Storia

Published on Dicembre 21st, 2021 | by Massimo Campi

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Williams e le vetture dei garagisti inglesi

La tecnica di costruzione degli assemblatori inglesi prende il sopravvento in Formula 1 dagli anni ‘60

Con la scomparsa di Frank Williams finisce l’era dei “garagisti inglesi” come li aveva soprannominati Enzo Ferrari. Una evoluzione storica nel mondo delle corse, nata nel dopoguerra per merito dell’industria automobilistica britannica, una evoluzione che cambiato, negli anni ’60, il modo di costruire le macchine da corsa.

Il mondo dei garagisti o assemblatori inglesi nasce per merito dell’intuizione soprattutto di un uomo, John Cooper, che realizza una piccola vetturetta di 500 cc, mettendo assieme un leggero tubolare con un motore bicilindrico JAP messo dietro le spalle del pilota.

La vettura ha poca potenza, ma è leggera ed il motore alle spalle del pilota consente un buon bilanciamento dei pesi con conseguente tenuta di strada. Nel 1958 nasce la F.Junior, i telai iniziali sono soprattutto di scuola italiana, motore anteriore e trazione posteriore, ma ben presto arrivano le monoposto di John Cooper, leggere, filanti, con il motore alle spalle del pilota. Lo stesso telaio viene impiegato per la F.1, ed è Stirling Moss che sbanca la concorrenza vincendo, il 19 gennaio 1958 in Argentina, il primo Gran Premio della storia con una Cooper Climax a motore posteriore.

“Non si è mai visto il carro davanti ai buoi!” tuona Enzo Ferrari verso la trovata di Cooper, ma a Maranello c’è Carlo Chiti che convince il Drake a montare il motore alle spalle del pilota ed arriva il titolo mondiale del 1961 con la Ferrari 156 di Phil Hill. La nuova industria inglese delle vetture da corsa fa in suo ingresso in massa in quegli anni, rispetto ai costruttori tradizionali, Ferrari, Maserati, ma anche Aston Martin e Jaguar, i seguaci del metodo lanciato da John Cooper sono estremamente pragmatici, badano soprattutto alla costruzione del telaio assiemando varie parti, tra cui motore e trasmissione, prelevati da auto di serie previa elaborazione.

“Non sono dei costruttori, ma semplici garagisti” è sempre Enzo Ferrari che conia quel soprannome per gli inglesi ma sarà questo il futuro dell’automobilismo da corsa che ha visto imporsi l’industria inglese con alcuni nomi e relative soluzioni tecniche che hanno fatto la storia per alcuni decenni.

Poi arriva Colin Chapman e spuntano vetture con soluzioni meccaniche calcolate al limite. Per il genio inglese le monoposto dovevano durare solo lo spazio di una gara, il peso è sempre stato il suo nemico. Basta telai con i tubi saldati, l’Inghilterra ha realizzato ottimi aerei nella Seconda Guerra Mondiale, e da quelle soluzioni tecniche arriva la prima grande rivoluzione per la Lotus: la monoscocca in lamiera. Chapman modella e piega lamiere in alluminio, realizza una vasca stretta e bassa, in cui viene sistemato il pilota disteso, con i serbatoi della benzina a lato dell’abitacolo o subito dietro le spalle del pilota. La Lotus 25 è una macchina innovativa, Jim Clark, l’asso scozzese, la guida sdraiata compensando la poca potenza del motore con una alta penetrazione aerodinamica e la leggerezza dell’assieme. Vince i mondiali e quando cambia la cilindrata a tre litri Chapman convince la Ford a produrre un nuovo motore per la massima formula.

Nasce il Ford-Cosworth DFV, sarà l’arma dei “garagisti inglesi” per vincere e dominare con la Lotus 49. Salgono le potenze, le monoposto hanno problemi a scaricare a terra tutti i cavalli e gli inglesi scoprono l’aerodinamica. Jack Brabham e Bruce McLaren sono tra i primi a montare gli alettoni sulle loro Formula 1, ma la grande svolta è ancora una volta grazie al genio Chapman. Nella seconda metà degli anni ’70 arrivano le “wing car”, le vetture che sfruttano l’effetto suolo per stare attaccate all’asfalto.

