Storia

Published on Novembre 18th, 2023 | by Massimo Campi

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GP di Las Vegas 1981: Il calvario di Reutemann

 

Di Carlo Baffi – immagini ©Raul Zacchè/Actualfoto

Il primo Gran Premio corso nella città dell’azzardo, fu decisivo per l’assegnazione del Campionato del Mondo di F.1 vinto da Nelson Piquet sulla Brabham.

La stagione 1981 fu alquanto combattuta e visse di una lotta a tre sino all’ultimo round. Una corsa in cui si consumò contro ogni pronostico la sconfitta di Carlos Reutemann, il quale poteva contare sulla monoposto più competitiva del lotto, la Williams motorizzata Cosworth. Una disfatta che mise ancora una volta in evidenza i limiti caratteriali del pilota argentino.

Il pessimista – Fu senza dubbio uno dei drivers più eleganti ed affascinanti della Formula Uno, nonostante quell’espressione cupa e tenebrosa, che l’ha da sempre contraddistinto. Un uomo dal carattere complesso spesso preda di dubbi e timori, che condizionarono non poco la sua carriera limitandone la classe e le doti velocistiche. Potremmo riassumere così la figura di Carlos Alberto Reutemann, detto “Lole” e meglio noto anche come il “gaucho triste”. Non a caso il grande Enzo Ferrari, nel suo volume “Piloti che gente”, lo aveva descritto come un uomo “tormentato e tormentoso”. Nato a Santa Fe il 12 aprile del ’42, Reutemann si mise in luce sin dagli esordi con le vetture turismo e poi con le monoposto di F.2. Un viatico che lo portò al debutto in F.1 nel gran premio di casa nel 1972 sulla Brabham con cui siglò la pole. Venne ingaggiato dalla Ferrari nel 1977 ritrovandosi al fianco il grande Niki Lauda prima ed il funambolo Gilles Villeneuve poi. Il passaggio alla Lotus non fu una scelta felice e così “Lole” puntò sulla Williams, la giovane scuderia britannica che aveva appena vinto il mondiale con Alan Jones. Una realtà in ascesa sulla quale il sudamericano contava di coronare il sogno iridato. E ci sarebbe andato molto vicino, giocandosi il titolo a Las Vegas.

Il ring del Nevada – Il circuito non era quello dove questo fine settimana andrà in scena il penultimo Gran Premio della stagione di F.1 2023. A differenza del layout attuale che si snoda per le vie della capitale del gioco d’azzardo, il 17 ottobre del 1981 le monoposto si affrontarono su una pista alquanto anomala. Era stata ricavata nel parcheggio dell’Hotel/Casinò Caesars Palace, il complesso divenuto famoso per aver ospitato numerosi match di pugilato. Il tracciato era tortuoso, lungo 3650 metri, con 14 curve tra i muretti parecchio insidiosi. L’idea di far sbarcare il Circus nella città che non dorme mai, era stata di Bernie Ecclestone. Il proprietario della Brabham che stava scalando i vertici della F.1 per avere il potere economico di una serie che aveva cambiato volto grazie ai munifici introiti legati agli sponsor ed ai diritti televisivi.

La vigilia – Come anticipato, Reutemann aveva a disposizione la fortissima FW07C con cui si era imposto in Brasile ed in Belgio, a cui si erano aggiunti importanti piazzamenti che gli avevano permesso di presentarsi in America con 49 punti all’attivo. L’avversario più vicino (a quota 48) era il brasiliano Nelson Piquet, classe 1952, alla sua quarta stagione nella massima categoria. Anch’egli poteva contare su una monoposto molto competitiva, la Brabham-Cosworth BT49 progettata dal vulcanico Gordon Murray, con cui aveva siglato tre successi in Argentina, ad Imola ed in Germania. Era incappato però in quattro ritiri, contro i tre di Carlos. Più staccato si trovava invece il francese Jacques Laffite a sei lunghezze dal vertice. Guidava la Ligier spinta dal motore Matra e s’era affermato in Austria ed in Canada, due settimane prima. Puntava a recitare il ruolo del terzo incomodo, pur essendo conscio delle poche chances a disposizione. Ma il vero nemico, Reutemann ce l’aveva in casa. Parliamo di Alan Jones, il 34enne australiano Campione uscente. Fin dall’inizio la convivenza tra i due si rivelò problematica, con l’iridato deciso a dare del filo da torcere al nuovo compagno. E figuriamoci se accettava di fare lo scudiero, malgrado fosse tagliato fuori dai giochi. Frank Williams se ne guardava bene dall’impartire ordine di scuderia, benché ci fosse in ballo il mondiale piloti. Il suo obiettivo primario l’aveva raggiunto in anticipo, ovvero il titolo costruttori bissando il trionfo dell’anno prima. Seguito dalla consorte “Mimicha”, Carlos appariva molto concentrato cercando di curare ogni minimo dettaglio sapendo benissimo di poter contare soltanto su se stesso:” Purtroppo in F.1, i giochi di squadra sono difficili e pericolosi – ammetteva l’argentino – per cui non mi aspetto alcun regalo da Jones.” Del resto Alan era stato chiaro:” Non commetterò alcuna scorrettezza nei confronti di Carlos, ma allo stesso modo non sono disposto a rinunciare alla vittoria. A Reutemann può bastare anche un secondo posto, o comunque arrivare davanti ai suoi rivali.” E sin dalle prove libere, l’australiano mostrò le sue intenzioni ottenendo il miglior tempo davanti all’Alfa Romeo del pilota di casa Mario Andretti. Reutemann, terzo, fu protagonista di un incidente in cui rimase coinvolto proprio Piquet. Un episodio accidentale, dal momento che Carlos era finito in testa coda in curva 11 ed il brasiliano che stava sopraggiungendo gli finì addosso. Nessun danno per i drivers e niente scambio di accuse, a prevalere fu il fair-play. Ad avere la peggio fu però la Williams complice la rottura della sospensione, che costrinse il capoclassifica ad impiegare il muletto col quale agguantò la pole position in 1’17”82. Dietro di lui Jones, poi la Ferrari di Villeneuve e Piquet, solo quarto. Con la partenza al palo, la domenica di Reutemann si annunciava in discesa. Gli bastava tenere la testa e gestire la situazione per i 75 giri previsti. Invece sarebbe andato in scena un copione diverso, scritto da destino beffardo, dove nella mente del poleman si materializzarono i fantasmi frutto della scarsa fiducia in sé stesso.

