
Il 27 novembre 1995 morì a Milano Giancarlo Baghetti. Nato nel capoluogo lombardo il giorno di Natale del 1934 in una famiglia in cui i soldi non erano un problema, Giancarlo cominciò a correre in automobile usando la vettura del padre, un industriale nel settore della siderurgia, preparata da Angelo Dagrada.
Nel 1960 Dagrada costruì per Baghetti una monoposto di Formula Junior dotata di un motore Lancia con cui il giovane si mise in luce tanto da meritarsi la chance di debuttare ai massimi livelli grazie alla Fisa, la Federazione Italiana Scuderie Automobilistiche, che cercava nuovi talenti italiani per far rinascere una scuola decimata dai tragici incidenti che si erano portati via fra gli altri Musso e Castellotti. Il successo nella Coppa Fisa davanti all’altro astro nascente Lorenzo Bandini gli dette la chance di correre con una Ferrari che la casa di Maranello aveva messo a disposizione della Fisa.
Il 1961 si aprì con un bellissimo secondo posto nella 12 Ore di Sebring insieme a Willy Mairesse al volante di una 246 SP e proseguì con due gare di Formula 1 – i Gran Premi di Siracusa e Napoli – non valide per il Campionato del Mondo, dove Baghetti ottenne una fantastica doppietta.
La decisione di Olivier Gendebien di far ritorno all’Ecurie Nationale Belge offrì a Baghetti l’opportunità di debuttare nella competizione iridata a Reims, nel Gran Premio di Francia. Il giovane milanese ottenne un’incredibile vittoria superando in volata la Porsche di Dan Gurney.
«L’automobilismo italiano ha il suo nuovo campione. Ora non ci sono più dubbi», titolò l’indomani il Corriere della Sera. Invece, il prosieguo della sua carriera agonistica non fu altrettanto folgorante come l’inizio. Baghetti divenne pilota ufficiale della Scuderia di Maranello ma riuscì soltanto a piazzarsi due volte in zona punti nel 1962 prima di cedere, insieme a Phil Hill, alla sirena tentatrice della ATS di Chiti, con risultati deludenti.
In seguito Baghetti fece sporadiche apparizioni nel Gran Premio d’Italia in Formula 1 con varie vetture private mentre colse ancora dei bei risultati nelle gare sport. Nel 1968 annunciò il suo addio alle competizioni e si dedicò alla sua altra grande passione, la fotografia, e al giornalismo.
«Quando conobbi Giancarlo Baghetti lo giudicai un giovane a sangue freddo, misurato, compassato», scrisse di lui il solito corrosivo Enzo Ferrari in Piloti, che gente… «In macchina invece si rivelava, o forse era la macchina che lo rivelava. L’inizio della carriera fu immediato, ottenne subito grandi successi. Fu esaltato dalla stampa come il Varzi redivivo. Non so dire se questo fu degerminante, ma certo non gli giovò e la sua stella andò rapidamente tramontando. Diventò poi fotografo, e per una rivista (“Playboy”, n.d.r.) che di automobilismo ne tratta ben poco, chiese una mia intervista, o ‘candida conversazione’, come si compiacciono definirla. Declinai l’offerta, guadagnandomi su quelle pagine patinate i ritorsivi ricordi della sua mancata carriera».
Nel video, la cronaca di quello storico Grand Prix.