Nel giorno dell’apoteosi Ferrari con Lauda mondiale, Bruno Giacomelli si laureò campione nella categoria cadetta nel Tempio della Velocità.
Di Carlo Baffi – immagini ©Massimo Campi – Raul Zacchè/Actualfoto
Il lontano 7 settembre 1975, fu una data davvero felice per l’automobilismo tricolore. Passò alla storia non solo per il trionfo del Cavallino, Regazzoni primo e Lauda iridato, ma anche per un nostro giovane talento che conquistò la corona nella Formula Italia, evento di contorno al 46° Gran Premio d’Italia. Parliamo di Bruno Giacomelli, nato a Borgo Poncarale (nei pressi di Brescia), il 10 settembre 1952. Dopo aver frequentato la scuola di pilotaggio di Henry Morrogh nel ’71, era passato in F. Ford 1600 nel 1972 per debuttare poi in F. Italia nel 1974. Un esordio da incorniciare dove salì sul gradino più alto del podio al Mugello nella gara di inaugurazione del circuito permanente sotto una pioggia battente. Era il preludio all’exploit del 1975: 4 vittorie in sette gare disputate, prima di presentarsi sul tracciato brianzolo. Ed anche qui, il driver della scuderia Mirabella Mille Miglia visto all’inizio come un outsider, avrebbe messo tutti in riga. Nelle due batterie disputate il sabato, prevalsero Riccardo Patrese nella prima, un altro “ragazzo” destinato ad una luminosa carriera e Giuseppe Bossoni. Giacomelli risultò invece quinto nella seconda manche al termine di un’eccellente rimonta (suo anche il giro più veloce in 2’02”03), complice una partenza non perfetta. Tutta un’altra storia invece nella finale in programma il giorno dopo con partenza alle 11:30. Una gara che inizialmente fu messa in discussione per via di un acquazzone scatenatosi nella notte e pure in mattinata in cui s’era perfino allagato il sottopasso alla prima curva di Lesmo. Condizioni che spinsero la direzione gara a concedere dei giri di prova per consentire ai piloti di saggiare la pista. Peccato che quattro di loro, qualificatisi nelle prime file finirono fuori: erano Ponzoni, Ruggeri, Crugnola e Cattini. Ma il calare della pioggia convinse gli organizzatori a far partire ugualmente la competizione. Rispetto al suo diretto rivale di classifica Patrese posizionato in prima fila, Giacomelli era in quinta posizione: una situazione decisamente sfavorevole che lo metteva alle strette. Ma sentiamo direttamente dalla sua voce come si svolsero i fatti.
“Innanzitutto, vorrei precisare – attacca Giacomelli – che quella domenica precedeva di tre giorni il mio compleanno. Beh, in quella stagione lavorai fino a metà giugno in una fabbrica dove, in una rubinetteria vicino a casa, costruivo gli stampi per la loro realizzazione. Mi dividevo fra il tornio, la fresa ed il pantografo e nel frattempo correvo nella Formula Italia. Poi a metà stagione, essendo in testa al Campionato decisi, supportato economicamente in primis dalla mia famiglia insieme al caro amico Edo, di abbandonare il lavoro potendomi concentrare esclusivamente sul campionato. Avevo buone possibilità di vincere il titolo, non volevo affatto lasciarmi sfuggire l’occasione ed infatti vinsi con addirittura tre gare in meno dei miei rivali (la classifica finale recita: Giacomelli p.ti 45 e Patrese 39 – ndr). Le ultime due non le disputai perché ero matematicamente campione, mentre per quella di Varano del 4 maggio, la scuderia inviò in ritardo l’iscrizione e non mi fecero correre, malgrado fossi leader in classifica.”
Ed arriviamo alla fatidica Monza…
“Mi ero già imposto al Mugello, poi a Varano ed in entrambe le corse pioveva. A Monza si scatenò un nubifragio nella notte ed al mattino la pista era bagnata. Inoltre, sul rettilineo c’era una chicane assurda per rallentare le monoposto di Formula Uno. Partii abbastanza bene passando un avversario al curvone, alla prima di Lesmo c’era Patrese in testa ed io secondo. Lui andò in testa coda e lo superai. Da li in avanti allungai involandomi verso il traguardo. In realtà avevo fatto dei test sul bagnato ed avevamo scoperto alcuni dati sulla pressione delle gomme che ci aiutarono parecchio.”
A quella vittoria a mani basse, seguì una grande festa?
“Ad essere sincero, quando vincevo si festeggiava senza esagerare, certo eravamo tutti felici, a partire dal mio preparatore di Bologna Gianni Cevenini, il quale era al primo anno in cui si occupava di monoposto, perché fino ad allora era impegnato nella preparazione delle FIAT 500 di gruppo 2. Fui proprio io a regalare la prima vittoria alla sua officina. Quindi tanta gioia, ma senza scenate; non le feci nemmeno quando vinsi in F.3 a Monte Carlo l’anno dopo.”
Vinto il titolo rimase a vedere il Gran Premio di Formula Uno ed il tripudio del Cavallino?
