il destino ci si mise di mezzo,  così come nel ’97, quando Jacques si ritrovò a lottare contro la rossa, che con Gilles aveva rappresentato un binomio leggendario. Jacques e la Ferrari si sarebbero incontrati anni dopo. Nel giugno 2004 al Festival motoristico di Goodwood e l’8 maggio 2012 a Fiorano. In entrambe le occasioni fece alcuni giri al volante della 312T4 numero 12 del padre. Un modello che scrisse pagine indelebili dominando il campionato 1979 insieme all’amico Jody Scheckter. Allora Jacques aveva solo otto anni, ma insieme alla madre Joanna ed alla sorella Melanie trascorreva i weekend di gara insieme al padre nel camper parcheggiato nel paddock. Giocava coi meccanici della Ferrari e a volte fu immortalato dagli obiettivi dei fotografi, nell’abitacolo della rossa di papà. Ed è forse proprio in queste circostanze che in quel bimbo iniziò a maturare la passione per il motorsport. Ci si mise poi lo zio Jacques senior, facendogli guidare la sua Lamborghini Countach. E poi quel venerdì 13 settembre 1985 (alla faccia della scaramanzia), quando accompagnati dalla madre, Jacques e Melanie girarono a bordo di due go-kart sulla pista di Imola. Era il premio che Joanna aveva promesso ai suoi figli per la promozione a scuola. Jacques dimostrò subito una certa attitudine, anche quando salì sulla piccola monoposto di una formula addestrativa. Tornato in Canada, lo zio lo iscrisse alla scuola di pilotaggio di Mont Tremblant e qui arrivò la conferma definitiva della sua propensione verso la guida sportiva. Per Jacques Joseph Charles Villeneuve, nato il 9 aprile del 1971 a Saint-Jean-sur-Richeliueu nel Quebec, in Canada, aveva avuto inizio la grande avventura. L’Italia però, fu sempre nel destino di questo giovane. Nel maggio del 1988, quando a Monza si svolgeva una prova riservata ai giornalisti sull’Alfa Boxer, Ercole Colombo, uno dei più noti fotografi del Circus, cedette il suo turno a Jacques e anche in quest’occasione, emersero le sue doti velocistiche. Si arrivò così all’esordio nelle competizioni al volante di un’Alfa Romeo 33 di gruppo N nel Campionato Italiano Velocità Turismo. Su quella vettura campeggiava il nome di una popolare rivista automobilistica, “Autosprint”. Anche se i risultati non furono molto incoraggianti, nel 1990 il giovane disputò il campionato tricolore di F.3 alla guida di una Reynard-Alfa Romeo della blasonata scuderia Prema. Per intenderci quella che l’anno scorso ha portato alla conquista del titolo in F.2 un altro figlio d’arte, Mick Schumacher. Seguendo i preziosi consigli del titolare Angelo Rosin, Villeneuve iniziò a crescere e nel corso della seconda stagione nella serie cadetta firmò un secondo posto a Binetto e la pole al Gran Premio Lotteria di Monza. Certo, il cognome che portava non era da poco e pesava notevolmente. Intendiamoci, non che Jacques provasse fastidio verso la figura paterna, anzi; infatti avrà modo di dimostrarlo pubblicamente in seguito. In quel periodo ogni sua azione era sovente paragonata alle gesta del padre, soprattutto in Italia e ciò lo metteva a disagio.

