Published on Settembre 13th, 2023 | by Massimo Campi
060 anni McLaren: in principio fu il kiwi
Di Carlo Baffi
Il team fondato dal neozelandese Bruce McLaren ha una storia gloriosa che sconfina in tanti campi. Un racconto che può essere ripercorso seguendo l’evoluzione del marchio della factory e della livrea delle vetture.
Il suo primo Gran Premio in F.1 è datato 22 maggio 1966. Più precisamente sul circuito cittadino di Monte Carlo, dove venne portata al debutto dal suo fondatore, il neozelandese Bruce McLaren, classe 1937. Per la verità, la Bruce McLaren Motor Racing Ltd era nata il 2 settembre del 1963 e da allora è trascorso oltre mezzo secolo, in cui quell’officina è divenuta una holding con attività che orbitano in svariati settori: dal motorsport all’ automotive, dalla produzione di componenti elettronici alle consulenze tecniche, fino alla progettazione di prodotti hi-tech. In campo sportivo i risultati sono eloquenti: dei 938 GP iniziati, ne ha conquistati 183. I titoli mondiali piloti sono 12, mentre quelli costruttori sono 8. Numeri che fanno della McLaren una scuderia che ha scritto la storia dell’automobilismo, attraverso le sue imprese e perché no, anche attraverso le sue particolari livree ed i simboli che l’hanno contraddistinta. Quando McLaren decide di creare un proprio team, è già un pilota affermato. Dopo gli esordi sulle piste di casa in Nuova Zelanda, McLaren sbarca in Europa, dove nel ’58 debutta in F.1 e l’anno dopo conquista la sua prima vittoria nel GP degli Stati Uniti, a Sebring, sulla Cooper Climax. Per sei stagioni, McLaren resterà alla Cooper arrivando secondo e terzo nei mondiali ’60 e ‘62. Nel frattempo, segue l’esempio dell’amico Jack Brabham, che nel 1961 aveva deciso di passare da pilota a costruttore. Nella sede di Slough, nei pressi di Londra, si concentra subito sui campionati minori come la Tasman Cup. Una categoria sorta nel 1964, il cui calendario prevede gare su tracciati, per lo più stradali, in Australia e Nuova Zelanda.
Vengono preparate due Cooper T70 con motore Climax da 2700cc dalla livrea dipinta col classico “British Racing Green”, recante sul cofano anteriore due linee parallele verticali bianche, che si innestano su un’altra parte bianca, intorno al musetto. Questa serie vedrà trionfare proprio McLaren, ma segnerà la scomparsa del suo compagno, il giovane driver americano Timmy Mayer, fratello di quel Teddy di professione avvocato, che di lì a poco diverrà il team manager della scuderia. Per conoscere la prima McLaren della storia occorre attendere il 1° settembre 1964, quando a Goodwood viene testata una sport, denominata M1A con motore Oldsmobile da 4,5 litri. Un modello che il 10 ottobre siglerà la prima vittoria McLaren nella gara di qualificazione che precede il Los Angeles Times GP, sulla pista americana del Riverside International Raceway.