La gara – Alla partenza, Reutemann che si fece bruciare da Jones, perse posizioni per colpa di un cambio capriccioso. E mentre il suo compagno era leader davanti a Prost, Villeneuve, Giacomelli sull’Alfa, Laffite e Watson, l’argentino sprofondò al settimo posto. Per sua fortuna, Piquet si trovava ancora alle sue spalle, complice uno start da dimenticare. Il brasiliano però, intuendo la crisi che stava vivendo il suo diretto rivale, ruppe gli indugi al 15esimo passaggio e due tornate dopo lo superò. Non pago della posizione, proseguì la sua offensiva e sopravanzò anche Watson. inseguitori. A metà gara, Jones proseguiva indisturbato la sua fuga e nelle retrovie infuriava la bagarre tra Piquet, uno scatenato Prost e Laffite. Per Reutemann invece, la strada si fece ancora di più in salita dopo esser stato superato da Giacomelli che lo estromise dalla zona punti. I colpi di scena però non erano ancora finiti. Anche Piquet cominciò a perdere terreno, superato prima da Mansell e poi dalla 179C di un indomito Giacomelli. Nelson era sesto e Carlos settimo, ma il carioca poteva contare su un margine di ben 20”. Le ultime battute videro il crollo totale di Reutemann che a differenza di Piquet risalito quinto, cedette ulteriore terreno chiudendo ottavo ad un giro dal vincitore, Jones. Alle spalle della Williams numero uno, si piazzarono Prost sulla Renault e Giacomelli, al suo primo podio in Formula Uno. Mansell a bordo della Lotus precedette Piquet che in virtù della quinta piazza si laureò Campione del Mondo, con un punto in più di Reutemann. Era il secondo brasiliano a diventare iridato dopo Emerson Fittipaldi. Appena tagliato il traguardo, vuoi per la tensione accumulata e la fatica di una gara tiratissima, vuoi per la troppa gente intorno (dal Brasile erano giunte un migliaio di persone), Nelson svenne per pochi istanti. Portato al centro medico del circuito, si riprese subito e dopo il podio incontrò i giornalisti, mostrandosi ancora un po’ frastornato. “Quando ho superato Reutemann – racconta – ho capito che le cose si mettevano bene. Carlos era su una macchina che non stava in strada e sportivamente si è messo da un lato lasciandomi passare. Un altro magari mi avrebbe buttato fuori, come fece Jones lo scorso anno in Canada. Ho temuto il peggio quando ho sorpassato Giacomelli, che mi si è riaffiancato per attaccarmi di nuovo. In quel momento ero distratto e se fossi finito fuori pista sarebbe stata solo colpa mia. Ho faticato molto ed ho capito di aver conquistato il titolo solo davanti alla bandiera a scacchi. Avevo le gomme posteriori che vibravano e temevo che da un momento all’altro succedesse qualcosa.” Ma tutto andò per il meglio ed il nuovo Re potè godersi la festa insieme al team ed all’onnipresente Sylvia, l’affascinante fidanzata olandese. Per ironia della sorte, il ristorante scelto per le celebrazioni si chiamava “Carlos”.

