Published on Agosto 14th, 2023 | by Massimo Campi
014 agosto 1988: Addio a Enzo Ferrari
Di Carlo Baffi
Nell’anniversario della sua scomparsa, ripercorriamo la carriera del geniale costruttore emiliano, icona indelebile dell’automobilismo sportivo.
Gli hanno dato tanti soprannomi come “il grande vecchio”, o “lo Stradivari delle quattro ruote” coniato dal maestro Gianni Brera. C’è anche chi lo chiama “il Drake”, come il famoso pirata inglese. Lui amava autodefinirsi un “agitatore di uomini”, un motivatore capace di creare una leggenda che continua a vivere tutt’ora. Oggi il brand Ferrari è considerato uno dei marchi più influenti al mondo, sullo stesso piano di colossi come Disney, Coca Cola, Visa e pochi altri. Il romanzo della sua vita ci regala spunti curiosi sin dall’inizio. Nato a Modena il 18 febbraio 1898, Enzo Ferrari viene registrato allo stato civile solo il 20, perché una nevicata straordinaria ha bloccato la città. La sua famiglia vive in una casa annessa all’officina paterna di carpenteria metallica, situata alla periferia di Modena, al civico 85 di via Paolo Ferrari, quando si dice il caso. Il piccolo Enzo cresce in questa abitazione di quattro stanze insieme al papà Alfredo, alla mamma Adalgisa ed al fratello maggiore Dino. Il colpo di fulmine per le automobili avviene a dieci anni, quando il padre lo porta al circuito di Bologna sulla Via Emilia nel 1908, dove sfrecciavano i bolidi di Vincenzo Lancia e Felice Nazzaro. Col passare degli anni si manifestano in lui altre vocazioni, come quella per il canto. Dice infatti di voler fare il tenore di operetta, ma deve rinunciarvi perché stonato. Cerca poi di fare il giornalista sportivo pubblicando la cronaca della partita di calcio fra Inter e Modena finita 7 a 1 su “La Gazzetta dello Sport”, dimostrando buone qualità come corrispondente locale. Alla fine però prevale l’attrazione verso la meccanica, i carburatori ed i pistoni. La madre provvede a combinargli l’appuntamento nel dicembre del 1918 con un dirigente della Fiat a Torino nella speranza di trovargli un impiego. La risposta della più grande azienda automobilistica italiana non è però quella sperata: non c’è lavoro. A pochi giorni da quella prima delusione, Ferrari riesce comunque a farsi assumere come operaio da una fabbrica torinese di un tale chiamato Giovannoni che trasforma in telai da autovetture gli chassis dei mezzi militari. Nel frattempo conosce Ugo Sivocci, ottimo driver dell’epoca, che lo convince a seguirlo a Milano alla CMN (Costruzioni Meccaniche Nazionali) per fare il collaudatore e poi, niente meno che il pilota da corsa. L’esordio avviene in una competizione in salita vicino a casa, la Parma-Poggio di Berceto del 1919, in cui Ferrari chiude quarto nella classe 3000. Nello stesso anno partecipa alla Targa Florio, terminando al nono posto e un anno più tardi, nella stessa gara siciliana si piazzerà addirittura in seconda posizione con un’Alfa Romeo 4500. E’ da qui che Ferrari inizia il suo rapporto con la casa del Biscione, per la quale centra le sue prime vittorie: al Circuito del Polesine e a Pescara, dove batte persino le Mercedes. Successi che gli valgono la convocazione nello squadrone ufficiale Alfa in vista del Gran Premio di Francia del ’24. Alla guida della potente P2 scende in pista a Lione insieme a mostri sacri del calibro di Antonio Ascari, Campari e Wagner. Disputa le prove e poi se ne torna misteriosamente a Modena. Il motivo ufficiale è quello dell’esaurimento nervoso. Forse ha realizzato che il suo futuro non è quello del pilota, bensì del cosiddetto “agitatore”. Le idee non gli mancano così pure l’ambizione e sa trattare molto bene con la gente. Doti che spingono Ferrari a convincere i dirigenti della casa milanese a farsi affidare la gestione della squadra corse. Grazie al suo ineguagliabile