La vettura sfoggia una colorazione nera e argento, in omaggio ai colori nazionali neozelandesi, così come il kiwi, il volatile icona della Nuova Zelanda che campeggia al centro dello scudetto della scuderia. Lo studio grafico del logo porta la firma di un amico di McLaren, Michael Turner, che diviene anche il designer della M1A. Turner è un illustre artista inglese, divenuto famoso per i suoi dipinti nel campo dell’aviazione e del motorsport. Di forma tondeggiante, all’interno dello stemma bordato di rosso amaranto, si trovano una monoposto stilizzata nera su fondo verde scuro nella parte superiore ed una bandiera a scacchi (verde pure questa) come sfondo al kiwi nero. Nel 1965, compare una nuova livrea: rossa con striscia centrale argento ed oltre alla M1A, scende in pista anche la M1B. Le affermazioni non mancano, anzi. Dai circuiti europei al Canada (Mont-Tremblant), per arrivare a Daytona. Nella stagione successiva, dopo il trasferimento della sede a Feltham, nel Middlesex, inizia a prendere corpo definitivamente il progetto F.1. McLaren ingaggia Robin Herd, un eccellente ingegnere aeronautico e, nell’autunno ’65, la M2A (vettura laboratorio) effettua alcune tornate di prova a Brands Hatch. Un modello che viene successivamente aggiornato e che nel 1966 esordisce nel Principato di Monaco con la sigla M2B. La livrea della monoposto è alquanto semplice; interamente bianca, decorata con una linea verticale verde scuro sul musetto. E’ ovviamente pilotata da McLaren, che dopo dieci passaggi deve abbandonare, complice una perdita d’olio. Nel round successivo, a Brands Hatch, McLaren arpiona il primo punto iridato, piazzandosi sesto. E altri due punti arriveranno dalla trasferta in Usa a Watkins Glen, con McLaren quinto.
Il 1967 vede la McLaren spostare ancora la sede, questa volta a Colnbrock, mentre nel mondiale fa il suo esordio dapprima la M4B (una F.2 modificata) spinta da un motore BRM V8 e successivamente la M5A, leggermente più grande per montare il V12. Rispetto a prima le monoposto sfoggiano una colorazione rossa, con una fascia bianca orizzontale posta intorno al musetto, oppure una linea verticale grigia lungo il cofano anteriore. Una livrea che però dovrà essere abbandonata, in quanto il rosso è destinato alle vetture italiane, in primis la Ferrari. Novità anche per il logo della scuderia, in cui il soggetto principale resta sempre il kiwi, bensì in versione “speedy”, ossia molto più stilizzato in modo da esprimere graficamente una maggiore dinamicità. L’autore è sempre Turner, che sullo sfondo inserisce l’arancione brillante. Una tonalità nuova che sarà adottata dalla McLaren per tutte le sue vetture per ben quattro stagioni. Non solo in F.1, ma anche in altre categorie, come la Can-Am; una serie dove l’arancio McLaren spopolerà per un lustro. Dal ’67 al ’71 saranno le McLaren-Chevrolet a conquistare il titolo, con McLaren, Hulme e Revson. Nella Tasman Cup invece, le M4A Ford sono dipinte di rosso. Ma l’arancio si rivela ben presto beneaugurante. Il 1968 si apre con la vittoria nella Race of Champions di Brand Hatch e nel Daily Express Trophy a Silverstone, due gare per vetture di F.1 non valide ai fini del mondiale. E’ il viatico per il primo trionfo nel GP del Belgio. Il 9 giugno, sullo storico tracciato di Spa-Franchorchamps, la versione M7A Ford progettata dal nuovo tecnico Gordon Coppuck scende in pista con ben tre esemplari. I piloti sono: McLaren, Hulme (Campione del Mondo in carica) e Bonnier. Complice una sosta ai box nel finale, per effettuare un rabbocco di benzina, il leader Stewart vede sfumare la vittoria che va a McLaren che lo seguiva in seconda posizione.