Probabilmente fu anche per questa ragione che nel ’92 emigrò in Giappone per cimentarsi nella F.Nippon. E qui iniziarono ad arrivare le prime soddisfazioni: tre vittorie ed il secondo posto in campionato dietro Anthony Reed. Fu proprio in questo periodo che riallacciò i contatti con Craig Pollock, conosciuto anni prima durante il suo soggiorno di studi in Svizzera. Pollock era il direttore sportivo di un college di Villars ed i due erano accomunati dalla grande passione per lo sci. Pollock sarebbe divenuto una figura alquanto importante nella carriera di quel giovane driver. Malgrado il debutto più che positivo in estremo oriente, Villeneuve fece ritorno nel continente americano e approdò nella F. Atlantic. Ebbene, si mise in luce anche qui, salendo per cinque volte sul gradino più alto del podio, siglando sette pole, chiudendo terzo in classifica e venendo nominato “Rookie of the year”. L’inizio della sua scalata proseguì nel 1994 nella classe superiore, la Indy Car, ingaggiato dalla Forsythe-Green Racing. Ora correva tra star del calibro di Mario Andretti, Emerson Fittipaldi, Al Unser, Paul Tracy, Nigel Mansell, Robby Gordon…e fu nuovamente riconosciuto come miglior debuttante. S’impose nel Gran Prix of Road America sul tracciato di Elkhart Lake nel Wisconsin. Ma il nome di Jacques era salito alla grande ribalta qualche mese prima, esattamente il 24 maggio, quando giunse secondo nella mitica “500 Miglia di Indianapolis”. A soli 24 anni era il più giovane pilota della Cart ad aver guadagnato in una sola stagione oltre un milione di dollari. Fu il prologo alla definitiva consacrazione dell’anno dopo, quando non solo trionfò nel catino di Indy come Graham Hill, Clark, Andretti e Fittipaldi, ma si laureò campione della Indy Car. Quelle imprese con la Reynard bianco-azzurra numero 27 (quello usato da Gilles) del Team Green, fecero ovviamente il giro del mondo e non rimasero inosservate dai vertici della F.1. Frank Williams fu lestissimo ad offrire a Villeneuve una sessione di test a Silverstone (nell’agosto ’95) sulla FW17 e visti i responsi positivi espressi dal cronometro, lo mise sotto contratto per due anni. Il patron della scuderia inglese sapeva benissimo che avrebbe potuto beneficiare del grande interesse mediatico che ruotava intorno a quel pilota dal grande potenziale. Un ritorno pubblicitario che avrebbe portato vantaggi pure a tutto il Circus, per la gioia di Bernie Ecclestone. Iniziava quindi un nuovo capitolo per Jacques. Sbarcava nella massima serie ed in un top team, ovviamente seguito dal fido manager Pollock. Al suo fianco avrebbe avuto come compagno di scuderia un altro figlio d’arte, Damon Hill. Al volante della potente FW18 spinta dal motore Renault, il “rookie” si mise subito in luce al debutto datato 10 marzo 1996 a Melbourne. Pole position, giro veloce in gara e secondo posto. Dopo essere stato a lungo leader della corsa, finì sull’erba e poi complice una perdita d’olio, cedette il comando al compagno di squadra che s’involò verso il successo. La prima vittoria andò in scena nel G.P. d’Europa al Nurburgring il 28 aprile. Ne seguiranno altre tre che gli permetteranno, insieme ai piazzamenti ed ai podi di lottare per il mondiale con Hill fino all’ultimo round in Giappone. Ciò a testimonianza di un dominio assoluto della scuderia di Grove. Damon si presentò a Suzuka con nove lunghezze di vantaggio ed un maggior numero di successi (ben otto) su cui far leva in caso di parità di punteggio. Villeneuve però era intenzionato a dar del filo da torcere al rivale. Firmò la sua terza pole stagionale, ma a causa di una brutta partenza scivolò nelle retrovie e si vide costretto ad inseguire Hill, saldamente al comando. La rincorsa di Jacques sarebbe terminata al 37esimo dei 52 giri previsti, complice la perdita della ruota posteriore destra. Poco prima s’era fermato per il suo secondo pit-stop dopo aver avvertito delle strane vibrazioni provenienti dal retrotreno. Nonostante la delusione per il titolo sfumato, Villeneuve poteva dirsi più che soddisfatto della sua prima stagione in F.1 e la rivincita se la sarebbe ripresa nel mondiale successivo. Poteva contare sul nuovo modello FW19 ancora in grado di fare la differenza. Rispetto al ’96, il canadese era stato promosso prima guida (Hill se n’era andato alla Arrows, rimpiazzato da Frentzen), però la concorrenza s’era fatta decisamente più agguerrita. La Ferrari era tornata protagonista schierando il due volte iridato e nuova stella del Circus, Michael Schumacher. Ai sette successi di Villeneuve, si contrapposero i cinque del ferrarista e come anticipato tutto si risolse all’ultimo appuntamento. Una sfida che si trasformò in un duello rusticano per colpa del “Kaiser”, che cercò in tutti i modi di difendere la sua prima posizione e la chance di riportare a Maranello un titolo che mancava dal ’79. E proprio nel giorno in cui raggiunse quel massimo traguardo, Jacques non si fece sfuggire l’occasione di ricordare il papà: “Gilles oggi sarebbe orgoglioso di me. Qualunque traguardo otterrò, mio padre resterà il mio eroe.” Parole eloquenti, forse liberatorie di quel fardello parecchio ingombrante che aveva condizionato la carriera del canadese sin dagli inizi. Villeneuve aveva avuto la meglio, in tutti i sensi, contro l’avversario più forte e temibile.