La Lotus 79, con i condotti Venturi nelle pance e le minigonne viaggia come si binari, Intanto altri garagisti sono saliti all’onore della cronaca. Dopo Jack Brabham e Bruce McLaren che realizzano le loro monoposto, e due vere industrie da corsa, arriva il “boscaiolo” Ken Tyrrell che mette a segno due titoli mondiali con Jackie Stewart al volante delle Tyrrell 003 e 007 e si rivela come uno dei migliori talent scout della storia. Ma Tyrrell non si limita a costruire vetture convenzionali ed allevare giovani promesse, da vita alla Tyrrell P34, la sei ruote, poco vincente ma la più grande icona della fantasia creativa in Formula 1.

Chapman, il genio, un uomo senza compromessi, convinto assertore delle sue idee, inseguite spesso oltre i limiti, anche quando erano sbagliate. La storia della sua creatura, la Lotus, è fatta di vette altissime ma anche di voragini estreme. Il 16 dicembre 1982 il cuore di Chapman smette di battere, la sua creatura continua formalmente a vivere, ma la vera storia della “Ferrari di Inghilterra” finisce quel giorno.

Per ultimo, nel clan dei grandi garagisti che hanno fatto la storia, arriva Frank Williams. Una strada tutta in salita la sua, partita dal commercio di pezzi di auto da corsa in giro per l’Europa. Il debutto in Formula 1 nel 1969, telaio Brabham, motore Cosworth e Piers Courage come pilota che perde la vita nel GP d’Olanda. Poi tante avventure, sempre nelle zone d’ombra delle classifiche, niente soddisfazioni, ma tanto impegno e la voglia di crederci, sempre. Una unione, quella con Patrick Head, il socio responsabile tecnico, un colpo di fortuna, i soldi degli arabi, ed un pilota veloce e granitico come Alan Jones ed i sogni di una vita diventano realtà con il primo titolo mondiale, ed un secondo con Keke Rosberg, veloce e granitico pure lui. Ma la vera protagonista è ancora una volta la vettura, la Williams FW07 e le sue evoluzioni, monoposto ad effetto suolo, con il solito DFW Cosworth, ma monoposto semplici e redditizie in pista.

La Williams decolla, vince, dalle zone d’ombra arriva in quelle dove c’è luce e tanta, ma anche tanto lavoro e voglia di fare, bene, come sempre.  Arriva la Honda, i piloti top, Nelson Piquet, Nigel Mansell, il titolo mondiale de pilota brasiliano con la Williams FW11B.

Poi le cadute, le disgrazie, la necessità di inventarsi una nuova vita. La Sierra con Williams al volante si ribalta viaggiando da Nizza verso il Castellet. Frank rimane schiacciato ed incastrato nell’abitacolo, frattura di due vertebre, paralizzato per il resto della sua esistenza. Williams non molla, sulla sua carrozzella continua a gestire la sua squadra, mentre tocca a Patrick Head il compito di fare vetture vincenti. L’ingegnere inglese non delude il socio, finito l’idillio con la Honda arriva quello con la Renault che ha bisogno di nuova visibilità mondiale. Con il V10 francese la casa di Grove riparte alla grande dopo un intermezzo con V10 Judd a noleggio.  Patrick Head ed il giovane Adrian Newey danno vita ad una serie di vetture vincenti, grazia anche ad una nuova trovata rivoluzionaria, le sospensioni attive che fanno camminare sui binari la Williams FW14. È un’arma totale, va fortissimo, arrivano i titoli mondiali con Nigel Mansell ed Alain Prost, ma anche nuovi drammi, come quello di Ayrton Senna che cambierà il volto della Formula 1.

Gli ultimi giorni di gloria arrivano con gli ultimi due mondiali. Damon Hill con la FW18 e Jaques Villeneuve con la FW19 sono tra quelli che riescono ad arginare la potenza di fuoco del Kaiser Schumacher con la Benetton e la Ferrari. Poi un lento declino, fino a quando Frank Williams esce di scena, lascia il comando alla figlia Claire e tutto finisce nelle mani di investitori che vedono la Formula 1 come semplice business.

Con la scomparsa di Frank Williams finisce l’ultimo testimone di quell’epoca avventura, quella dei garagisti che hanno saputo imporre il loro modo di intendere l’automobilismo da corsa gettando le basi per una Formula 1 che ha conquistato l’interesse mondiale.

Immagini © Massimo Campi – Raul Zacchè/Actualfoto

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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