carisma fa incetta dei migliori tecnici sul mercato rubandoli alla Fiat, rea di non averlo voluto. Una rivincita che pone fine al futuro corsaiolo del marchio torinese e che mostra il carattere del Drake sempre pronto a rendere la pariglia ai rivali. Grazie alle scelte di Ferrari l’Alfa Romeo diviene imbattibile e lui, che non aveva ancora un incarico preciso nell’organigramma, si guadagna una grande credibilità nell’ambiente oltre che una notevole esperienza. E’ il preludio al fatidico 16 novembre 1929, giorno in cui a Modena viene costituita la Scuderia Ferrari. Un esempio di un’illuminante genialità, anticipatrice di quelli che sono oggi i team di Formula Uno. Nell’officina di viale Trento e Trieste, le macchine della scuderia sono ovviamente delle Alfa Romeo acquistate a delle condizioni particolari ed affittate di volta in volta a piloti della domenica, o date in uso a dei corridori di mestiere che saranno poi quelli che creeranno la sua fama. Ferrari ha intuito il momento delicato dell’Alfa che non intende più correre in forma ufficiale ed ha quindi escogitato la formula per farla gareggiare sotto le proprie insegne, mantenendone viva l’immagine. Dunque Enzo Ferrari precursore dei tempi: lui che parla di immagine quando neppure si sa cosa sia, al punto che edita una rivista della sua scuderia e una pubblicazione di fine anno con il bilancio, le foto e le sue considerazioni. Un vero e proprio “house organ” come quelli che le grandi industrie crederanno di inventare mezzo secolo dopo: il Drake ci era già arrivato nel 1931. E non dimentichiamoci degli sponsor, che non compaiono sulle sue auto perché ancora non si usa, ma che sono ben visibili sui camion della squadra che viaggiano sulle strade d’Europa suscitando rispetto e ammirazione. Ma la trovata più grande è quella del logo: il cavallino rampante. Una storia nella storia che ha origine in Francesco Baracca, l’asso dell’aviazione della prima guerra mondiale morto dopo tanti combattimenti vittoriosi nei cieli. Baracca, coraggioso ravennate, aveva scelto il cavallino rampante quale emblema del proprio aereo perché era un validissimo cavallerizzo e perchè il proprio battaglione faceva parte della cavalleria, quindi con il simbolo equestre.
Cinque anni dopo la morte di Baracca, a Ravenna si corre una gara sul Circuito del Savio che vede prevalere proprio Ferrari sull’Alfa. In quell’occasione il patron Enzo conosce i genitori di Baracca e la madre Paolina gli fa omaggio di una cartolina raffigurante il figlio accanto al suo aereo dicendogli: “Sarebbe bello se anche lei mettesse sulle sue macchine il simbolo del cavallino rampante”. Passano nove anni ed il 9 luglio del 1932 le Alfa Romeo della Scuderia Ferrari si presentano alla 24 Ore di Spa con uno scudetto giallo sulle fiancate nel quale spicca un cavallino nero che rampa nell’aria. Il trionfo delle due vetture in gara convince Ferrari a non staccarsi mai più da quel simbolo. Ecco le origini di un mito destinato a durare nel tempo. La Scuderia Ferrari con le sue vittorie, le sue trovate di marketing, le sue imprese ha unito intere generazioni da 70 anni a queste parte, un caso unico che tutto il mondo ci invidia. Ma Ferrari non sarebbe stato Ferrari senza quel fiuto diabolico che lo ha sempre distinto nella conoscenza degli uomini e dei piloti. Non è un caso che i più grandi assi dell’automobilismo gareggeranno con le sue macchine. Uno di questi campioni, probabilmente il più amato dal Drake è Tazio Nuvolari: coraggio, abnegazione, voglia di rischio sempre, quasi fosse una scommessa personale. Caratteristiche che conquistano uno come Ferrari che pretende tutto dai suoi corridori. In breve il binomio Ferrari-Nuvolari diviene inscindibile, con vittorie a ripetizione su ogni tracciato: dalla Mille Miglia alla targa Florio, dal