Personaggi

Published on Novembre 24th, 2014 | by Massimo Campi

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Mauro Baldi, il primo campione mondiale endurance italiano

 

Campione mondiale Endurance, nel suo palmares ci sono tante vittorie nelle gare di durata, compreso la 24 ore di Le Mans e la 24 ore di Daytona.

Mauro Baldi è stato il primo pilota italiano ad abbandonare dopo soli due anni e mezzo la F.1 per emigrare nelle ruote coperte dove ha subito trovato la sua dimensione vincente. Ha pilotato le migliori vetture a ruote coperte da metà degli anni ’80 fino agli inizi del terzo millennio, correndo come pilota ufficiale per Lancia, Mercedes, Peugeot.

Da dieci anni ha lasciato il mondo delle corse. Lo abbiamo incontrato alla presentazione del libro sulla 1000 Km di Monza, dove ha corso diverse edizioni e vinto con una Riley & Scott, ed è stata l’occasione per fare due chiacchere sul mondo sulle macchine ed il mondo dell’Endurance di cui è stato protagonista.

Dalla F.1 all’Endurance, sei stato il primo pilota italiano a scegliere la gare di durata come professione, in seguito arriveranno altri italiani cogliendo risultati importanti, come Pirro e Capello.

“Non ho un buon ricordo della F.1, non sono riuscito ad esprimermi al meglio, ma soprattutto non mi piaceva l’ambiente. Non sempre riuscivo a capire cosa stesse succedendo all’interno delle squadre in cui ero, non riuscivo a capire determinate scelte, mosse politiche, mentre nell’Endurance ho trovato un ambiente molto diverso, sicuramente più professionale che mi ha permesso di esprimermi al meglio e cogliere dei risultati. Nelle corse di durata, in tutte le squadre in cui ho corso, sia nei team privati che in quelli ufficiali, Lancia, Mercedes, Peugeot, le cose ed i rapporti erano decisamente più chiari. Si era più inquadrati rispetto alla F.1, ma ti sentivi molto più responsabilizzato, eri lì per raggiungere dei risultati, dovevi sempre dare il massimo, sapere ragionare, valutare le situazioni. Avevi sempre una grossa responsabilità, una Peugeot, una Mercedes, una Lancia era lì per vincere e tu dovevi fare il tuo dovere fino in fondo, dovevi cercare di vincere, non potevi magari accontentarti di portare la vettura al traguardo, dovevi sempre dare il massimo e non fare errori. Tutto questo mi ha sempre motivato, ho dato sicuramente il meglio di me stesso come pilota in quegli anni. In F.1 ho corso solo due anni e mezzo, forse avrei potuto dare qualcosa in più, ma ho avuto anche poche chance. Sono passato dalla F.3 alla F1, da macchine che avevano meno di 200 cv, con poche regolazioni a monoposto molto più potenti. A posteriori l’errore è stato quello di non avere corso in F.2, compiendo un salto tecnico troppo grande. Nel 1982 con la Arrows sono stato il miglior debuttante dell’anno, me ero troppo acerbo, non avevo abbastanza esperienza per riuscire a regolare quella vettura, che era anche una monoposto tecnicamente ed aerodinamicamente sbagliata, nata male, difficile da guidare. Marc Surer si fece male con quella vettura, durante le prove libere cedette una sospensione, fece un botto terribile contro il muro fracassandosi le gambe. Venne chiamato Tambay per sostituirlo, fece un test in Sudafrica, scese dalla vettura dopo tre giri e si rifiutò di risalire, disse che era troppo pericolosa. Riprese l’aereo per tornare a casa sua in Australia e non volle nemmeno il rimborso del biglietto aereo. Al debutto in Sudafrica, prima ancora di iniziare la mia prima gara devo partecipare al primo sciopero dei piloti, ero già frastornato, catapultato in un mondo sicuramente difficile che non riuscivo a comprendere. Ripensando alla mia carriera penso di essere stato molto fortunato, anche nelle scelte che mi hanno permesso di raccogliere risultati importanti ed avere grosse soddisfazioni.”

Porsche, Lancia, Peugeot, Mercedes, Ferrari, hai guidato le vetture migliori della tua epoca.

“Ho pilotato tante vetture vincenti, ad ognuna ho legato parecchi ricordi, ma diventa difficile dire quale fosse la migliore. Quando una vettura vince diventa sempre bella, anche se è difficile da guidare. Forse la vettura che più mi ha impressionato è stata la Sauber Mercedes C11 del 1990, una vettura con delle prestazioni molto superiori a quelle degli avversari. Aerodinamicamente aveva un grande effetto suolo, il motore con tanti cavalli, ma non tutti i piloti che la provavano riuscivano ad andare forte, era molto professionale, ma se la capivi ti dava delle grandi emozioni e soddisfazioni, era una macchina vincente. Era anche molto bella nelle linee ed elegante nel classico argento Mercedes. Un’altra vettura che mi è rimasta nel cuore e la Ferrari 333Sp, con cui ho vinto a Daytona nel 1998 con Giampiero Moretti. Infine la Dallara-Judd un’altra ottima vettura, ben bilanciata che mi ha permesso di vincere nuovamente in Florida nel 2002:”

