Published on Febbraio 11th, 2023 | by Massimo Campi
0I Fratelli Schlumpf, collezionisti fino alla rovina
La collezione dei Fratelli Schlumpf, soprattutto per quanto riguarda il mondo Bugatti, è sicuramente la più famosa al mondo ed il tema centrale del Musée National de l’Automobile di Mulhouse. La creazione della Cité de l’Automobile parte dalla voglia e dalla follia di possedere le creazioni di patron Ettore di questi due fratelli. Gli Schlumpf nascono in Italia, ad Omegna, in Piemonte vicino al Lago d’Orta. All’anagrafe vengono registrati come Giovanni Carlo Viterio (Hans) e Federico Filippo Augustino (Fritz) Schlumpf, la loro è una vita agiata, madre francese e il padre è un commerciante tessile di origini svizzere. Tutto cambia nel 1919, quando il padre viene a mancare e la madre Jeanne Becker fa ritorno a Mulhouse, la sua città natale, assieme ai due figli. Hans e Fritz vengono introdotti nel mondo della finanza, capiscono ben presto le regole diventando abili speculatori. Il più intraprendente è Fritz, con Hans che segue le sue orme, fanno fortuna ed alla fine della grande depressione del 1929 sono già tra i più ricchi di Francia. Investono i soldi nell’industria tessile, comprando una filatura a Malmersbach in Alsazia. Gli affari vanno sempre meglio, i due fratelli hanno un grande fiuto ed acquistano altre filature ed industrie laniere e tessili alsaziane, con affari anche nel settore viticolo ed in quello immobiliare.
I guadagni aumentano ben presto in modo esponenziale, gli Schlumpf hanno creato un vero e proprio impero e con i soldi guadagnati iniziano ad acquistare auto. A partire dagli anni 30 Fritz Schlumpf è un assiduo frequentatore della Bugatti e della Mercedes, ma è soprattutto affascinato dalle realizzazioni dell’atelier di Ettore Bugatti a Molsheim. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Schumpf allargano ulteriormente i loro affari e nel 1957 acquistano la anche filatura HKC di Mulhouse, intanto Fritz frequenta piloti e personaggi, diventa amico di Maurice Trintignant, e con la ripresa economica degli anni 60 decide di dedicare sempre più tempo e denaro alla collezione di auto d’epoca.
In soli sei anni dal 1961 al 1967, i due Schlumpf, grazie alla caparbietà di Fritz, acquistano ben 560 vetture ed iniziano una serie di operazioni di restauro. La passione è soprattutto per le Bugatti, che vengono restaurate direttamente a Molsheim, con Fritz che segue maniacalmente i lavori. Per le Officine Bugatti, già in crisi economica, questi lavori rappresentano una boccata di ossigeno, ma nel 1963 il marchio Alsaziano viene ceduto alla Hispano Suiza. Fritz Schlumpf decide di organizzare una nuova officina di restauro in una delle sue filande, acquista macchinari, prototipi e pezzi prodotti dal costruttore alsaziano ed anche la Type 41 Royale personale di Ettore Bugatti che gli viene ceduta dalla famiglia.
La seconda Royale entra in possesso degli Schlumpf l’anno successivo, nel 1964, quando Fritz acquista le trenta Bugatti dell’amicano John W. Shakespeare. Tutte le vetture vengono stipate nelle filature di Mulhouse e dal 1966 vengono impiegati carrozzieri, meccanici, ebanisti e pellettieri, una trentina di persone altamente specializzate, per il restauro delle auto. Oltre alle Bugatti si lavora a tempo pieno su Mercedes, Rolls Royce e molte altre marche tra le più note. Una volta restaurate vengono sistemate nel Museo Schlumpf, creato apposta in un capannone di una filatura, con le vetture che vengono illuminate da 500 lampioni che sono riproduzioni di quelle del Ponte Alessandro III° di Parigi. L’accesso al museo è consentito solo ai due proprietari ed un ristretto numero di amici, nessuno sospetta la vastità e l’entità dei gioielli collezionati e nascosti, anche se gli Schlumpf prevedono di potere aprire la collezione al pubblico in futuro. Tutto crolla con la crisi del mercato tessile che inizia a farsi sentire nel 1971. I problemi finanziari diventano insostenibili, tra i fratelli e le loro maestranze iniziano una serie di dissapori. Nel 1976 la situazione precipita, 2.000 lavoratori della Filatura di Malmersprach vengono licenziati. Lo scontro è violento, i sindacati entrano in sciopero, gli Schlumpf non vogliono cedere, ne consegue una fortissima protesta e gli operai sequestrano per ben tre giorni gli Schlumpf nella loro villa. Interviene la polizia, i due fratelli riescono ad uscire e fuggono a Basilea in attesa che si calmino le proteste, ma non riusciranno mai più a rientrare più in possesso delle loro fabbriche e dei loro gioielli.
L’impero Schlumpf è allo sbando, praticamente al fallimento economico. Il 7 marzo 1977 gli operai entrano senza autorizzazione all’interno dei depositi e scoprono la immensa collezione dei veicoli accumulata nel tempo; occupano le fabbriche, con una protesta che dura per un paio di anni con la minaccia di vendere le vetture per recuperare i soldi. Intanto l’affaire Schlumpf esplode, tutti i giornali e le televisioni mondiali parlano del crac finanziario dei fratelli francesi. Fritz Schlumpf è accusato di frode fiscale ed abuso di beni sociali e gli viene confiscata l’intera collezione di auto. Interviene la pubblica amministrazione ed il 14 aprile 1978 il Consiglio di Stato Francese dichiara monumento nazionale l’intera collezione per evitare la dispersione. Nel 1980 il tribunale autorizza la vendita della collezione, ceduta insieme ai terreni e alle costruzioni per la somma di 44 milioni di franchi all’Associazione del Museo Nazionale dell’Automobile, costituita ad hoc per l’occasione ed il 10 marzo 1982 il “Museo nazionale dell’automobile – Collezione Schlumpf” viene finalmente aperto al pubblico. La casa d’aste Christie’s ha valutato, all’epoca, in oltre 325 milioni di franchi il valore della collezione. Hans Schlumpf muore a Basilea nel 1989, senza mai essere tornato in Alsazia, dove avrebbe rischiato l’arresto. Fritz scompare tre anni dopo, sempre a Basilea, ma riesce ad ottenere il permesso di visitare la sua collezione nel 1990. Con la loro dipartita finisce una storia controversa, che però ha permesso il salvataggio, da parte del Governo francese, di molti pezzi importanti di storia dell’automobile.
Immagini © Massimo Campi