Tourist Trophy a Belfast, a quello di Monza, al Nurburgring ed alla 24 ore di Le Mans. Ma l’amore tra i due si interrompe nell’estate del ‘33, quando Nuvolari ritenendosi insostituibile e indispensabile per i destini della Scuderia modenese avanza delle richieste decisamente eccessive, tra cui quella che Ferrari cambi il nome della sua squadra in Scuderia Nuvolari-Ferrari. Figurarsi se Ferrari accetta una cosa del genere! Un padre padrone che spesso e volentieri gioca sulla rivalità tra i suoi uomini per avere la garanzia che nessuno dorma sugli allori. Ebbene tra Ferrari ed il “Nivola” sfocia una guerra con tanto di ricorso alle carte bollate e che terminerà nell’inverno tra il ’34 ed il ’35 con la riconciliazione. Però nonostante i successi, anche il rapporto tra Ferrari ed il Biscione è destinato ad interrompersi nel 1939, a causa di forti divergenze con la dirigenza del Portello. Per il Drake inizia una nuova sfida. Del resto nel giugno del ’35, aveva costruito la sua prima auto a Modena: l’Alfa Romeo bimotore con cui Nuvolari si era spinto oltre i 320 chilometri all’ora, con una punta di 364. Ferrari si mette dunque in proprio impegnandosi per contratto a non costruire macchine che portino il suo nome per la durata di quattro anni. Un ostacolo che aggira fondando l’Auto Avio Costruzioni, marchio col quale schiera alla Mille Miglia del 1940 due modelli battezzati semplicemente 815. Entrambe le vetture comanderanno la gara, prima di ritirarsi. Tutti però hanno capito che sulla scena è tornato lui: Enzo Ferrari. Dopo la guerra si mette a fare sul serio, cominciando a costruire gran turismo di serie con le quali stupirà il mondo e con la vendita di queste si pagherà le corse gareggiando nel nuovo campionato del mondo di Formula 1 nato nel maggio del ’50 a Silverstone. Ed il 14 luglio 1951, sempre su quello storico tracciato inglese, Froilan ‘Cabezon’ Gonzales con la Ferrari 375 batte l’Alfa Romeo 159 guidata da Juan Manuel Fangio, aggiudicandosi il 2° Gran Premio di Gran Bretagna. È la prima vittoria iridata di Maranello. Di tutte le innumerevoli che seguiranno è questa, probabilmente, la più amata dal Grande Vecchio, quella che gli farà dire una frase impressa nella storia: “Battendo l’Alfa è come se avessi ucciso mia madre”. Una dichiarazione roboante, forse un po’ retorica, ma veramente sentita perché Enzo Ferrari non ha mai perdonato alla Casa del Portello la rottura di 12 anni prima. In pratica ha messo a segno la sua seconda vendetta. Gli anni Cinquanta sono quelli gloriosi, quelli dei mondiali di Alberto Ascari nel ’52 e ’53, di Juan Manuel Fangio nel ’56, di Mike Hawthorn nel ’58 e dei sei successi di fila alla Mille Miglia. Ma sono pure gli anni delle tragedie. Come quella di Guidizzolo (nei pressi di Mantova) alla Mille Miglia del ’57, dove perdono la vita i piloti della 335S e nove spettatori tra cui cinque bambini. Ferrari finisce in tribunale come imputato in qualità di costruttore della vettura, venendo poi assolto nel ’61 per non aver commesso il fatto. Quando nel ’58 nei G.P. di Francia e Germania muoiono i suoi alfieri, Musso e Collins, il Drake viene duramente attaccato dalla stampa, in particolare dall’Osservatore Romano, che lo definisce “un Saturno che divora i propri figli”. Ma la tragedia che più distrugge il suo animo è quella che riguarda il figlio Dino, morto di distrofia muscolare progressiva nel 1956. In quella drammatica circostanza dirà:” Mi ha deluso l’impotenza a difendere la vita di mio figlio, che mi è stato strappato giorno dopo giorno per 24 anni.” Gli anni Sessanta iniziano con un titolo iridato, quello di Phil Hill, ma è un mondiale triste. Una nuova tragedia colpisce il Cavallino a Monza che da un lato consacra l’americano campione e dall’altro vede la morte del ferrarista Wolfgang von Trips insieme