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lunedì 10 Febbraio 2025

Progresso a ruote coperte

Da quando sono nate le competizioni di durata le vetture a ruote coperte rappresentano le avanguardie del progresso tecnologico automobilistico

Le competizioni per vetture a ruote coperte nascono nel dopoguerra, in parallelo con le monoposto. Inizialmente servivano a far correre i piloti privati, oggi si direbbero gli amatori o i “gentleman driver”, in pratica quelli che disponevano di congrue risorse economiche ed una grande passione per le auto da corsa. Le vetture italiane sono vincenti: Alfa Romeo, Lancia, Maserati e la nuova Ferrari hanno dettato legge prima della guerra, fino a quando non  arrivata la potente tecnologia tedesca finanziata dal regime, ma la Germania è a terra, così come la Francia e l’Inghilterra che devono ricostruire il loro tessuto economico distrutto dai debiti bellici. L’inventiva italiana la fa da padrona, le “rosse” sono vetture semplici, robuste, hanno motori potenti, vanno veloci soprattutto in rettilineo, sono affidabili, ed è tutto quello che serve per vincere le gare e vendere macchine per finanziare le proprie attività e le corse con le macchine ufficiali. Le gare si disputano principalmente su strade statali, come per la Mille Miglia, la Carrera Panamericana o la Targa Florio o su circuiti molto spartani, come quello di Caracas, Spa, ricavati chiudendo strade o piste di aeroporti come Sebring, Goodwood o Silverstone. Lo stesso circuito di Le Mans, ancora oggi, è in maggior parte costituito da strade aperte normalmente al traffico e chiuse solo per la gara. Le macchine per correre su questi tracciati e per molti chilometri, dovevano necessariamente avere nella robustezza la principale dote ed in questo la scuola italiana era particolarmente esperta.

Anni ’50 arrivano la Mercedes e gli inglesi

Il primo salto tecnologico arriva nella metà degli anni ’50 con il ritorno dei tedeschi e degli inglesi. La Mercedes, rinata dalle ceneri della guerra, ritorna alle competizioni con le 300 Slr vetture meccanicamente avanzatissime rispetto alla concorrenza. Motori con iniezione meccanica, leghe leggere, telai tubolari reticolari, piloti top driver come Moss e Fangio, le vetture tedesche dettano legge ma la tragedia di Le Mans ’55 da un brusco stop lasciando agli inglesi il compito di antagonisti agli italiani. L’industria automobilistica inglese è fatta di piccole realtà, non ha le risorse economiche tedesche, ma applica la tecnologia aeronautica alle vetture. I motori sono poco potenti rispetto a quelli italiani, ed allora si agisce sulla leggerezza delle vetture sulla stabilità aerodinamica e sulla frenata. Le Aston Martin e soprattutto le Jaguar sono vetture più leggere e più stabili delle Ferrari e delle Maserati.

La Jaguar porta per prima in gara i freni a disco prodotti dalla Dunlop, le sue D-Type hanno una carrozzeria più profilata ed hanno quella pinna longitudinale che serve a dare più stabilità nei lunghi rettilinei di Le Mans la gara da vincere per farsi pubblicità e vendere più macchine. A metà degli anni ’50 finiscono le gare stradali con gli incidenti della Carrera Panamericana ed i morti di Guidizzolo alla Mille Miglia del 1957. Cambiano le piste, si inizia a correre su tracciati più permanenti e le vetture sono sempre più specializzate e veloci. La Federazione internazionale si pone il problema di ridurre le prestazioni e viene introdotto il limite dei tre litri di cilindrata.

Il colosso Ford sbarca in Europa

Metà anni ’60: arriva l’industria americana con Ford e General Motors. Il boom economico del dopoguerra è retto dall’industria meccanica. Le grandi compagnie americane hanno un approccio molto pragmatico al mondo dell’auto: soprattutto contano i numeri di vendita ed il mercato europeo ha potenziali numeri pari a quello americano, già saturo però di vetture. Serve sbarcare in Europa, serve farsi pubblicità e le corse rappresentano uno dei migliori veicoli. La gara principe è Le Mans, muove folle da capogiro, la risonanza internazionale è massima e quindi quello è l’obbiettivo da raggiungere. La cultura tecnica americana è però molto inferiore a quella del vecchio continente, parte quindi l’operazione Ford per acquistare Ferrari, fallisce ed allora ci si rivolge al mercato inglese chiedendo inizialmente la collaborazione alla Lola. Si costruisce la Ford GT40, acquisita la tecnologia di base l’organizzazione passa in mano agli americani con Carrol Shelby al timone del team ufficiale. La vettura è bassa, filante, cilindrate alte (Ferrari diceva che ha i cilindri grossi come fiaschi di vino) e massima affidabilità per resistere alle lunghe maratone. L’approccio americano è manageriale, entra in campo per la prima volta il marketing, si va a Le Mans con tante vetture e finalmente si vince raggiungendo gli obbiettivi prefissati.

