Di Carlo Baffi
Lo scorso 15 aprile è mancato dopo una lunga malattia Angelo Parrilla, classe 1946, una figura di riferimento del karting internazionale insieme al fratello Achille col quale era titolare della Dap, una piccola azienda lombarda produttrice di go-kart. Entrambi erano i figli di quel Giovanni Parilla fondatore della Moto Parilla nel secondo dopoguerra e poi costruttore di quotati motori per i kart. La Dap rappresentò una tappa importante per tanti piloti, tra questi il grande Ayrton Senna da Silva. Il futuro mostro sacro della Formula Uno che ai suoi esordi, dopo circa tre anni e mezzo di competizioni in Brasile, decise di approdare nel vecchio continente per misurarsi coi campioni della categoria. La carriera di Senna al volante delle monoposto è arcinota, meno invece i suoi trascorsi nel mondo del karting che proprio Angelo Parilla ci svelò in un’intervista rilasciataci a Milano nel 2014.
Signor Parrilla, come conobbe Ayrton Senna?
“Nel 1978, un amico di mio padre, tale Mario Mela che aveva fatto fortuna in Brasile, mi chiamò parlandomi di un ragazzo non ancora diciottenne che voleva disputare il mondiale di kart. Per sciogliere il mio normale scetticismo, mi disse che si trattava di un pilota velocissimo, “una palla di fucile”. Mi rassicurò anche sotto il profilo delle garanzie economiche al punto che stilai un preventivo intorno ai 7.500 dollari americani. Una cifra comprensiva di sei motori a noleggio, due telai, treni di gomme, test e costi di trasferta. Raggiunto l’accordo, il ragazzo partì alla volta dell’Italia.”
Quale fu la sua prima impressione nel conoscere Senna?
“Ricordo che mentre Ayrton era in volo, dal Brasile mi chiamarono per avvertirmi che il ragazzo era molto difficile nel mangiare, un problema che affliggeva in modo particolare la madre. Sicchè dopo l’arrivo e vista l’ora, lo portai a pranzare in una trattoria toscana di Piazza Insubria a Milano. Ayrton parlava pochissimo la nostra lingua, ad eccezione del portoghese conosceva solo qualche vocabolo d’inglese e io me la cavavo a fatica con lo spagnolo. Una volta a tavola, gli chiesi se gradiva gli spaghetti e lui mi fece capire che non li conosceva. Ordinai allora una carbonara che divorò, così come un’abbondante fiorentina con contorno di patate ed insalata. Ma non solo, Ayrton mi chiese se poteva ancora ordinare qualcosa ed invece della frutta o del dolce, si prese un’altra portata di carbonara. Chiamai Mela dicendogli di rivedere il budget: “da qui al mondiale, questo ragazzo mi manda in rovina, perché mangia come un lupo”. Rimasero tutti stupiti, madre compresa.”
Quando scese in pista?
“Nei giorni successivi, Senna andò a provare a Parma con mio fratello. Doveva rodare i motori, testare il telaio Dap che non aveva mai utilizzato, abituarsi al carburatore a ghigliottina e alle gomme Bridgestone non presenti in Brasile. Dopo due giorni di test, gli fu data la possibilità di esprimersi e con nostra grande sorpresa fu come liberare un toro. Senza conoscere la pista e con un nuovo mezzo, al 7° giro Ayrton iniziò a realizzare i tempi di Terry Fullerton. “ Fullerton, classe 1953 irlandese di origine, ma londinese di nascita, è stato uno dei maggiori protagonisti sulla scena internazionale del karting. Iridato juniores a 13 anni, vinse il mondiale nel ’73, tre campionati europei e quattro coppe campioni. Un fuoriclasse che divenne il pilota di punta della Dap, ma che dal 1978 dovette fare i conti proprio con il giovane Senna….
“Fullerton mi disse subito che Ayrton faceva spavento, rendendosi conto che da li in avanti avrebbe avuto parecchio filo da torcere. Entrambi avevano le stesse armi a disposizione come motore, telaio e gomme: era quindi una guerra vera.”
Com’erano i rapporti tra i due?
“Si parlavano poco. Ricordo che a Jesolo in occasione della Coppa dei Campioni del 1980, i due occupavano con i rispettivi kart due tende separate nel paddock e ad un certo momento nel corso di una pausa Ayrton andò a guardare i tempi di Terry. Appena Fullerton se ne accorse, si riprese immediatamente il proprio libretto, facendo imbestialire il brasiliano.”
Ed arriviamo così al primo mondiale, a Le Mans nel 1978, a sole due settimane dall’’arrivo di Senna in Italia…
“Ayrton s’era preparato tantissimo. In Brasile era stato cresciuto da Lucio Pascal Guascon, detto “Tche”, un personaggio che fu quasi una sorta di padre putativo. E proprio il “Tche”, mi disse che per paura di essere inferiore ai piloti europei, Senna si era allenato per circa due mesi scendendo in pista ad Interlagos, tre ore al mattino e tre al pomeriggio. Per cui quando iniziò a girare a Le Mans fece la figura del marziano. Un altro vantaggio era rappresentato del fatto che Ayrton era mancino. Questo gli permetteva di regolare contemporaneamente il carburatore con la mano destra e controllare il volante con la sinistra. Una manovra che agli avversari risultava difficile. Una volta in gara, nella prima manche e con gomme normali, Senna mise in mostra tutto il suo carattere combattivo, pareva quasi che la bagarre lo esaltasse. Nella seconda manche con gomme speciali, partito sesto, Ayrton arrivò subito a ridosso del primo e iniziò il duello. Purtroppo Mickey Allen lo mandò fuori pista, gli cadde la catena e dovette ritirarsi. Nella terza manche, partì dal fondo e chiuse 6° in rimonta.”
