Di Carlo Baffi – immagini ©Massimo Campi – Raul Zacchè/Actualfoto – Enrico Ghidini
La McLaren è nuovamente la regina del circus, le vetture inglesi stanno dominando in modo assoluto la stagione in corso. Una supremazia che ci riporta alla memoria gli anni in cui sotto la guida di Ron Dennis ha mietuto storici trionfi prima della crisi durata alcune stagion. Un lungo viaggio nel passato di una squadra gloriosa sempre in grado di rialzare la testa.
Ricordiamoci un data: 25 novembre 2012 quando Jenson Button al volante della McLaren si aggiudicava il Gran Premio del Brasile ad Interlagos, gara conclusiva del mondiale di F.1. Per il team di Woking era la settima vittoria stagionale (3 per Button e 4 per Hamilton), che lo issava al terzo posto tra i costruttori con 378 punti. S’era piazzato alle spalle di Ferrari e Red Bull, la squadra dominatrice terminata a quota 460. Ecco, da qui in poi quel team d’oltre Manica che occupava costantemente una posizione di vertice piombò in un vortice negativo fino a quel momento inimmaginabile.
Gli albori – Creata nel lontano 1963 dal pilota neozelandese Bruce McLaren, la compagine omonima debuttò in F.1 tre anni dopo a Monte Carlo proprio col suo creatore iniziando a farsi largo per cogliere poi la sua prima vittoria a Monza con Denny Hulme nel ’68. Malgrado la scomparsa di McLaren, perito nel 1970 a Goodwood nel corso di un test con la vettura Can-Am e sostituito dal manager Teddy Mayer, il team conquistò il primo titolo mondiale nel 1974 con Emerson Fittipaldi bissandolo nel ’76 con James Hunt, nel finale thrilling al Fuji contro la Ferrari di Niki Lauda. Seguì un quadriennio opaco condizionato da problemi economici fino al cambio di proprietà che segnò l’inizio di una nuova era, quella di Ron Dennis.
Dimensione vertice – Parliamo di un ex-meccanico, nato a Woking nel 1947, mosso da una sfrenata ambizione nella cui filosofia di vita non era contemplata la parola sconfitta. Dismessa la tuta, vestì i panni del manager facendo carriera ed il 1 novembre del 1980 diede vita alla McLaren International (fusione tra la McLaren Racing di Mayer e la sua compagine, la Project Four Racing). Decisiva fu la volontà della Marlboro, il tabaccaio title sponsor della squadra che sposò i progetti di Dennis, i quali diedero una svolta radicale sia sotto il profilo tecnico con l’ingaggio del “mago” John Barnard (al posto di Gordon Coppuck), che all’immagine. La factory si trasferì a Woking nel West-Surrey, occupando un’area di circa seimila metri quadri dove vennero prodotte internamente le vetture, ad eccezione dell’unità motrice. Era presente pure una galleria del vento in scala 1/3, poco distante dalla sede. Dei vecchi capannoni non rimase manco l’ombra, ora era quasi tutto asettico, curato in maniera maniacale.
Dennis aveva intuito quanto fosse importante calamitare gli sponsor in F.1 e non a caso creò un ufficio marketing preposto a tutte le iniziative promozionali. “Mister Meticulous”, come lo aveva soprannominato una parte della stampa britannica, era conscio del potenziale crescente e promise alla Marlboro una vittoria già nel 1981, che puntualmente venne siglata. Merito di John Watson, che s’impose nel G.P. di Gran Bretagna a Silverstone il 18 luglio. Il nordirlandese pilotava la MP4/1 la prima rivoluzionaria monoposto in carbonio: la F.1 aveva varcato una nuova frontiera in materia di sicurezza grazie alla McLaren, che tornava ad essere un team appetibile per i piloti. Niki Lauda infatti, ritiratosi nel ’79 si rimise al volante proprio di una vettura bianco-rossa e nel 1984 conquisterà la sua terza corona iridata, per un misero mezzo punto sul compagno Alain Prost, il giovane fuoriclasse transalpino messosi in luce con la Renault.