Un approccio diverso è quello della General Motors che affida il compito ad una piccola industria Texana, la Chaparral di Jim Hall, uno dei geni della progettazione che progetta vetture dalla tecnologia rivoluzionaria: carrozzerie e varie parti in fibra di vetro al posto della lamiera metallica, cambi automatici, alettoni mobili, un concentrato che sposta subito in avanti il limite tecnico. La Chaparral vince poco in Europa, molto di più in America nella serie Can Am, ma da molti spunti tecnici che gli altri copieranno presto.

Tra le vetture che corrono a le Mans ci sono anche le vetture a turbina, inizialmente la Rover ed in seguito la Howmet, ma senza particolari risultati a dimostrazione che la tecnologia dei motori aeronautici, per l’uso normale o nelle corse, non è valida.

La Porsche diventa la nuova protagonista

La guerra tra Ford e Ferrari, porta ad un notevole innalzamento delle prestazioni: l’ing. Forghieri prevede che nell’edizione 1967 basti una velocità media di circa 205-210 all’ora per vincere la maratona della Sarthe, ma le Ford vinceranno ad oltre 220 all’ora facendo compiere un notevole balzo in avanti a tutta la categoria. La Commissione Sportiva deve ridimensionare le prestazioni, vengono aboliti i grossi motori di 7 litri, le cilindrate sono ridotte a tre litri per i prototipi e 5 litri per le vetture sport prodotte in almeno 50 esemplari. In seguito il numero per ottenere l’omologazione è ridotto a 25 e spunta il nuovo colosso tedesco Porsche con le sue 917, una delle vetture simbolo delle gare di durata. Macchina veloce, affidabile, inizialmente scorbutica, ma quando viene data in gestione all’inglese John Wyer, che ne modifica la veste aerodinamica, diventa una macchina da guerra.

La tecnologia Porsche è il nuovo faro tecnico, la 917 vince i mondiali, ma la vettura più formidabile è la 908-03, di tre litri, soprannominata “la bicicletta”: un peso di soli 420 kg, un telaio tubolare a struttura reticolare in tubi di lega leggerissima, piccola, maneggevole, debutta e vince alla Targa Florio ed al Nurburgring. Le vetture sono nuovamente troppo veloci, per il 1972 si dovrà passare alle tre litri, ultimo sprazzo dell’industria automobilistica italiana che vince con Ferrari ed Alfa Romeo gli ultimi titoli.

Arriva il turbo

La Porsche però non si ferma, va in america nella serie Can Am, dove non ci sono limitazioni e può correre con le sue 917. A Stoccarda non si accontentano, vogliono più potenza ed applicano la sovralimentazione al 12 boxer raffreddato ad aria. Dai 500 cv della versione aspirata si arriva agli oltre 1.200 della versione turbo con valori di coppia che mandano in crisi le trasmissioni tanto che si deve eliminare il differenziale per non frantumare gli ingranaggi in accelerazione. Anche la Renault intuisce i vantaggi del turbo, debutta nelle ruote coperte con la sua barchetta denominata Alpine, derivata dalla due litri aspirata.

Tanti motori in fumo, ma alla fine riesce a vincere a Le Mans e con il suo V6 turbo sbarca in F.1 cambiando il volto delle corse. Jean Marie Balestre e Bernie Ecclestone impongono delle regole sportive dettate dal marketing e dagli sponsor che faranno entrare i grandi costruttori nel mondo delle corse. La F.1 inizia a dominare il mondo delle corse, le competizioni a ruote coperte scadono di interesse e la FIA introduce le vetture Gr.5, le “silouette”, ovvero vetture da corsa con sembianze di quelle stradali. La Porsche la fa ancora da padrona con le sue 934 e 935 Turbo uccidendo tutta la concorrenza: è la macchina di serie che vince le corse (anche se le 935 sono dei veri prototipi con le sembianze della 911), la tecnologia della sovralimentazione imperversa anche nella produzione di serie.