La gavetta – Gli Stati Uniti avevano così regalato un’altra gioia a Piquet. Il 30 marzo dell’anno precedente, aveva firmato il suo primo trionfo su un altro tracciato cittadino americano, quello di Long Beach e da lì era cominciata la sua ascesa ai piani alti della classifica. In quell’annata fu infatti secondo dietro a Jones. Una storia davvero singolare la sua. Proveniva da una famiglia abbiente ed il padre voleva che diventasse un giocatore di tennis. L’aveva spedito in California (ancora gli Usa, quando si dice il destino) da un luminare della materia per fare apprendistato. L’esperimento fallì perché il ragazzo, allora 15enne, sognava di affermarsi in un altro sport, quello legato ai carburatori ed ai pistoni. Ostinato nella sua scelta e con pochi mezzi, emigrò in Inghilterra, patria dei motori, dove iniziò a cimentarsi su una vettura di F.3. Correva con le sue vere generalità, Nelson Souto Maior: Piquet era il cognome della madre, adottato in seguito in quanto breve e facile da pronunciare. Un’avventura difficile all’insegna del risparmio in cui c’era anche un pizzico di Italia. Il sudamericano era gestito da Ferdinando Ravarotto, una figura arcinota nelle categorie addestrative ed i motori arrivavano da un’azienda di Novara, la “Novamotor”. Il talento e lo spirito di sacrificio permisero a Nelson di mettersi in evidenza e di raggiungere la meta prefissata: la F.1 e con la Brabham, la scuderia tanto ambita. Il primo contatto con la compagine inglese ebbe luogo ad Interlagos nel 1974, quando 22enne e con alcune competizioni alle spalle, s’improvvisò fattorino del team. Provvedeva alle vettovaglie dei meccanici e di notte dormiva nel box per sorvegliare le monoposto e le attrezzature. In quell’occasione conobbe Murray, il giovane ingegnere sudafricano a cui Ecclestone aveva affidato la parte tecnica della squadra. Un rapporto che si trasformò in amicizia anni dopo, quando i due si rincontrarono sulle piste inglesi di F.3. Un cerchio che si sarebbe chiuso definitivamente nel 1978, con l’ingaggio da parte della compagine storica fondata da Jack Brabham. “In quel momento toccai per la prima volta il cielo con un dito. La seconda – avrebbe confessato il carioca – è stata a Las Vegas quattro stagioni dopo.”

Lo sconfitto – Di umore decisamente opposto, Reutemann che terminata la via Crucis si ritirò deluso in albergo. “E’ da dieci mesi che lotto per ottenere il risultato, ho fatto una preparazione psicologica e fisica massacrante ed oggi mi sento crollare tutto addosso. Non so cosa dire – confessò l’argentino  – certamente sono stato sfortunato, ma ho dovuto lottare contro delle cose che erano più forti di me.” L’allusione alle frizioni con Jones era palese. E riguardo alla corsa:” Nella mattinata avevamo visto che sulla macchina di Jones le gomme si riscaldavano troppo, per cui abbiamo optato per montare una gomma durissima nella parte posteriore destra. Una mossa rivelatasi sbagliata. Inoltre avevo delle molle più dure rispetto al mio compagno e dopo tre giri, la mia vettura era inguidabile, con delle vibrazioni talmente forti che mi hanno distrutto le braccia. Non potevo lottare, ho sperato fino all’ultimo giro. Solo allora ho capito di aver perso il titolo. E la cosa peggiore è che non avrò più nessun’altra occasione per conquistarlo.” Un’ammissione molto amara, ma realistica. Nel 1982 Carlos disputò i primi due G.P. per poi appendere il casco al chiodo. In undici stagioni di F.1, aveva disputato 146 gare, riportando 12 successi, 46 podi e 6 pole position. Abbandonate le competizioni, Reutemann si dedicò alla politica ricevendo due mandati come governatore dello stato di Santa Fe. Ebbe anche la possibilità di partecipare alle elezioni presidenziali argentine, ma alla fine rifiutò di candidarsi. A seguito di una lunga malattia, scomparve a 79 anni il 7 luglio del 2021 in una clinica della sua città natale. Nella storia del Circus, Reutemann figura comunque tra i campioni argentini che hanno lasciato il segno, come Froilan Gonzalez e l’impareggiabile Juan Manuel Fangio.

Tricampeao – Nelson Piquet invece, sarebbe rimasto in F.1 sino al 1991 ed avrebbe conquistato altre due corone iridate, (una più di Fittipaldi). Sulla Brabham-Bmw nel 1983 e l’altra sulla Williams-Honda nel 1987 dopo una feroce rivalità col compagno Nigel Mansell. Corse con la Lotus nel biennio 1988-89 senza grandi acuti e chiuse la carriera con la Benetton al fianco di un giovane astro nascente, Michael Schumacher. In 207 G.P. firmò 23 vittorie, 60 podi e 24 pole. Continua tutt’oggi a calamitare l’interesse dei media, sia per la sua dialettica schietta che spesso rasenta il cinismo, con rasoiate a destra e a manca. Sia per la sua prossima parentela con l’attuale dominatore assoluto del Circus Max Verstappen fidanzato con Kelly, la figlia avuta da Sylvia.

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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