Della Ferrari F333Sp hai anche curato lo sviluppo

“La macchina era nata per volere di Piero Ferrari, Giampiero Moretti e Gian Luigi Buitoni. Come progetto era indovinatissimo nato per rispolverare il marchio del Cavallino in America, dove non correva ancora la F.1, il mondiale Endurance era morto, e nelle loro gare c’erano principalmente vetture statunitensi o Porsche. Era una macchina nata bene, con un grandissimo potenziale, senza nessun particolare difetto. Purtroppo non è stata sviluppata dalla casa madre. Piero Ferrari non aveva abbastanza peso all’interno del Consiglio di Amministrazione per imporre le sue idee, a Luca Montezemolo non è mai piaciuto il progetto e non lo ha mai appoggiato. E’ stato proprio Piero Ferrari, d’accordo con Jean Todt a chiamarmi per collaudare la vettura. Abbiamo fatto alcuni di test a Fiorano; verificato che la vettura era nata bene non c’è stato molto tempo per fare un vero sviluppo. Siamo poi andati con Moretti al Mugello, ma avevano montato dei cerchi sbagliati, uno si è rotto in appoggio all’arrabbiata ed ho distrutto la vettura. Siamo poi andati a Road Atlanta, io e Jay Cochran. La F333Sp è andata subito forte, ma mi sono dovuto ritirare per un problema meccanico, se mi ricordo bene alla trasmissione, lasciando la prima vittoria a Cochran. Abbandonata dalla casa madre, lo sviluppo della macchina è stato portato avanti negli anni dai vari team privati, mentre la revisione ed il poco sviluppo del motore è stato affidato a Michelotto. L’apice della F.333 SP è stata la vittoria a Daytona nel 1998, una gara eccezionale, solo qualche problema nelle prime fasi di gara per una toccata di Moretti, poi un crescendo fino al traguardo.”

La diversità tra F.1 e l’Endurance è la gestione della gara, la condivisione dell’abitacolo con un altro pilota.

“Quando guidi la stessa macchina devi condividere le stesse regolazioni, non ha senso che io mi regolo l’assetto solo per la mia guida e diventa inguidabile per il mio compagno. Spesso si arriva a dei compromessi ma è la via per ottenere i risultati. Il segreto a volte è fare equipaggi con piloti che hanno le stesse caratteristiche di guida per omogeneizzare le regolazioni, c’è chi preferisce una vettura sottosterzante o sovrasterzante, se hai piloti che hanno caratteristiche troppo diverse rischi solo di avere una vettura inguidabile per entrambi e non concretizzare nessun risultato”.

Hai avuto diversi compagni, tra cui due piloti di carattere come Schlesser e Wollek

“Con Schlesser c’era molto antagonismo, anche se, fuori dalle corse, c’era comunque simpatia. Nelle riunioni tecniche spesso ci si confrontava, ma le informazioni che dava lui erano alcune volte ambigue, creando indubbiamente delle tensioni interne. Per questo, Peter Sauber, ci mise sulla stessa vettura, per dovere collaborare ed evitare tensioni date dal risultato. Dal punto di vista umano Jean Louis è simpatico, molto divertente, abbiamo passato anche dei bei momenti in quegli anni. Il pilota che più mi ha impressionato negli anni delle gruppo C è stato indubbiamente Bob Wollek. Particolarmente sulle Porsche, forse per una tecnica di guida, era fortissimo, inavvicinabile. Dovevo fare dei numeri pazzeschi per raggiungere le sue prestazioni, aveva una decina di anni più di me e non capivo come facesse ad andare ancora così forte. Aveva un carattere veramente brutto, ma se riuscivi ad essergli amico era bello rapportarsi con lui. L’ho avuto come compagno negli anni della Lancia, ma con quella vettura non riusciva ad esprimersi al meglio, andava forte, ma le sue prestazioni erano più umane per noi giovani.”

Hai anche guidato la Peugeot ed avuto come Team Manager Jean Todt

« La 905 era una vettura molto moderna, innovativa, la prima con cambio sequenziale. Aveva un importante effetto suolo, tanto che tendeva a pompare alle alte velocità. Come vettura ha segnato un importante nuovo periodo nella progettazione dei prototipi, anche se si è dovuto fare diverse modifiche aerodinamiche sin dai primi test: a 250 all’ora saltava in rettilineo e diventava difficile da pilotare. Con Jean Todt mi sono trovato bene, è stato il mio responsabile per tre anni. Era una persona spesso criticata, decisionista, sicuramente un uomo di potere, ma sapeva fare molto bene il suo mestiere, sapeva fare lavorare ingegneri, meccanici e piloti. I risultati che ha ottenuto parlano per lui, ed ho molta stima di Jean Todt, che ho sempre reputato una persona seria.”

immagini © Massimo Campi

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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