La carrozzeria arancione reca la scritta McLaren Cars posta sulla pancia laterale sinistra accanto al numero di gara e poco sopra all’altezza del cockpit è raffigurato il piccolo kiwi nero. In quella stagione le vetture inglesi saranno una vera rivelazione, tanto che a due gare dal termine, Hulme è primo in classifica con Graham Hill. Due incidenti consecutivi consentiranno all’inglese della BRM di laurearsi campione, mentre il neozelandese chiuderà terzo, superato anche da Stewart. La McLaren invece sarà seconda tra i costruttori a undici punti dalla Lotus. Nelle stagioni successive, i risultati saranno un po’ al di sotto delle aspettative e quando nel 1970 le attese sono confortate da due secondi posti nei primi GP stagionali, la scuderia è sconvolta da una tragedia che segnerà indelebilmente il futuro. E’ il 2 giugno quando, nel corso di un test a Goodwood con la M8D, Bruce McLaren rimane vittima di un incidente mortale. La sua vettura realizzata per la Can-Am, perde una sezione della coda mentre viaggia a circa 270 km/h. Priva di ogni controllo sbatte contro le barriere e dopo essersi divisa in due prende fuoco. Una dinamica drammatica che non lascia scampo al pilota neozelandese. Si chiude così, a soli 32 anni e con 101 GP alle spalle, la carriera di Bruce, marito di Patty e padre di una figlia di 4 anni. Superato lo choc iniziale, le sorti della McLaren sono raccolte da Teddy Mayer e da Phil Kerr. Inizialmente la loro gestione non è certo priva di difficoltà. Kerr si tuffa alla ricerca di nuovi sponsor e nell’autunno del 1971 raggiunge l’accordo con la Yardley, un’azienda leader del settore dei cosmetici con antiche origini inglesi, passata nel 1960 sotto il controllo della British American Tobacco. Da qui la volontà di rilanciare i propri prodotti per uomini e donne entrando nel Circus che sta spalancando le proprie porte ai nuovi e facoltosi investitori. La presenza del nuovo main sponsor, cambia non solo la denominazione del team in “Yardley McLaren”, ma introduce una nuova livrea coi propri colori. L’arancione resta soltanto sulla parte inferiore delle pance laterali sormontato da una banda marrone. Gran parte della vettura è bianca e sulla parte alta dell’avantreno, sotto il volante, si nota una “Y” formata da tre linee ben distinte di colore, nero, marrone ed oro. La scritta “Yardley” compare sull’ala anteriore e posteriore e anche sulle fiancate seguita dalla scritta “McLaren”. L’arancio comunque rimarrà sulle divise di meccanici e tecnici, mentre le tute dei piloti sposano il motivo delle vetture: bianche con una striscia verticale sul petto nera, oro e marrone. Ma restando al ’72, è curioso ricordare che nei GP di Canada e Stati Uniti, le macchine di Hulme e Revson si presentano con una strana colorazione blu e gialla legata allo sponsor Sunoco. Una scelta commerciale che ci riporta al 27 maggio di quello stesso anno. Al volante di una McLaren M16B Offenhauser, Mark Donohue trionfa nella 500 Miglia di Indianapolis. Il team è quello di Roger Penske e la monoposto n°66 sfoggia per l’appunto i colori della Sunoco. Il sodalizio con la Yardley dura per tutto il 1973, poi ecco la Marlboro. Il popolare marchio di sigarette prodotte dalla Phillip Morris, filiale della multinazionale Altria, già presente in F.1 dal ’72 sulle BRM e sulle Iso-Williams, decide di legarsi alla scuderia di Teddy Mayer, rivoluzionandone l’immagine. Sulle vetture dominano il bianco ed il rosso fluorescente, che sul muso termina con il triangolo bianco. Il richiamo al pacchetto di sigarette è eloquente. Spicca anche la presenza della Texaco, la compagnia petrolifera fornitrice dei carburanti, il cui nome si trova quasi sempre accanto a quello della Marlboro. Discorso analogo per il logo, che cambia radicalmente. Il kiwi cede il passo ai loghi Marlboro e Texaco. Per la McLaren si tratta di una svolta epocale, che contraddistinguerà la sua storia per oltre 20 anni. Non a caso nel 1974, la M23-Ford conquisterà il titolo mondiale con il brasiliano Emerson Fittipaldi. E nel ‘76, sulla M23 aggiornata, trionferà con l’irruente inglese James Hunt. Sarà proprio il biondo capellone in stile hippy a detronizzare il ferrarista Lauda, vittima del drammatico incidente al Nurburgring che comprometterà la stagione dell’austriaco. Sempre in quell’anno, è datato il secondo trionfo nel catino di Indy. A bordo della McLaren M16E Offenhauser, di colore arancione, Johnny Rutheford s’impone nella 500 Miglia.