Come reagì Senna a quel colpo basso?
“Senna mi disse che dal Tche aveva imparato a correre, a vincere e a perdere con signorilità. Decisamente più dura fu invece la delusione nel mondiale dell’anno successivo a Estoril in Portogallo. Devo sottolineare però che solo per quell’edizione venne cambiato il regolamento”.
Si spieghi meglio…
“Solitamente il mondiale comprendeva tre finali, dove i concorrenti dovevano scartare la manche col risultato peggiore. A parità di punteggio contava la vittoria nella terza manche. Nel 1979 presero in considerazione le manches di qualifica. Dagli anni successivi si tornò poi alla formula tradizionale. Tornando a Estoril, Fullerton e Senna si involarono nella prima gara, quando improvvisamente Terry grippò e Ayrton gli finì addosso, marcando zero punti. Nella manche successiva Senna finì secondo e nella terza vinse alla grande. Purtroppo credette di aver conquistato il titolo, non rendendosi conto che per via delle nuove regole era terminato secondo. Io e mio fratello tirammo a sorte per decidere chi avrebbe dovuto comunicare ad Ayrton la triste notizia. Toccò a mio fratello. Il ragazzo scoppiò in lacrime.”
E purtroppo il titolo mondiale di kart, resterà un sogno per Senna…
“Certo. Anche nel 1980 a Nivelles, in Belgio, la sorte gli voltò le spalle. Tutto accadde nella prima manche, quando Marcel Gysing lo spinse fuori cavandosela soltanto con un’ammonizione. La vittoria nella seconda manche fu inutile, perché dopo la terza i migliori piazzamenti laurearono campione Peter de Brujin. Nel 1981 invece si corse a Parma, ma noi eravamo inferiori di motore. Pur sapendolo, Ayrton volle correre ugualmente con noi e riuscì nonostante l’handicap a chiudere 4° dietro tre Birel spinti dai motori Comet. “
Nei programmi di Senna c’erano già le monoposto?
“Si. Ayrton voleva correre in macchina contro il volere della famiglia. Quando incontrai la madre ad Estoril fu molto chiara dicendomi, che avrebbe sostenuto tutte le spese inerenti al karting, ma non quelle relative ad un passaggio sulle macchine. Ayrton era però deciso a fare il salto di categoria.”
Già nel 1981, Senna muove i primi passi in Formula Ford e dall’anno successivo è in pianta stabile in Inghilterra per proseguire la sua carriera nelle categorie propedeutiche, che nel 1983 lo vede affermarsi nella qualificata Formula 3 d’oltremanica; un successo che gli spiana la strada verso il Circus, prima coi test (Williams, Brabham e McLaren) e poi col debutto ufficiale targato 1984 sulla Toleman-Hart. La vettura sulla quale salirà alla ribalta nell’indimenticabile G.P. di Monaco sotto il diluvio.
“Il lunedì successivo a quella gara – spiega Parrilla – Ayrton venne a trovarmi e mi svelò un particolare curioso. Siccome nei primi giri gli arrivava troppa potenza col conseguente rischio di intraversarsi, decise di chiudere il turbo in modo da poter controllare meglio le reazioni della monoposto su una pista trasformata in un vero e proprio lago, col risultato che tutti sappiamo, sfiorando addirittura il successo.”
Secondo lei, come mai Senna era così forte sul bagnato?
“E’ difficile spiegarlo. Forse bisogna risalire ad un episodio capitatogli in Brasile nei primi anni del kart. Ayrton mi raccontò che nel corso di una gara sotto la pioggia si trovò in seria difficoltà, venendo superato da molti concorrenti. Fu allora che chiese al “Tche” di allenarsi su pista bagnata fino a quando non avrebbe acquisito il pieno controllo del mezzo.”
Senna rimase molto deluso dalla decisione di sospendere la corsa monegasca mentre era in procinto di superare Prost?
“In un primo momento mi confidò che si arrabbiò molto. Poi ripensandoci sopra si rese conto che questa sua impresa era ormai entrata nella testa del pubblico, che non avrebbe mai dimenticato questa vittoria scippata.”
Ebbe ulteriori occasioni di incontrare Senna negli anni della F.1?
“Non molte. Ricordo però che il giovedì precedente il tragico week-end di Imola, mi fece una telefonata che mi preoccupò. Mi disse che voleva vedermi al più presto in quanto voleva smettere con la F.1. Colpito da questa frase gli chiesi il motivo. Ayrton mi disse che non si trovava con la Williams, sia per quanto concerne la vettura, sia per la squadra. Aggiunse che voleva tornarsene in Brasile e cominciare a costruire i go-kart insieme a me. Ovviamente gli dissi che non ci sarebbero stati problemi. Purtroppo le cose andarono diversamente.”
Che ricordo le ha lasciato Senna?
“Io e mio fratello consideravamo Ayrton come un figlio adottivo. Al di là delle sue doti professionali, era una persona stupenda con una sensibilità notevole. Mi aveva colpito la sua determinazione, la sua voglia di vincere. Non aveva altri interessi al di là delle corse. Trascorreva buona parte delle sue giornate nella nostra officina di Rozzano osservando attentamente la preparazione dei kart. Con noi era poi entrato in confidenza, ad esempio io lo avevo soprannominato scherzosamente “Amazzonia”. Per lui eravamo una sorta di seconda famiglia al punto che quando tornava in Brasile ci inviava delle audio cassette, nelle quali incideva le sue impressioni. Non se la sentiva di scrivere lettere, perché non conosceva bene l’italiano. Aggiungo inoltre che di tutti i grandi piloti che sono passati da noi, Ayrton fu l’unico che ad ogni Natale si ricordava di inviarci il biglietto di auguri.”