a quattordici persone del pubblico. Tra i tanti successi, c’è pure il divorzio di otto tecnici importanti che lasciano Maranello. O meglio, vengono licenziati in tronco per una lettera galeotta. Un episodio romanzesco da cui si evince ancora una volta l’imprevedibilità del Grande Vecchio. A scatenare il putiferio è l’assidua presenza in fabbrica ed in pista della signora Laura, moglie del capo supremo. Si intromette spesso nella routine quotidiana della scuderia creando malumori tra i lavoratori. Più volte i dirigenti dell’azienda cercano di affrontare la questione col marito, ma il Drake conoscendo bene il problema, è abilissimo ad evitare l’argomento. Da qui l’iniziativa di far scrivere una lettera dall’avvocato Cuoghi, che in modo molto garbato comunica per iscritto a patron Enzo la richiesta da parte dei quadri dirigenziali di tenere la signora lontana almeno dalle piste. Una soluzione che avrà un effetto boomerang sui mittenti. Nel corso di una delle tante riunioni tecniche, Ferrari si presenta con la lettera ben in vista, al fine di mostrare ai “congiurati” di averla ricevuta e letta. Tutto procede secondo il copione abituale, con i vari interventi dei responsabili dei settori aziendali. Ma la calma piatta del Drake alimenta non poca apprensione tra i presenti che si aspettano da un momento all’altro la sfuriata. Invece non accade nulla, Ferrari continua a tenere la busta in mezzo alla sua agenda, senza farne un minimo accenno. Una volta terminata la riunione, i partecipanti escono dalla stanza spaesati ed ecco che ad attenderli c’è il vice capo del personale con in mano delle buste. Sono le comunicazioni di licenziamento per ognuno dei firmatari della lettera! E’ il colpo di teatro con cui Ferrari è solito spiazzare gli avversari. Ferrari non parlerà mai di licenziamento, bensì di divorzio complice una…congiura di palazzo. L’aver scelto un canale ufficiale con tanto di lettera raccomandata l’ha umiliato. Tutti parlano di Cavallino decapitato ed ecco il secondo colpo di scena, con la promozione delle nuove leve. Tra questi c’è anche un giovane ingegnere divenuto responsabile delle attività sportive e sperimentali e destinato a firmare i futuri trionfi della rossa: Mauro Forghieri. Il padre di quest’ultimo Reclus aveva lavorato come meccanico specializzato nei primi anni di vita dell’azienda modenese. Del resto i rapporti tra Ferrari ed i sui collaboratori più stretti è sempre stato problematico. Il Drake era allergico alla parola ferie, vantandosi di non aver mai fatto in vita sua una vacanza, o un viaggio turistico. Generalmente dava del tu ai suoi luogotenenti, ma al ritorno dalle ferie estive li accoglieva dando loro del lei. Franco Gozzi braccio destro del Grande Vecchio per quasi 40 anni, racconta di essere stato licenziato e riassunto due volte in uno stesso giorno: un primato da guinness. Ma in un mondo che cresce velocemente la romantica leggenda del piccolo costruttore di provincia che sfida il mondo non può continuare all’infinito. Enzo Ferrari ad un certo punto sente il bisogno di appoggiarsi a spalle forti per non soccombere e anche per riprendersi la libertà di potersi occupare solo di corse in virtù del fatto, sono parole sue, che si era sempre sentito un costruttore e non un industriale. Nel 1964 la Ferrari ha prodotto 598 macchine che sono andate a ruba, ma fabbricare automobili richiede un costante rinnovamento degli impianti, una continua immissione di capitali per far fronte ad esigenze ogni giorno diverse. Ferrari con la consueta sensibilità capisce che è indispensabile imprimere una svolta alla sua azienda per garantirle un futuro. Quanto alle competizioni lui sarebbe riuscito a farne fronte purché se ne fosse potuto occupare a tempo pieno. Per cui, con la consueta abilità, fa in modo che siano gli altri a