La riduzione dei consumi con le Gr.C

Le gare sono monotone, la vittoria è nelle mani dei vari preparatori Porsche, ci vuole un cambio generazionale e per la prima volta una vera commissione di tecnici stila delle norme tecniche valide. Dando una veste tecnica alla intuizione del giornalista-pilota Paul Frere nascono le Gruppo “C”, prototipi con un regolamento tecnico molto libero, aerodinamica ad effetto suolo, poche limitazioni alla carrozzeria date solo da dimensioni massime e minime, motori liberi con l’unica limitazione della quantità di benzina da impiegare in gara per ottimizzare i consumi. Siamo all’inizio degli anni’80, la Porsche domina con le sue 956 e 962 contro le artigianali Rondeau e Sauber, ma arrivano ben presto Jaguar, Mazda, Toyota, Lancia, Mercedes i principali grandi costruttori di auto sportive, ognuno con la sua tecnica: motori turbo, aspirati, telai tubolari, monoscocche in lega, telai in fibra di carbonio, una grande iniezione di progresso, soprattutto nella gestione e riduzione dei consumi che avrà ricadute nella produzione di serie delle supercar sportive future.

Ma Balestre ed Ecclestone devono ancora spingere la F.1 ed uccidono le vetture a ruote coperte introducendo i propulsori aspirati di tre litri uguali a quelli delle monoposto di F.1. Le Mans si discosta sempre più dalla volontà FIA, i dirigenti della ACO tengono alta la fama della maratona francese, e puntano su innovazione e riduzione dei costi, spesso in atrito con i vertici di Place de la Concorde. Sfruttando le poche restrizioni del regolamento, nel 1991 si assiste all’unica vittoria del motore Wankel che equipaggia la Mazda 787B ed è anche l’unica vittoria di una vettura del sol levante sul circuito della Sarthe. Gli ultimi sprazzi del mondiale vedono protagoniste le Peugeot che poi andranno in F.1 con i loro motori.

La rinascita con le semplici barchette e l’arrivo delle GT1

Sembra la fine delle ruote coperte, ma la voglia di correre con queste vetture e tanta, la 24 di Le Mans è ancora un grande evento ed a metà degli anni ’90 le vetture endurance rinascono con le barchette, vetture semplici, aspirate, telai in tubi o in fibra di carbonio e ritorna in campo la Ferrari, che realizza solo per i privati la 333Sp. Voluta da Giampiero Moretti e Piero Ferrari, telaio Dallara, motore V12, riporta la voglia di ruote coperte e vince le maratone americane di Sebring e Daytona. Sul fronte regolamentare è sempre l’ACO che detta legge, spesso in atrito con la FIA, e nella seconda metà degli anni ’90 nascono le potenti GT1, granturismo derivate dalle supercar, ma in pratica dei veri e propri prototipi ultratecnologici a ruote coperte.

 

Le prestazioni hanno una nuova impennata: scocche in fibra di carbonio, motori turbo ed aspirati, aerodinamica raffinatissima e prestazioni mostre, frutto di alta tecnologia che comunque avrà una ricaduta sulle supercar di produzione degli anni a venire. Porsche McLaren-BMW e Mercedes sono le vetture da battere, ci tenta la bellissima Toyota Gt-One ma fallisce. A Le Mans le CLK-GTR tedesche volano in aria, serve uno stop e le GT1 vengono abolite, si ridà spazio nuovamente alle barchette, ma con la tecnologia motoristica acquisita entreranno sia Mercedes che Toyota in F.1.

Il nuovo millennio e la tecnologia Audi con il turbodiesel

Siamo all’inizio del terzo millennio e una nuova realtà tecnica entra in gioco: l’Audi. Un paio di anni per prendere le misure, con obbiettivo come al solito di vincere a Le Mans, ed il gran capo Ullrich usa l’alta tecnologia per sperimentare una serie di soluzioni tecniche che avranno una importante ricaduta nella produzione di serie. Si inizia con la R8 Fsi, ovvero l’iniezione diretta ad alta pressione. I consumi diminuiscono in modo considerevole ed aumentano le prestazioni, la prima grande sfida è vinta.

Si passa in seguito ai propulsori a  gasolio, segue la vittoria con la R10 Tdi turbodiesel. Arriva la Peugeot a sfidare la casa dei quattro anelli, ed arrivano le vittorie dei motori a gasolio con il FAP, i filtri anti particolato sugli scarichi per limitare le emissioni nocive nell’aria. L’ultima grande sfida vinta è nel 2012, con la vittoria della R18-Tron Quattro, ovvero propulsione ibrida, turbodiesel ed elettrica a recupero di energia con quattro ruote motrice. La sfidante è la Toyota, con una vettura simile in apparenza, ma con un turbo benzina ed un differente sistema di accumulo per l’energia.