In quella stagione, la MP4/2 ideata da Barnard dominò con 12 vittorie (4 doppiette), 7 per Prost e 5 per Lauda riconquistando il titolo costruttori che mancava dal 1974: il divario tra la McLaren a quota 143,5 e la Ferrari seconda a 57.5 parlava chiaro. Un trionfo ripetuto l’anno dopo, questa volta però fu Prost a gioire, aggiudicandosi la sua prima delle quattro iridi. Il francese, classe 1955, ebbe la meglio sul ferrarista Michele Alboreto, complice uno sciagurato cambio del fornitore delle turbine che equipaggiavano lo 031 della Rossa. Bis anche nella graduatoria marche, sebbene il margine sul Cavallino si limitasse a sole 8 lunghezze. Nel frattempo l’evoluzione aziendale continuò e la McLaren International divenne una holding, di cui facevano parte la Tag-McLaren Marketing Service Ltd. e la Tag-McLaren Research Ltd. La prima struttura curava le operazioni finanziarie ed i rapporti con gli sponsor, mentre la seconda seguiva i programmi futuri sotto il profilo tecnico, compresi i lavori per conto terzi. Fondamentale fu la presenza del miliardario franco-saudita Mansour Ojjeh, titolare della Tag entrata in F.1 sul finire degli anni ’70 e soffiata alla Williams di Sir Frank. Il sodalizio tra Dennis e Ojjeh era forte e culminò con l’entrata nel capitale societario di quest’ultimo che acquistò per 800 mila sterline le quote di Barnard.
Nel 1986, la McLaren finì dietro la Williams-Honda, per contro rimase al vertice tra i conduttori con Prost campione per la 2^ volta, beffando i rivali Mansell e Piquet (Williams) nell’ultima trasferta di Adelaide. Perduto Barnard emigrato a Maranello, Dennis ingaggiò un altro genio, ovvero Gordon Murray, artefice dei successi della Brabham. Non solo, l’obsoleto V6 Porsche fu rimpiazzato dal potentissimo e più compatto 6 cilindri Honda carpito alla Williams e Dennis si assicurò pure il nuovo fenomeno della F.1, un certo Ayrton Senna nato a San Paulo il 21 marzo 1960. Era il preludio al 1988 dei record in cui le MP4/4 siglarono 15 trionfi su 16 gare. L’unica battuta a vuoto si verificò a Monza, quando snella sorpresa generale fu doppietta Ferrari a poche settimane dalla scomparsa di patron Enzo. Il mondiale 1988 salutò la prima incoronazione di Senna autore di 8 vittorie contro le 7 di Prost, le doppiette furono 10, i podi 25 e le pole 15. Nel mondiale costruttori la McLaren chiuse con 199 punti contro i 65 della Ferrari ed i 39 della Benetton. La marcia trionfale proseguì nell’89, ma la rivalità tra Senna e Prost degenerò in una feroce faida che toccò il suo apice nel G.P. del Giappone con l’aggancio tra le due MP4/5 alla chicane di Suzuka. Il brasiliano ripartì e vinse, ma fu squalificato e la corona finì sul capo del francese tra mille polemiche. Dennis però poteva gongolare alla vista del bilancio: 10 successi, 18 podi, 15 pole e titolo costruttori con 64 punti di vantaggio sulla Williams-Renault ed 82 sul Cavallino. L’entusiasmante disfida tra i due big vivrà un terzo atto nel 1990, ma con Prost in veste di portacolori della Ferrari. I due si giocarono la partita finale ancora a Suzuka e l’epilogo fu una collisione violenta subito dopo il via. Monoposto in sabbia e titolo ad Ayrton che molto tempo dopo confesserà di aver premeditato il botto per ripagare l’odiato rivale della manovra dell’89. La MP4/5B motorizzata Honda siglò 6 affermazioni col paulista, 18 podi e 12 poles. Mondiale costruttori ancora a Woking con 11 lunghezze sulla Rossa. Il ciclo vincente della McLaren si esaurirà nel 1991 con la MP4/6 con la quale Senna mise in bacheca il suo terzo mondiale. Anche il team mantenne la leadership (6 trionfi, 18 podi e 10 pole) contrastando una sempre più minacciosa Williams-Renault che detterà legge l’anno dopo con Mansell campione. La perdita dei motori Honda nel 1993 creò ulteriori difficoltà e solo Senna con le sue magie (come dimenticare quella di Donington sotto la pioggia?) tenne alto l’onore fino a quando riuscì a raggiungere l’ambito volante della Williams-Renault che aveva permesso a Prost di tornare iridato dopo un anno sabbatico.