rivolgergli delle offerte. La Ford è la prima a farsi avanti ed il Commendatore si mostra subito interessato lasciando che gli inviati di Henry Ford II procedano ad una valutazione, naturalmente gratuita e senza impegno, di tutta l’azienda. Risultato: la Ferrari vale oltre sei miliardi di lire. Una bella sorpresa anche per il Commendatore che forse non credeva di avere in mano un simile patrimonio. Dalla Ford si dicono favorevoli ad entrare nella proprietà del Cavallino con una percentuale gradita al grande capo. L’arrivo dei quadri americani a Maranello fa supporre che l’accordo sia ormai vicino. Invece nella riunione decisiva del 30 ottobre 1961 gli eventi prendono un corso diverso. Ferrari si sofferma su una clausola che prevede un’autorizzazione da Detroit qualora le spese superino il budget consentito. La cifra si aggira intorno ai 10 mila dollari, che il Drake giudica irrisoria aggiungendo che l’attesa del benestare dalla casa madre, comporterebbe una perdita di tempo a vantaggio della concorrenza. ”Ma signor Ferrari, lei sta vendendo l’azienda e non può chiedere di continuare a comandare.” – replica la controparte. Un’osservazione logica, ma che manda su tutte le furie il Commendatore che esterna tutta la sua rabbia con improperi in dialetto modenese. Morale, l’accordo salta. Ferrari però continua a sondare il terreno e nel luglio del 1964 incontra Giuseppe Luraghi, presidente dell’Alfa Romeo. Sarebbe un ritorno alle origini dopo 24 anni di lontananza, ma tutto si conclude in un nulla di fatto. Si giunge così al gennaio 1965 quando Gaudenzio Bono, presidente della Fiat, varca i cancelli di Maranello. A Torino, l’avvocato Gianni Agnelli non è rimasto insensibile al messaggio lanciato da Ferrari. Ha così inizio il primo atto di un processo di avvicinamento che dopo lunghe trattative (guarda caso le cifre orbiteranno intorno ai 6,5 miliardi), il 20 giugno del ’69 culminerà con l’ingresso ufficiale della Fiat nell’assetto azionario del Cavallino. Enzo Ferrari nutre infatti una grande stima per Agnelli, dal quale riceve sempre telefonate al mattino presto. L’incontro conclusivo ha luogo a Torino dove il Commendatore sale a piedi tutti e cinque i piani della direzione Fiat di Corso Marconi, davanti allo sguardo attonito dell’Avvocato. Oltre ad aerei e treni, Ferrari diffida pure degli ascensori. Il matrimonio con la Fiat proietta la Ferrari in una nuova dimensione; sarebbe andata avanti nel tempo resistendo agli uomini, alle mode, alle tempeste economiche ed industriali. Maranello può contare su quell’appoggio tecnico ed economico che per permette al Cavallino di tornare ai vertici della Formula Uno nella seconda metà degli anni ’70. Arrivano i trionfi della serie 312 T, T2 e T4, le monoposto che regalano tre titoli piloti alla rossa, i primi due con Niki Lauda, il terzo con il sudafricano Jody Scheckter. E con la T4 correrà e vincerà anche uno dei piloti più amati da patron Enzo, Gilles Villeneuve. Un giovane canadese distintosi nelle corse con le motoslitte, a cui il Drake ha voluto affidare il posto del grande Lauda. E’ l’ennesimo azzardo in risposta al divorzio voluto dall’austriaco, uno dei pochi uomini riuscito a mettere in scacco il Drake. L’iniziale scetticismo nei confronti del rookie, verrà fugato dalle emozioni che questo ragazzo trasmetterà al pubblico. La famosa “febbre Villeneuve”, coniata dal celebre giornalista Marcello Sabbatini farà breccia nei tifosi e diverrà leggenda. “Villeneuve mi rievoca Tazio Nuvolari – dirà il Grande Vecchio – penso a Guy Moll e Stirling Moss. Uomini che su qualunque vettura ed in qualsiasi circostanza sono la massima espressione di spregiudicatezza.” Malauguratamente la carriera di quel funambolo soprannominato “l’aviatore” per le vetture distrutte, sarà spezzata da un tragico incidente nel corso