Quasi in segno di beffa verso il tedesco, Jacques si presentò in pubblico con il cappellino rosso di Schumacher, con la scritta “World Championship ‘97”. Non male come trofeo di guerra. Ed i meccanici del team Williams, fecero festa indossando delle parrucche gialle in omaggio al look del canadese, che si era ossigenato i capelli. Quel giorno fu l’apice del successo di Villeneuve. Nel 1998 infatti, la Williams iniziò il suo declino per vari fattori: dalla perdita del propulsore Renault, alla dipartita di Adrian Newey, il vulcanico ingegnere artefice delle monoposto vincenti di Grove. In quel mondiale, Jacques dovette accontentarsi solamente di due terzi posti. Cercò così di voltare pagina puntando su una nuova realtà, la BAR. Parliamo della British American Racing, nata dalla ceneri della Tyrrell e finanziata da Pollock e per larga parte dalla multinazionale British American Tobacco, che garantiva un budget considerevole. Una scommessa che ingolosì Villeneuve grazie anche ad un munifico ingaggio pari a 25 miliardi di vecchie lire per due anni. Dunque grandi aspettative, che però andarono presto deluse.

L’inesperienza e la scarsa affidabilità dei V10 Supertec condizionarono le prestazioni dell’ex iridato che collezionò undici ritiri consecutivi e vide il traguardo soltanto dal G.P. del Belgio (12^ prova in calendario). Nel 2000, grazie all’arrivo dei propulsori Honda la situazione migliorò, ma senza andare oltre il quarto posto. Villeneuve sarebbe rimasto alla Bar fino al 2003 nella speranza di un salto di qualità che non arrivò. Situazione che portò alla rottura e spinse Jacques a stare fermo per buona parte del 2004. Poi, con il licenziamento di Jarno Trulli, gli si offrì la possibilità di tornare in pista sulla Renault per gli ultimi tre G.P. in calendario. Un’esperienza brevissima che non ebbe seguito, dal momento che l’anno successivo, ci fu il trasferimento alla Sauber. I risultati anonimi, confermarono per il canadese l’imbocco del viale del tramonto che si concluse dopo il G.P. di Germania del 2006. L’annata era iniziata sotto buoni auspici con l’acquisizione della scuderia svizzera da parte della BMW che faceva ben sperare per il futuro. Villeneuve andò a punti nelle prime gare, poi tra Montreal ed Hockenheim, si ritirò tre volte e chiuse 11esimo a Magny Cours. Il 30 luglio, sul circuito tedesco, Jacques incappò in un rovinoso incidente che non gli permise di prendere parte al round successivo in Ungheria. Mario Theissen, allora team principal BMW, fece debuttare il giovane collaudatore Robert Kubica, che partito decimo finì settimo: a punti già nel debutto. Purtroppo il polacco sarebbe stato squalificato a fine gara, perché la sua F.1 06 venne trovata sotto peso. Ed il terzo posto di Nick Heidfeld sulla vettura gemella, indusse i vertici del team a scegliere la coppia che avrebbe disputato il mondiale 2007.

Realizzato che la sua carriera in F.1 era giunta ai titoli di coda, Villeneuve non concluse nemmeno la stagione. Lasciato il Circus, oltre che nella Nascar, si cimentò nelle gare di durata partecipando a due edizione  della “24 Ore di Le Mans”, piazzandosi secondo sulla Peugeot 908 nel 2008. In quello stesso anno firmò sul prototipo francese il successo alla “1000 Km di Spa” (round valido nella Le Mans Series), insieme a Genè e Minassian. Sei anni dopo, Villeneuve fece ritorno a Indianapolis, disputando la “500 Miglia”. Partito dalla nona fila, terminò la corsa al quattordicesimo posto. Le sue ultime apparizioni in pista, lo videro impegnato nella Formula E, dove col Team Venturi prese parte a tre appuntamenti. Contemporaneamente continuò a frequentare il paddock del Circus come commentatore televisivo, dispensando giudizi schietti e severi.

illustrazione © Carlo Baffi – Immagini © Massimo Campi

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