Il WEC con le ibride ipertecnologiche

Nel 2012 ritorna il Campionato Mondiale di gare di durata per vetture Sport Prototipo e Gran Turismo, organizzato dall’Automobile Club de l’Ouest e disciplinato dalla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA). Il FIA World Endurance Championship (WEC), ha sostituito a partire dal 2012 la precedente Intercontinental Le Mans Cup, nella serie corrono diverse classi di vetture, dagli Sport Prototipi (LMP) alle vetture Gran Turismo (LM-GTE), basate su automobili derivate dalla produzione di serie. Vengono assegnati i titoli di Campioni del mondo Endurance FIA ai Piloti ed ai Costruttori esclusivamente per la categoria LM-P1 e LM-GTE pro. La grande innovazione regolamentare sta nella possibilità di utilizzo delle motorizzazioni a tecnologia ibrida-elettrica. Sia i giapponesi della Toyota che la Audi sfruttano la possibilità data dal nuovo regolamento, che sulle due Audi R18 E-tron Quattro schierate in corsa permette in certe situazioni stabilite dal regolamento di utilizzare la trazione su tutte e 4 le ruote data la posizione del sistema di propulsione elettrico sull’asse anteriore. André Lotterer con i compagni Marcel Fässler e Benoît Tréluyer vincono la 24 Ore di Le Mans, è la prima vittoria di una vettura ibrida a quattro ruote motrici nella gara francese ed una indubbia pubblicità per la casa tedesca e per la tecnologia che inizia a diffondersi nelle vetture di serie.

A partire dal 2014 FIA e ACO hanno posto maggiormente l’accento sull’efficienza energetica e sui sistemi di recupero dell’energia, in particolare sulle vetture LM-P1 Ibride dove entra in vigore un regolamento tecnico basato sul consumo e recupero energetico in un giro della pista francese. Audi, Toyota e Porsche sono pronte a combatte per la vittoria. I giapponesi, leader del mercato mondiale nel settore ibrido, scelgono una tecnologia basata su un motore endotermico a benzina di elevata cilindrata accoppiato ad un motore elettrico sull’asse posteriore, Audi continua con la sua tecnologia accoppiando un motore a gasolio di 6 cilindri con unità elettriche che agiscono sulle ruote anteriori. La più tecnologia è la Porsche che collauda la sua 919 Hybrid da oltre un anno, un prototipo realizzato attorno ad un piccolo motore turbo benzina con unità elettriche e diversi sistemi di recupero energetico, sia in frenata che sfruttando i gas di scarico.

La Porsche 919 Hybrid è il prototipo più tecnologico della serie, dopo aver passato il 2014 a fare esperienza con la complicata tecnologia nel 2015 alla 24 Ore di Le Mans la Porsche si mette subito in evidenza e la casa di Stoccarda fa doppietta con Hülkenberg, Tandy e Bamber davanti a Webber, Bernhard e Hartley vincendo per la diciassettesima volta a Le Mans dopo diciassette anni. Per tre anni le Porsche la Porsche vince a Le Mans, poi si ritira seguendo l’esempio dell’Audi, lasciando il testimone ai giapponesi della Toyota.

La Porsche, dopo avere annunciato il ritiro a fine 2017, ha preparato una versione speciale della sua 919 Hybrid, senza le restrizioni regolamentari imposte. Alexander Hitzinger il progettista della 919 Hybrid, ha affermato che “la tecnologia impiegata è stata quella più avanzata nel mondo del motorsport, e che in una sola vettura del prototipo tedesco è concentrata tutta la tecnica presente nelle 20 monoposto di Formula Uno al via di un Gran Premio”. La speciale versione Evo rappresenta il risultato finale di tutte le evoluzioni possibili della vettura, senza dovere incorrere nelle restrizioni tecniche imposte dai regolamenti.

La Porsche 919 Hybrid Evo ha girato, nel 2018 con Neel Jani a Spa-Francorchamps, più forte della pole position 2017 fatta da Lewis Hamilton con la sua Mercedes F.1, e la stessa vettura ha fatto il nuovo record sul tracciato del Nurburgring. Il bolide guidato da Timo Bernhard ha frantumato un record nell’Inferno Verde girando lungo 20,8 chilometri della Nordschleife in 5 minuti 19 secondi e 55 centesimi con una velocità media sul giro di 233,8 km/h e la punta massima di 369,4 km/h.

I prototipi LMPH, sono ipertecnologici, ma anche molto costosi, per la stagione 2021 nascono una nuova serie di vetture, sempre basate sulla tecnologia ibrida, ma molto più semplificata, come la Toyota GR10-Hybrid.

Sono passati diversi decenni da quell’8 marzo 1953, sul tracciato ricavato dall’aeroporto di Sebring,  prima gara mondiale con poche vetture che dovevano solo essere veloci ed affidabili. Ancora oggi valgono questi due semplici principi, ma con tanta tecnologia in più, che, a differenza delle monoposto di F.1 dove è solo fine a se stessa, ha avuto molte ricadute sulla produzione di grande serie.

Immagini © Massimo Campi

 

 

 

Massimo Campi
Massimo Campihttp://www.motoremotion.it/
Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.

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