delle qualifiche del Gran Premio del Belgio a Zolder nel 1982. Un dramma che colpirà profondamente l’anima dura di Ferrari che nella sua opera “Piloti che gente” traccerà un ritratto toccante di Gilles che si conclude con la frase:” Io gli volevo bene.” Entrato nell’ultimo decennio di vita, il Commendatore non riuscirà più ad essere presente con costanza al timone dell’azienda. In quel periodo confessa pubblicamente di essersi avvicinato al mistero dell’anima ammettendo di non essere stato un buon cattolico. Nel frattempo la Formula Uno è in piena metamorfosi grazie all’arrivo di ingenti capitali portati da importanti sponsor e dai munifici diritti televisivi per la trasmissione delle gare del mondiale. Un business colossale intuito e creato da un manager d’oltre Manica che dopo aver tentato di fare il pilota, s’è messo dietro ad una scrivania: Bernard Charles Ecclestone, meglio conosciuto come Bernie, il creatore della Formula Uno moderna. Ferrari ed Ecclestone hanno modo di conoscersi ed incontrarsi. Memorabile la firma del primo “Patto della Concordia” che poneva fine alla lotta tra buona parte dei team di F.1 e la Federazione Internazionale dell’Automobile. Una stretta di mano avvenuta a Maranello il 19 gennaio del 1981, alla presenza anche del dispotico Jean Marie Balestre, allora presidente della Fia. Un meeting durato sino a mezzanotte senza soste per pranzo e cena, fatta eccezione per il consueto cappuccino di Ferrari. Il Drake ormai 83enne aveva un po’ perso lo smalto dei tempi migliori, mentre Ecclestone s’apprestava a mettere le mani sulle fortune del Circus. Bernie non ha mai negato di nutrire stima verso il grande costruttore italiano, al punto di tenere una sua foto con dedica nell’ufficio londinese. Probabilmente si sentiva accomunato dal grande amore per le corse e dalla carriera portata avanti con grande forza di volontà e colpi di genio. Passa il tempo ed il Grande Vecchio, pur restando al timone della sua creatura, è sempre più minato nella salute. Il 4 giugno del 1988 il Pontefice Giovanni Paolo II, a bordo di una Mondial Cabriolet guidata da Piero Ferrari, secondo genito del Drake, varca i cancelli di Maranello. Passa in rassegna le maestranze facendo un giro di pista a Fiorano, ma contrariamente a quanto sperava non trova il patriarca dell’automobilismo. Enzo Ferrari si trova a letto nella sua casa di Largo Garibaldi a Modena, afflitto da seri problemi fisici. I due potranno parlarsi solo al telefono. Il Santo Padre gli farà gli auguri per la sua salute, Ferrari replicherà con un semplice “la ringrazio Santità”. Il 7 agosto, a distanza di tanti anni dalla laurea honoris causa in Ingegneria, l’Università di Modena gli conferisce un’altra laurea, questa volta in fisica. E’ il suo ultimo traguardo. Il 14 agosto Enzo Ferrari se ne va in punta di piedi ed in rispetto delle sue ultime volontà, la notizia della scomparsa viene resa nota solo a funerali avvenuti. Esequie che si tengono il giorno di Ferragosto. Poco meno di un mese dopo, a Monza, le F1-87/88C guidate da Berger ed Alboreto sigleranno una memorabile doppietta, interrompendo il domino incontrastato delle McLaren-Honda di Senna e Prost. Un trionfo rocambolesco in memoria del Grande Vecchio che ebbe quasi del miracoloso. Lo stesso Senna a cui sfuggì una vittoria sicura a pochi giri dalla fine complice il contatto con la Williams di Schlesser confesserà deluso che probabilmente il Drake, “da lassù”, ha dato una mano alle sue rosse e che tutto era scritto nel destino. Era l’11 settembre 1988. Oggi Ferrari riposa presso il cimitero di Modena nella tomba di famiglia accanto al figlio Dino che tanto ha amato. Da lì quando soffia il vento degli Appennini riesce forse a udire il rombo delle sue macchine che stanno girando a Fiorano per prepararsi nuovamente a vincere.