“Sinceramente non me lo ricordo, ma ti dico che non era la mia priorità. La conquista di quel campionato mi aveva proiettato in paradiso. Avevo iniziato a correre nel ’72 con la Formula Ford senza il becco di un quattrino ed ero di estrazione motociclistica.
Quel 7 settembre, segnò uno spartiacque nella sua carriera?
“Io non ho mai pensato di arrivare chissà dove. Ho sempre proceduto step by step, affrontando di volta in volta quello che mi trovavo davanti. Io sono un credente e non ho mai pregato per vincere una corsa, si prega per altri motivi. Piuttosto pregavo per avere la forza al fine di dare il cento per cento, ma non perché mi piovesse sulla testa il risultato. Dovevo dare il massimo per mettere in pratica quello che andava fatto: dalla preparazione alla serietà fino alla disciplina, quella che appresi nei miei anni di collegio, una scelta fatta di mia spontanea volontà. Un senso del dovere che imparai anche durante il militare, anno 1973, quando allora erano previsti 14 mesi di leva. Io ebbi la fortuna di prestare servizio nella motorizzazione, facevo l’istruttore insegnando la guida dei camion agli alpini e mi congedai col grado di sergente maggiore. Tutto ciò dopo il primo anno di Formula Ford, perché precedentemente avevo disputato tre gare del campionato regionale di motocross con i 50, avevo 14 anni e mi ruppi pure un ginocchio che mi duole ancor’oggi. Dopodiché attesi i diciannove anni per ottenere la licenza di conduttore. Per cui da un punto di vista agonistico ho un’esperienza limitatissima. Per fare un esempio, Patrese era già campione del mondo di go kart, una categoria che non ho mai frequentato, mentre quasi tutti i miei colleghi provenivano da li.”
Il racconto di “Jack O’ Malley”, come venne soprannominato in Gran Bretagna durante le stagioni in cui fece incetta di successi tra F.3 e F.2, prosegue con un interessante risvolto legato alla numerologia.
“Quel 7 settembre, fu la prima volta che scesi in pista col numero 1 e vinsi. Nella mia carriera di pilota ho sempre avuto un rapporto particolare coi numeri. Ci sono delle coincidenze pazzesche. Una su tutte: quando vinsi a Monaco in F.3, era il 1976, la mia March era la 763 sulla quale avevo il numero 76 e la camera all’Hotel Europa di Mentone dove alloggiavo con il mio team era la 76! Correvo per la prima volta nel Principato, feci la pole, mi imposi nella batteria col giro più veloce e nella finale, sempre con la tornata più rapida, stabilendo un record che durò ben 5 anni. Quando mi laureai Campione Europeo di F.2 nel ’78, trionfai in 8 gare ed ebbi il numero 8 per tutta la stagione. Sull’Alfa Romeo in F.1 portai per tre anni il 23 che viene ritenuto da tanti un numero fortunato. Guarda caso la mia prima gara in carriera la vinsi il 23 giugno del 1974 e Robin Herd, il co-fondatore della March con la quale mi aggiudicai il titolo in F.2 nacque il 23 marzo: March per l’appunto! A Monza vinsi nel ’75 e Lauda si laureò campione, mi imposi a Monte Carlo nel 1976 e Niki si affermò il giorno dopo. A scavare nel passato, ci sarebbero tante altre combinazioni a dir poco incredibili.”
Nella sua carriera Bruno Giacomelli approdò in Formula Uno nel 1977 al volante di una McLaren in occasione del Gran Premio d’Italia a Monza e sarebbe proseguita fino al 1983. Dopo il debutto con la scuderia inglese (biennio ’77 e ‘78), nel 1979 venne ingaggiato dall’Alfa Romeo che ritornava nella massima serie dopo una lunghissima assenza. In qualità di portacolori del Biscione siglò una storica pole a Watkins Glen nel 1980 in cui vide sfumare il trionfo al 32° dei 59 passaggi previsti causa un guasto tecnico. Sempre negli States, la stagione dopo fu terzo sul toboga di Las Vegas.
Memorabile anche il suo quinto posto ad Hockenheim nell’80, dopo esser partito 19°. Purtroppo il bilancio degli anni trascorsi con la scuderia del Portello non rispecchia certo il valore di Giacomelli, molto spesso vittima dell’inaffidabilità delle monoposto a disposizione. Lasciata l’Alfa nel 1983, fu alla guida di una poco competitiva Toleman, con la quale siglò un 6° posto nel G.P. d’Europa a Brands Hatch: da rimarcare che s’era qualificato 12° e risalì alla grande. Dopo essersi cimentato nella Formula Indy e nelle gare endurance, tornò in F.1 nel 1990 con l’italiana Life, accettando con coraggio e determinazione una sfida che si rivelò alquanto complicata. Prima di abbandonare definitivamente le competizioni, “Jack O’ Malley” si tolse la soddisfazione di salire sul gradino più alto del podio in Giappone nella “1000 Chilometri del Fuji” a bordo di una Porsche 962. Era il 1988.










